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Quando la vecchia Austria voleva stabilirsi nelle isole dell’Oceano Indiano

di Francesco Lamendola - 30/09/2010


 

È decisamente una pagina di storia pressoché dimenticata da tutti, perfino dai discendenti dei diretti interessati.

Sono ben pochi, infatti, in Europa e nella stessa Austria, a sapere che, fra XVIII e XIX secolo, la Monarchia danubiana compì alcuni seri sforzi per assicurarsi un possedimento coloniale nell’Oceano Indiano, precisamente nelle Isole Nicobare.

Le Nicobare sono un arcipelago formato da 22 isole che si allunga in senso longitudinale, come un festone, tra le Isole Andamane a Nord, da cui distano 150 km., e la costa settentrionale di Sumatra a Sud, da cui distano circa 190 km.; la loro superficie complessiva è di 1.841 kmq.; ai nostri giorni fanno parte del Territorio indiano delle Isole Andamane e Nicobare, dopo essere state britanniche e per un breve periodo, durante la seconda guerra mondiale, giapponesi.

L’idea che l’Impero asburgico sia andato a cercarsi delle colonie nei lontani mari tropicali ha qualche cosa di strano, quasi di surreale. Chi ha letto il capolavoro di Jaroslav Hašek «Le avventure del buon soldato Sc’vejk nella guerra mondiale» ricorderà forse, nelle pagine iniziali, il tono di burla con cui il protagonista afferma che anche l’Austria possiede le sue colonie, come tutte le altre maggiori potenze: lassù, verso il Polo Nord, fra orsi bianchi e ghiacci galleggianti, con il nome di Terra di Francesco Giuseppe. E invece l’Austria aveva avuto davvero le sue colonie, non fra orsi e d iceberg, ma nei caldi mari dell’Oriente, a 10 gradi dall’Equatore; anche se per un tempo brevissimo, quasi un batter di ciglia.

Era andata così.

Già nel 1722-23 si era costituita, ad Ostenda, una Compagnia per il commercio con le Indie Orientali, che aveva ottenuto lettere patenti dai Paesi Bassi Austriaci; lettere poi ritirate in seguito alle forti pressioni esercitate dalle altre potenze interessate agli scambi commerciali con l’Estremo Oriente e che non gradivano tale concorrenza, sicché la Compagnia aveva finito per chiudere i battenti.

Poi, verso il 1765, l’imperatrice Maria Teresa, che aveva appena associato al trono suo figlio Giuseppe II, incominciò a valutare la possibilità di stabilire un punto d’appoggio commerciale nei mari dell’Asia: erano gli anni in cui l’Austria ambiva a diventare una potenza marittima e Trieste stava diventando un grande emporio, aperto verso l’Oriente.

Le cose presero una svolta decisiva con l’arrivo a Vienna, nel 1774, di un singolare personaggio, una sorta di avventuriero: l’olandese William Bolts, già agente della Compagnia inglese delle Indie Orientali e poi cacciato per i suoi loschi traffici a base di oppio. Forse in cerca di rivincite, forse - semplicemente - desideroso di rifarsi una posizione, sfruttando la propria esperienza dei commerci con l’Oriente, egli riuscì a convincere l’inesperta imperatrice ed i suoi consiglieri che sarebbe stata una buona idea se l’Austria avesse preso possesso delle Isole Nicobare, che erano state occupate dalla Danimarca e poi, di fatto, abbandonate.

Incorrendo in un grossolano errore diplomatico, a Vienna ci si convinse, più o meno in buona fede, che la partenza dei Danesi equivalesse ad una implicita rinuncia al loro dominio e che, pertanto, l’arcipelago fosse divenuto “res nullius”, terra non sottoposta ad alcuna giurisdizione: tale era la mentalità dei colonialisti europei, anche se la sanzione formale di questa dottrina sarebbe venuta solo molto più tardi, con la Conferenza di Berlino del 1884-85, che diede il via alla rapida spartizione del continente africano.

Ad ogni modo vi furono molte tergiversazioni e fu solo nel 1778, ormai verso la fine del regno di Maria Teresa, che una spedizione austriaca, dopo aver superato enormi difficoltà politiche e organizzative, salpata dal porto di Trieste a bordo del vascello «Giuseppe e Maria», sbarcò nell’arcipelago e ne prese possesso, poco dopo che i Danesi l’avevano abbandonato a causa di una epidemia di malaria.

Il 12 luglio 1783 gli indigeni, una popolazione molto primitiva di ceppo negritos, firmarono - si fa per dire, perché apposero delle semplici croci sul documento - un trattato, in base al quale cedevano al governo di Vienna quattro isole del loro arcipelago: Nancowry, Kamorta, Trinket e Katchal. È perlomeno dubbio che essi abbiano compreso il significato di quel’atto; in ogni caso, non ne ricevettero alcun danno, a differenza di altri indigeni meno fortunati che sottoscrissero analoghi trattati, perché tutto quel che fecero gli Austriaci fu sbarcare sei persone con alcune capre, armi e pochi schiavi, mentre la bandiera con i colori dell’Impero asburgico veniva innalzata su di una collina; e ciò fu tutto.

Ma è impossibile mantenere una colonia ad oltre diecimila chilometri dalla madrepatria (all’epoca la rotta dal Mediterraneo all’Insulindia passava per lo Stretto di Gibilterra ed il Capo di Buona Speranza e richiedeva settimane, se non mesi, di navigazione), senza disporre di un adeguato potenziale marittimo e senza adeguati supporti logistici.

Gli Austriaci se ne resero conto ben presto a proprie spese, tanto che nel 1781, stremati dalle difficoltà e a corto persino di acqua potabile, inviarono un disperato appello alla lontana madrepatria per ricevere aiuti. Ma a Vienna la notizia non giunse; oppure, se giunse, nessuno si preoccupò di fare qualcosa per quei disgraziati.

Così, appena cinque anni dopo l’inizio dell’impresa, rimasti praticamente abbandonati a se stessi, gli Austriaci videro naufragare miseramente il loro sogno. Con la morte del capo della minuscola colonia, nel 1783, e la partenza degli altri, ebbe termine questo bizzarro tentativo di colonizzazione, con un pieno e irreparabile fallimento.

La Danimarca rioccupò le Isole Nicobare solo molto più tardi, nel 1848, ma le cedette definitivamente alla Gran Bretagna nel 1869, che vi mandò una spedizione in piena regola e che da allora le tenne in suo potere, quale antemurale avanzato per una eventuale difesa dell’India, insieme alle Isole Andamane.

La pagina della presenza austriaca in quelle acque non era però definitivamente chiusa, perché nel 1857, dunque all’epoca del secondo periodo di occupazione danese, una nave da guerra asburgica ritornò nelle Isole Nicobare.

Era la fregata «Novara», inviata colà dall’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Austria nel corso del suo viaggio di circumnavigazione; ma si trattava, questa volta, di una spedizione puramente scientifica o, tutt’al più, dal vago significato diplomatico e di prestigio. A bordo, infatti, vi era una équipe dell’Accademia Austriaca di Scienze con l’incarico, fra le altre cose, di individuare il luogo idoneo per lo stabilimento di una colonia penale d’Oltremare.

Ricordiamo, fra parentesi, che analoghi passi e proprio in quei mari (oltre che in Argentina) avrebbe fatto, pochi anni dopo, il governo italiano, desideroso di confinare lontano dalla madrepatria i detenuti più pericolosi, specialmente dopo la repressione del Brigantaggio meridionale (1860-64); tentativi che, peraltro, non ebbero esito positivo.

La fregata «Novara» toccò le isole di Nancowry e di Kamorta, proprio quelle già occupate al tempo di Maria Teresa, ma non effettuò alcun tentativo di prenderne possesso militarmente. È bensì vero che l’etnologo Karl Ritter von Scherzer (Vienna, 1821 - Gorizia, 1903), il quale faceva parte della spedizione, propose di ristabilire una colonia in quei luoghi; ma la sua perorazione cadde nel vuoto perché il governo di Francesco Giuseppe, in pessimi rapporti con il Piemonte di Cavour e, tra breve, anche con la Francia di Napoleone III, aveva ben altro a cui pensare che non lanciarsi in una romanzesca avventura coloniale nel Sud-est asiatico. A Vienna, pertanto, ci si dovette accontentare delle copiose raccolte etnografiche riportate in patria da von Scherzer e dire addio per sempre a quell’antica colonia, ormai perduta senza rimedio.

Un’ultima comparsa della bandiera austriaca nelle acque delle Isole Nicobare ebbe luogo quasi trent’anni dopo, nel 1886, allorché la corvetta «Aurora» gettò le ancore nel porto di Nancowry, diretta in Estremo Oriente. Ma a quell’epoca, e già da più di tre lustri, l’arcipelago era stato formalmente annesso ai dominî di Sua Maestà britannica, la regina Vittoria, per cui non esisteva più un vuoto di potere che potesse giustificare un eventuale interesse austriaco.

Da quel momento, e a parte le esplorazioni artiche di Payer e Weyprecht i quali, nel 1873, scoprirono ed esplorarono la Terra di Francesco Giuseppe (che non venne però mai rivendicata dall’Austria, perché la spedizione era stata organizzata privatamente e non dal governo austriaco) e a parte un curioso tentativo del console austro-ungarico ad Hong Kong, barone von Overbeck, di colonizzare la costa settentrionale del Borneo intorno al 1878, l’Austria scomparve dalla scena della politica coloniale.

Essa non partecipò al Congresso di Berlino del 1884 e alla relativa spartizione dell’Africa; soltanto, nel 1901 ottenne dal governo cinese la concessione di un quartiere di Tientsin, dopo aver partecipato alla spedizione internazionale, sotto comando germanico, per la repressione del movimento dei Boxer. La concessione venne poi occupata, durante la prima guerra mondiale, nel 1917, dal governo cinese; che, a sua volta, dovette cederla nel 1927 all’Italia, la quale ultima la annetté alla propria concessione nella medesima città. I due quartieri vennero poi occupati dai Giapponesi nel 1943, quando il generale Badoglio firmò l’armistizio con gli Alleati, e tornarono formalmente alla Cina con la pace di Parigi del 1947.

In realtà, ci sarebbe un’appendice a questa insolita vicenda della colonizzazione austriaca delle Isole Nicobare; ma si tratta di una storia ancora più strana, quasi ai limiti del romanzesco, e che evoca altri scenari e situazioni totalmente diversi, per cui non ne daremo che qualche breve cenno, riservandoci di riprendere l’argomento in una sede specifica.

In breve, si tratta di questo: allo scoppio della prima guerra mondiale, quando si ingaggiò un gigantesco - ed impari - duello fra la Marina britannica e quella germanica, la cui posta in gioco era non solo il dominio dei mari europei, ma anche degli oceani e, pertanto, del commercio mondiale, qualcuno presso l’Ammiragliato di Berlino dovette ricordarsi della presenza austriaca nelle Isole Nicobare, con la relativa cartografia; qualcuno che seppe anche apprezzare al suo giusto valore la posizione strategica dell’arcipelago.

La guerra che si scatenò nell’agosto 1914 fra i due sistemi di alleanze fu una guerra convenzionale, anche se su scala mai vista, in Europa; mentre a livello planetario fu anche una lotta di intelligence e di comunicazioni radio fra i due maggiori belligeranti, appunto l’Impero britannico ed il Reich tedesco. I Tedeschi, pur disponendo di un impero coloniale immensamente più piccolo ed anche assai recente (2,5 milioni di kmq., con una popolazione di appena 15 milioni di abitanti), si erano premurati di installarvi una rete di potentissime stazioni radio, capace di coprire gran parte della superficie terrestre.

Essa faceva capo alle due stazioni metropolitane di Hannover e di Nauen, entrambe nel nord della Germania, e comprendeva le stazioni africane di Kamina, nel Togo; di Windhoek, nell’Africa Sud-occidentale (pacificata solo da pochi anni, dopo la crudele guerra di sterminio del 1904-05 contro gli indigeni); di Mwanza e di Tabora, nell’Africa Orientale Tedesca; e quelle oceaniche di Yap, nell’arcipelago delle Caroline, di Samoa e infine di Tsingtao, sulla costa cinese.

Ciascuna di esse aveva un raggio d’azione di circa 1.000 km., per cui tutte le stazioni radio del continente africano erano in contatto fra loro. Inoltre alcune di esse, mediante cavi sottomarini, erano collegate a regioni ancora più lontane: ad esempio, la stazione di Yap era allacciata alle Indie via Shanghai, e al Nord America grazie al cavo dell’isola di Guam. Vi erano poi alcune stazioni radio minori, come quella di Dar-es-Salaam, nell’Africa Orientale Tedesca.

Ebbene, una delle poche zone extraeuropee “scoperte” era proprio quella dell’Oceano Indiano orientale. A ciò provvidero audacemente i Tedeschi, istallando appunto nelle isole Nicobare, proprio sotto il naso dei loro teorici “proprietari” inglesi, una moderna ed efficiente stazione radio, precisamente a Pulo Wey, che causò non pochi disturbi alla navigazione dell’avversario; e ciò proprio mentre l’incrociatore corsaro «Emden» compiva, in quelle acque, le sue leggendarie gesta.