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"E chi se ne importa delle cause del crimine?"

di George Monbiot - 18/05/2006

 

Alcune autorevoli ricerche – come quelle pubblicate dalle riviste specializzate Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine, Journal of Nutritional and Environmental Medicine e Journal of Psychiatry – mostrano un legame diretto tra alimenti di dubbia qualità e propensione a comportamenti violenti. Ma diversi governi sono tornati in combutta con l'industria

La televisione può indurre al crimine? L’idea che le persone possano emulare la violenza di scena sugli schermi TV viene continuamente discussa dai criminologi. Questo articolo si occupa di un altro concetto, fondato sulla seguente tesi: se l’atto criminoso si materializza fuori dal tubo catodico, non sono i programmi ad esserne responsabili, bensì il materiale che in essi è contenuto – quello dei fotogrammi di vite familiari apparentemente felici, tipico, ad esempio, delle immagini pubblicitarie.

Ma lasciatemi cominciare, nell’argomentare questo insolito tema, con uno scritto pubblicato sull’ultima edizione della rivista specializzata
Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine. Essa fornisce un supporto empirico per la questione dei bambini di fronte alla TV: più la guardano, più consumano i prodotti che essa pubblicizza. “Ogni ora in più davanti agli schermi televisivi si associa a 167 kilocalorie in più al giorno”. La maggior parte di questo apporto calorico extra proviene da alimenti di dubbia qualità: bibite gassate, patatine, biscotti, dolciumi, hamburger e, come vengono definite, “pepite di pollo”. La pubblicazione riporta anche che “guardare la TV e consumare frutta e verdura sono atti inversamente proporzionali tra loro”.

Non esiste un dibattito serio su cosa “la dieta della TV” provochi al nostro corpo. Un sondaggio del governo britannico pubblicato il mese scorso mostra che nel Regno Unito la proporzione dei bambini clinicamente obesi frequentanti le scuole medie superiori in 10 anni è quasi raddoppiata. Oggi, in Gran Bretagna il 27% delle ragazze e il 24% dei ragazzi tra gli 11 e i 15 anni soffrono questa condizione; questo, nella peggiore delle ipotesi, significa che l’eventualità per questi giovani di contrarre il diabete e di non arrivare ai 50 anni di vita è più probabile. Ma la questione più interessante riguarda cosa la suddetta dieta potrebbe fare alle nostre menti: secondo alcuni studi, essa è in grado di danneggiarle quanto il cuore e il pancreas. Tra le tante ricerche sviluppate, ne esiste una che porta a credere come esista un rapporto di causa-effetto tra il cibo scadente e un comportamento violento o antisociale.

I risultati più sorprendenti sono stati quelli riportati dal Journal of Nutritional and Environmental Medicine nel 1997. Si riportava che alcuni ricercatori avevano condotto un esperimento in una prigione per detenuti recidivi, dai 13 ai 17 anni d'età, la cui dieta era deficitaria di alcuni elementi fondamentali (consumavano in media, rispetto alle quantità necessarie, solo il 63% di ferro, il 42% di magnesio, il 39% di zinco, il 39% di vitamina B12 e il 34% di folacina), secondo la somministrazione giornaliera prevista dal governo statunitense.

Così, i ricercatori avevano iniziato a dare ai carcerati sia alcune capsule contenenti le sostanze mancanti sia diverse placebo, raccomandando loro di cercare di migliorare le proprie diete. Il numero di incidenti causati dai detenuti appartenenti al gruppo tenuto sotto controllo (quelli che prendevano i placebo) scese del 56%, quello delle violenze commesse dai detenuti del gruppo sperimentale dell’80%. Tra i prigionieri appartenenti al “gruppo placebo” che rifiutarono di migliorare le diete, non vi fu riduzione. I ricercatori sottoposero i soggetti ad alcuni elettroencefalogrammi per registrarne l’andamento delle onde cerebrali, riscontrando, dopo 13 settimane di integrazioni alimentari, una significativa diminuzione delle anomalie.

Uno studio simile, pubblicato nel 2002 sul britannico Journal of Psychiatry, ha riscontrato che tra i giovani detenuti adulti ai quali erano stati somministrati integratori di vitamine, minerali e acidi grassi, le trasgressioni disciplinari erano scese del 26% nel gruppo sperimentale, mentre non erano diminuite in quello sotto controllo. Alcuni ricercatori hanno scoperto che in Finlandia 68 detenuti violenti visitati durante un altro studio soffrivano di ipoglicemia reattiva, una tolleranza anormale di glucosio causata da un eccessivo consumo di zucchero, carboidrati e stimolanti come la caffeina.

Due mesi fa l’autore della suddetta ricerca, Bernard Gesch, dichiarò alla rivista The Ecologist: “Oggi si ritiene che un atto criminoso futuro venga più probabilmente commessa a causa di una cattiva dieta piuttosto che da un background comportamentale violento… Allo stesso modo, l’efficacia di una diagnosi di psicopatia, generalmente percepita come profeta migliore rispetto a un passato di vita criminale, non si può paragonare a ciò che si può predire facendo attenzione a cosa mangia una persona”.

Perché una relazione di causa-effetto tra dieta e attitudine comportamentale dovrebbe sorprendere? A parte gli effetti psicologici dovuti a un eccessivo consumo di zuccheri, il cervello, la cui funzione dipende da precisi processi biochimici, non può operare adeguatamente se le materie prime assunte sono insufficienti. Le più importanti tra queste sembrano essere quelle insature di acidi grassi (specialmente i tipi omega 3), come zinco, magnesio, ferro, folacina e vitamine B – proprio quelle per cui i detenuti mostravano più deficienza secondo lo studio del Journal of Nutritional and Environmental Medicine.

Un report pubblicato alla fine dell’anno scorso dal gruppo Sustain ha spiegato quali sono i legami tra le diete deterioranti e l’aumento di depressione, dei problemi comportamentali, dell’Alzheimer e di altre forme di malattie mentali. Il 60% del peso della massa cerebrale è dovuto al grasso, che è “unico nel corpo umano composto in modo predominante da acidi grassi insaturi”. Lo zinco e il magnesio, per quanto riguarda il cervello, coinvolgono sia il metabolismo dei lipidi sia la produzione di neurotrasmettitori – le sostanze chimiche che permettono alle cellule nervose di comunicare.

Più mangi male, meno spazio dai al cibo che contiene le sostanze necessarie al cervello. Questo non significa che i pubblicitari siano i soli responsabili della questione della carenza nell’assunzione degli alimenti nutrienti. Come dimostra
We Want Real Food, il nuovo libro di Graham Harvey, l’agricoltura industriale, dipendente dai fertilizzanti artificiali, ha di molto ridotto il contenuto minerale delle verdure, e anche la qualità della carne e del latte è diminuita.

Queste rivelazioni non suggeriscono che unicamente una dieta non equilibrata possa indurre a un comportamento criminoso o antisociale. Tuttavia, secondo gli studi di cui sono entrato in possesso, ciascun governo che chiede di prendere sul serio il problema della violenza sociale dovrebbe iniziare a occuparsi anche degli inserzionisti.

Invece, il governo britannico non muove un dito mentre il regolatore della TV del Regno Unito, l’Ofcom, coccola l’industria alimentare. Nello stesso momento in cui stipula programmi per controllare le pubblicità sul cibo scadente, Ofcom organizza 29 meeting con produttori alimentari e pubblicitari, e solo 4 meeting con i gruppi salutisti e le associazioni dei consumatori. I risultati sono consultabili nel documento che il regolatore britannico ha pubblicato. Ofcom nulla propone riguardo gli spot tra i programmi per i bambini con più di nove anni, e nulla riguardo a quelli che i bambini più piccoli guardano di più. Quali? Nel report si legge che i programmi TV più popolari tra i bambini britannici dai due ai nove anni si chiamano Dancing on Ice, Coronation Street e Emmerdale, ma Ofcom decide di regolare soltanto i programmi destinati ai bambini al di sotto dei nove anni d’età come previsto dai regolamenti ufficiali. Asserisce che regole più rigide costerebbero troppo all’industria. Per sostenere le azioni degli enti televisivi, Ofcom è pronto a sacrificare il benessere fisico e psicologico dei bambini.

A livello europeo, la collusione è ancora più evidente. La settimana scorsa, il commissario europeo all’Istruzione e alla Cultura Viviane Reding, ha dichiarato a un gruppo di enti televisivi dei suoi piani riguardo alla concessione del ‘product placement’1 nei programmi europei (ovvero, i pubblicitari potranno promuovere i loro prodotti durante, piuttosto che tra, i programmi). La Reding si era lamentata che la propria proposta fosse stata attaccata dal parlamento Europeo. “Bisogna combattere se si vuole ottenere qualcosa”, aveva dichiarato ai dirigenti televisivi. “Ci tengo a chiarire che ho bisogno del vostro sostegno per fare ciò”.

Recentemente ho trascorso alcuni giorni per cercare di scoprire se l’
Home Office stia considerando seriamente le ricerche nel campo dei legami tra dieta e propensione al crimine. In passato, si insisteva nel sostenere che erano necessari ulteriori studi – che non potevano essere finanziati. Inizialmente le mie sollecitazioni furono viste con incredulità, poi venni ostacolato: “Più durezza sul crimine. Chi se ne importa delle cause?”.

 

1. Il "Product Placement" è una tecnica di comunicazione commerciale con cui l'immagine di un prodotto è collocata in modo apparentemente casuale all'interno di scene di un film, come forma di pubblicità di un'azienda che paga alla produzione un corrispettivo negoziato e disciplinato all'interno di un contratto, con accordi e reciproci diritti e doveri.

 

 

Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1765302,00.html
Tradotto da Barbara Redditi per Nuovi Mondi Media