Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il pensiero iniziatico di Goethe nella misteriosa «Favola del Serpente Verde»

Il pensiero iniziatico di Goethe nella misteriosa «Favola del Serpente Verde»

di Francesco Lamendola - 18/11/2010





Tra le opere di Johann Wolfgang Goethe meno  note al pubblico, ancor meno nota - se possibile - dei suoi scritti scientifici, che troppo spesso sono stati accantonati come una specie di curiosità, se non addirittura di bizzarria, vi è una favola lasciata volutamente senza titolo, come se egli la considerasse la propria favola per eccellenza, nota agli studiosi come «Il Serpente Verde».
A proposito, fiaba o favola? Secondo la definizione corrente,  la “favola” ha una impostazione più realistica della “fiaba”; mentre in quest’ultima, infatti, compaiono personaggi ed ambienti fantastici, come orchi, fate e folletti, nella prima sia i personaggi che gli ambienti sono realistici, come animali parlanti che evidenziano comportamenti e difetti tipicamente umani: valgano per tutti i celebri esempi di Fedro e di Esopo. Ora, nonostante il carattere “fiabesco” dell’atmosfera generale, questa breve ma enigmatica opera di Goethe sembra inclinare di più sul versante della “favola”, e come tale continueremo a indicarla.
Una favola, dunque, nel senso di apologo; nulla a che fare, però, con il genere della «favola dei suoni» di Galileo, contenuta ne «Il Saggiatore»; poiché il lettore si rende conto immediatamente che in essa deve trovarsi un messaggio nascosto, segreto, e che trovarne la chiave è compito suo, perché l’Autore non ha voluto presentargli un insegnamento già bello e fatto, ma sollecitarlo ad impegnarsi egli stesso per attingerne il significato.
In particolare, due sono le esegesi che si segnalano della goethiana «Favola del Serpente Verde»: quella di Oswald Wirth e quella di Rudolf Steiner.
Entrambe presentano spunti di notevole interesse, pur essendo entrambe caratterizzate da un punto di vista unilaterale: massonico quello di Wirth, antroposofico quello di Steiner, in conformità alle rispettive dottrine iniziatiche.
Lasciando perdere, per ora, la seconda, poiché richiederebbe un discorso molto ampio, in quanto Steiner ne faceva il fulcro della sua interpretazione del pensiero esoterico di Goethe e, in un certo senso, anche del proprio, diremo adesso qualcosa della prima.
Benché condotta, come si è detto, da un’angolazione totalmente massonica, ciò che può condurre a talune forzature, essa parte da un dato di fatto incontestabile: Goethe fu massone, iniziato nel 1780, a Weimar, quando aveva già trent’anni (era nato nel 1749); la sua, dunque, era stata un’adesione ben ponderata, determinata dalla profonda convinzione di un uomo fatto e non già da un impulso giovanile più o meno passeggero. Ciò, del resto, rientra nel carattere del grande scrittore: pacato, riflessivo, metodico.
Su Goethe massone esistono prove certe  e sono disponibili numerosi saggi che trattano la questione; ricordiamo, fra gli altri, quello di Donato Fasoli, «E Goethe aderì alla Loggia massonica», su «L’Unità» del 27/01/2000, che contiene una intervista a Marino Freschi, biografo e studioso del grande poeta tedesco; e Francesco Angioni, «Commento a “I segreti di Goethe”. Viaggio iniziatico nella ricerca della morte» e «Introduzione a J. W. Goethe massone e poeta», sul sito «Pietre - Stones. Rewiew of Freemasonry».
Del resto, allusioni alla Massoneria, che all’epoca di Goethe conosceva la sua epoca d’oro, ricorrono anche in altre sue opere, e specialmente nel «Wilhelm Meister»; ma è nella «Favola del Serpente Verde» che, a causa del suo carattere ermetico, è possibile leggervi più incisivi e coerenti rifermenti al sapere delle Logge.
Un giorno, forse, qualcuno scriverà la storia dei messaggi che la Massoneria ha voluto inviare, tramite alcuni insigni uomini di cultura, al pubblico, per vedere se avrebbero attecchito e se avrebbero fruttificato: da questa favola di Goethe, al «Flauto magico» di Mozart, passando per numerose altre opere letterarie, musicali e probabilmente anche figurative e architettoniche; ma non è questa la sede adatta per fare ciò, per cui registriamo una tale massiccia, ma ben dissimulata presenza culturale, e procediamo oltre.
Scrive, dunque, Owald Wirth, nel suo commento a quest’opera del grande poeta tedesco (Goethe, «Il Serpente Verde», Roma, Editrice Atanòr, 1979, pp. 84-85, 121; dall’edizione francese Dervy, Paris, 1977):

«Innanzitutto conviene domandarsi se il Goethe non si sia divertito a scrivere un racconto enigmatico, per l’unico piacere di incuriosire i contemporanei, e di far loro cercare un esoterismo de quale egli non aveva alcuna intenzione. Goethe si è orientato a lasciar credere che così fosse.  Nessuno ha mai potuto ottenere da lui la minima chiarificazione sul significato del racconto. In una lettera a Schiller, egli si limita a dire: “Poiché i 18 personaggi implicati nell’azione sono altrettanti enigmi, gli amanti di enigmi devono trovare il loro significato.”. Deridendo poi gli sforzi degli esegeti, nel 1797 scriveva: “più di venti personaggi intervengono nel racconto. Che fanno essi dunque tutti quanti? Il racconto, amico mio”.
Questo mutismo e questa ironia non provano che il racconto non faccia allusione a niente. A contrario, io ho l’impressione che il geniale pensatore vi ha immesso le sue concezioni più intime, quelle che egli non s curava di dare in pasto alle discussioni incompetenti. Avrebbe allora scritto il racconto per gli iniziati, per quelli che hanno appreso a decifrare i geroglifici eterni del pensiero umano.
Al riguardo non dimentichiamo che Goethe era massone. La Loggia AMALIA di Weimar si onora di avergli dato la luce il 23 giugno 1780. Un anno più tardi fu promosso Compagno, poi elevato alla Maestria il 2 marzo 1782, contemporaneamente al suo amico e protettore , il duca Carlo Augusto di Weimar. Il 4 dicembre dello stesso anno, si fece conferire il Quarto Grado scozzese della Stretta Osservanza, e l’11 febbraio 1783 firmò la propria obbligazione come Illuminato(Goethe und die Konigliche Kunst, von Hugo Wernekke, Vormals Meister  vom Stuhl der Loge Amalia in Weimar, Lepzig, Poeschekl et Kniottenberg, 1905).
Ma verso il ventesimo anno, Goethe si era iniziato a tutte le conoscenze misteriose del passato. Appassionato allora per la Kabalah, l’Ermetismo, e soprattutto l’Alchimia, egli si immerse nello studio dei più celebri autori della Rinascenza. Voleva scoprire il segreto delle operazioni della natura e farsi una religione basata sul risultati delle proprie scoperte.
Quale lavoro ha egli compiuto nel proprio spirito, durante i lunghi mesi che gli furono imposti dal deperimento di salute, dal 1768 al 1770? Non è forse da questa epoca che una immaginazione così fertile come la sua si trovò fecondata da germi, che dovevano svilupparsi in seguito?
Noi sappiamo che il racconto non è stato redatto che nel 1795. Ma da quando era in gestazione nella sfera mentale del poeta? Può darsi che tale gestazione sia stata inconscia, sotto o sovra cosciente, se un bel giorno Goethe non ha avuto che da lasciare scorrere contemporaneamente penna e immaginazione, per creare un’opera genialmente coordinata. Egli stesso ha spiegato che le sue più belle poesie furono una sorta di sonnambulismo poetico. Esse si sono presentate sotto la penna senza ch’egli le abbia cercate, e (per così dire) senza ch’egli ne abbia avuto coscienza (Firmery, Goethe, pag. 174; Paris, S. F. d’Imprimerie).
A queste condizioni, lontano dal non curarsi dei lettori del racconto, Goethe ha loro comunicato le profondità segrete del proprio pensiero. Io credo dunque che non bisogna esitar a fare l’autopsia del “Serpente Verde”. È un animale che si decompone in pietre preziose. Cerchiamo di raccoglierne il più gran numero possibile. […]
I simboli sono destinati a far pensare. Alla inerzia spirituale convengono i dogmi od i sistemi errati. Goethe ha molto meditato, come filosofo profondo, non meno che artista geniale. I problemi che lo preoccupavano maggiormente gli hanno ispirato il racconto geniale, che abbiamo rudimentalmente interpretato. Conviene dunque limitare i commentari,facendo appello alle meditazioni individuali degli amici della vera saggezza per perfezionarli. Possa il presente lavoro servire loro di guida, ed aiutarli a far essi stessi la luce nel caos di immagini evocate dinanzi il loro spirito. Se consentono a non evitare la loro pena,  un tesoro sarà la ricompensa, giacché (come dice il favolista)… c’est le fond qui manque le moins
Il Ponte da costruire secondo il sogno di Goethe ha raggruppato in Germania degli adepti, che si sono vivamente interessati alla interpretazione francese del Marchen. In quel paese come in altro, le associazioni iniziatiche si sono dissolte: ciò equivale alla morte del serpente verde e ala sua decomposizione in pietre luminose. Immersi nel Fiume della vita comune, i materiali dissociati scompaiono, ma l’energia costruttiva opera individualmente. Una affinità misteriosa riunisce sul fondo delle acque gli elementi dei pilastri che vivono, costruzioni madreporiche, destinate a sostenere il largo Ponte che unirà in un sol popolo  la folla disparata degli umani.»

Ma che cosa narra la «Favola del Serpente Verde»?
Ne diamo qui un brevissimo resoconto, affinché il lettore possa farsene una sia pur vaga idea e sentirsi invogliato a confrontarsi direttamente con questo enigmatico testo.
Una notte, il Traghettatore viene svegliato da due Fuochi Fatui che si fanno trasbordare sulla riva opposta del Fiume e lo pagano con delle monete d’oro, che il Serpente Verde, uscito dalla terra, si affretta ad ingoiare. Ciò lo rende luminoso; e ancor più luminoso diventa allorché chiede ed ottiene dai due Fuochi Fatui dell’altro oro. Il Traghettatore, però, non accetta l’oro ed esige la promessa che verrà pagato con tre cavolfiori, tre carciofi e tre cipolle: solo a quel punto lascia andare i Fuochi Fatui, che una forza inspiegabile aveva trattenuto.
Poi il Serpente entra in una grotta ove sono collocate delle raffigurazioni di Re, che gli rivolgono misteriose parole.  Compare un Vecchio con la Lampada che, portata a termine una sua speciale missione (quale?), torna a casa, passando senza difficoltà attraverso le rocce. Sua moglie, durante la sua assenza, ha ricevuto la visita dei Fuochi Fatui, i cui scherzi grossolani provocano la morte del cane Carlino.
La notte successiva, il Vecchio torna a casa e opera una trasmutazione in onice del cadavere del cane; poi, mediante la Lampada, indora l’interno dell’abitazione, le cui pareti erano state denudate  dai Fuochi Fatui.
All’alba del giorno dopo, la Vecchia si incammina per saldare il debito contratto dai Fuochi Fatui con il Fiume e per portare alla bella Lilia il Carlino di onice. L’Ombra del Gigante le sottrae un cavolfiore, un carciofo e una cipolla, ossia un terzo del prezzo richiesto dal Traghettatore ai Fuochi Fatui. Il Traghettatore non accetta il pagamento incompleto se non dopo che la Vecchia fa una promessa al Fiume, riconoscendosi debitrice nei suoi confronti.
Il Principe, intanto, sbarca a sua volta sulla riva con l’aiuto del Traghettatore e si avvia, accompagnato dal Vecchio; poi entrambi attraversano il Fiume sul dorso del Serpente, che funge da ponte. Anche i Fuochi Fatui, non visti, passano con loro sulla riva in cui abita Lilia, e così pure il Serpente.
Lilia, che ha il potere di rianimare le cose morte, ma anche di far morire le cose vive, fa rivivere il cagnolino di onice recatole dal Vecchio; mentre il suo amato canarino, per sfuggire ad un falco, si rifugia nel suo grembo e rimane ucciso dal contatto. Il Principe, che si stava avvicinando, assiste alla scena e, inorridito nel vedere la sua fidanzata che accarezza quel cane dall’aspetto deforme, decide di cercare la morte gettandosi nelle braccia di lei: e subito esala l’anima.
La situazione viene salvata dal pronto intervento del Serpente, che fa scudo al Principe con il suo corpo, e dall’Uomo con la Lampada, che sopraggiunge proprio mentre l’ultimo raggio di sole sta tramontando all’orizzonte.
Sopraggiunge, così, la terza notte dall’inizio della vicenda. Dopo aver vegliato il corpo del Principe, i Re passano il Fiume in processione sul dorso luminoso del Serpente; e ciascuno di essi acquista un po’ di quella luce. Da ultimo, il Serpente si sacrifica volontariamente e il Principe torna in vita, mentre le pietre preziose in cui si è dissolto il copro del Serpente vengono gettate nel Fiume. Intanto la processione entra nel santuario che si apre nel cuore della montagna; e, passando al di sotto del Fiume, sbuca all’esterno, presso la casa del Traghettatore.
Al mattino, si può constatare che il Tempio si è innalzato da solo. I re trasmettono al Principe un triplice potere: quello di agire, quello di riconoscere la bellezza e quello dell’intelligenza. Sorge il nuovo regno, con somma gioia di Lilia; mentre i suoi seguaci le conducono la Vecchia ritornata giovane e destinata ad essere, per altri mille anni, la moglie dell’Uomo con la Lampada, che il Principe ha nominato suo consigliere, insieme al Traghettatore, anch’egli trasfigurato.
Frattanto le pietre preziose nate dal corpo del Serpente, sott’acqua, si dispongono a formare gli archi  e i pilastri di un lungo e bellissimo Ponte, che da ora innanzi renderà quanto mai animati gli scambi fra le due rive del Fiume, che prima sembravano separate da una distanza incolmabile. Un ultimo momento di drammaticità si verifica quando il Gigante tenta di scagliarsi contro il nuovo regno, ma viene trasformato in una statua di porfido nella piazza che sorge fra il Tempio ed il Ponte. La favola si conclude con la folla che si reca ad ammirare la nuova stupenda costruzione e l’avvio del nuovo regno felice; su di essa, i Fuochi Fatui fanno piovere oro in quantità.
Come si vede, si tratta di un racconto irto di simboli, avvolto in una fitta aura di mistero, che, in verità - ma questa è solo la nostra modesta impressione - non si distingue per particolari pregi artistici, poiché, a differenza del Wirth, che vi vede ogni sorta di bellezze, ci sembra che sia piuttosto caratterizzato da una certa pesantezza esoterica, che ne rende faticosa la lettura.
Ciascuno potrà sbizzarrirsi nell’esegesi di un testo così oscuro, anche se alcuni simboli non sembrano di troppo difficile interpretazione. Molti studiosi, ad esempio, hanno visto nel Fiume il Reno, nella bella Lilia la Francia, culla dell’Illuminismo, e nel nuovo regno felice la Germania, rischiarata dai Lumi del nuovo secolo. Il Tempio sarebbe quello della Massoneria e l’odioso Gigante rappresenterebbe le forze dell’oscurantismo e della superstizione che si sforzano, ma invano, di contrastare il progresso dell’umanità, avviata ad un futuro radioso: l’ottimismo illuministico e massonico trionfa nelle scene finali.
Dal punto di vista letterario, potremmo osservare che lo spirito tedesco sembra particolarmente affascinato da questa particolare versione del romanzo filosofico di matrice illuminista, arricchendolo di arcani umori e di significati profetici e visionari: è, in un certo senso, la stessa atmosfera, o comunque un’atmosfera molto simile, a quella che si respira nello «Zarathustra» di Nietzsche e specialmente nella quarta parte (che, per la verità, è anche quella artisticamente meno felice, appunto perché appesantita da un eccesso di allegoria).
D’altra parte, la voluta mancanza di qualsiasi indicazione da parte di Goethe rende la «Favola del Serpente Verde» suscettibile delle più diverse interpretazioni, col risultato che un po’ tutti hanno cercato di tirarla dalla propria parte; come già detto, rimandiamo all’esegesi dello Steiner per una lettura in chiave antroposofica.
A noi basta, per ora, aver richiamato l’attenzione su questa strana operetta del grande poeta tedesco, davanti alla quale è difficile non provare un forte senso di curiosità, dovuto alla dimensione esoterica che da essa allusivamente traspare.