Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Kabul, l’occupazione permanente

Kabul, l’occupazione permanente

di Michele Paris - 22/11/2010


Il summit della NATO andato in scena nel fine settimana a Lisbona ha decretato ufficialmente la presenza illimitata delle truppe occidentali in Afghanistan. Oltre a cancellare la scadenza del luglio 2011 fissata da Obama lo scorso anno per l’inizio del ritiro delle forze alleate da Kabul, i 28 membri del Patto Atlantico e i loro ospiti hanno provveduto a delineare il ruolo futuro dell’Alleanza per il ventunesimo secolo, le cui minacce - più o meno reali - verranno fronteggiate anche grazie ad un nuovo costosissimo sistema di difesa missilistico in Europa e ad una partnership con la Russia ancora tutta da costruire.

Accolti dalle consuete manifestazioni di protesta, i leader riuniti nella capitale portoghese hanno cercato di partorire una strategia presentabile per giustificare il prolungamento indefinito dell’occupazione afgana. Di fronte ad un’opinione pubblica da entrambe le sponde dell’Atlantico sempre più contraria ad un conflitto ormai quasi decennale, i vertici NATO, sotto la guida del presidente Obama, hanno fissato ora l’anno 2014 come il termine ultimo per le operazioni di combattimento. Entro quella data dovrebbe terminare una fase di transizione durante la quale il controllo delle operazioni sul campo passeranno progressivamente al governo afgano.

Se le forze di sicurezza di Kabul, come ampiamente prevedibile, non saranno però in grado di cavarsela da sole, Washington e i suoi alleati continueranno a stazionare in Afghanistan con svariate decine di migliaia di uomini. L’accordo per la permanenza dei militari occidentali nel paese centro-asiatico è stato siglato dal segretario generale della NATO, l’ex primo ministro danese Anders Fogh Rasmussen, e dal presidente Hamid Karzai.

Quest’ultimo, invitato speciale al summit di Lisbona, ha dovuto subire i rimproveri non troppo velati dello stesso Obama e del comandante delle forze NATO nel suo paese, generale David Petraeus. Entrambi si erano infatti risentiti per una recente intervista al Washington Post nella quale Karzai si lamentava con i propri padroni per le conseguenze devastanti sulla popolazione civile dei raid notturni che regolarmente vengono effettuati per catturare o uccidere leader ribelli.

A Karzai non solo è stato imposto di sottoporre preventivamente alla delegazione americana il suo discorso ufficiale di fronte ai membri dell’Alleanza per evitare spiacevoli sorprese, ma gli è stato in sostanza anche ricordato che è Washington a condurre i giochi in Afghanistan e che non saranno certo qualche centinaia di vittime innocenti a far cambiare la strategia di guerra, comunque la pensi il suo governo fantoccio.

Con un artificio retorico si è così spostato l’accento dalle operazioni di guerra a quelle di addestramento delle inconsistenti forze di sicurezza afgane, nella speranza di placare la rabbia crescente dei cittadini europei, americani e canadesi. Allo stesso tempo, con un tale espediente si cercherà di ottenere l’invio di una manciata di soldati/addestratori - come ha fatto il governo italiano - da aggiungere ai quasi 150 mila uomini già di stanza nel paese occupato.

Ben poco impensieriti dalle implicazioni che tale prolungata presenza avrà sulla popolazione civile in termini di morti e distruzione, i capi di stato e di governo riuniti in Portogallo hanno così fornito tutto il loro sostegno alla strategia statunitense. Una strategia dettata essenzialmente dal Pentagono e che ha prevalso sul piano inizialmente offerto da Obama agli americani, quando sul finire del 2009 decise di aumentare sensibilmente il proprio contingente militare in Afghanistan.

Questo paese d’altra parte continua a rappresentare un punto nevralgico per gli interessi degli Stati Uniti, al di là della presunta minaccia terroristica che incombe sul territorio americano. Washington semplicemente non può abbandonare quest’area dell’Asia centrale - come non può abbandonare i Medio Oriente lasciando l’Iraq - dove l’influenza su paesi che dispongono di vaste riserve minerarie, e da dove transitano rotte energetiche di importanza vitale, è duramente contesa con le altre potenze planetarie, Cina in primis. A conferma di ciò, l’amministrazione Obama sta da tempo negoziando con il governo afgano un accordo bilaterale - separato da quello firmato a Lisbona - che prevede un “supporto” indefinito da parte statunitense in ambito economico, culturale e della sicurezza.

Oltre all’Afghanistan, l’altro obiettivo principale degli USA e della NATO a Lisbona era la riproposizione del sistema di difesa missilistico da installare in Europa, già voluto a suo tempo da George W. Bush e poi abbandonato in seguito all’opposizione della Russia. Il nuovo progetto ha incassato invece ora l’ok del presidente Medvedev, anch’egli presente al summit per inaugurare un nuovo corso cooperativo con la NATO, il quale pur tra qualche dubbio ha assicurato che Mosca fornirà la propria collaborazione alla rete di difesa europea, dal momento che quest’ultima non viene più percepita come una minaccia nei confronti della Russia.
 
Secondo la versione ufficiale, lo scudo anti-missilistico serve a difendere i paesi europei dal lancio di ordigni balistici dall’Iran, anche se la Repubblica Islamica non è stata ufficialmente nominata come possibile minaccia in seguito alle pressioni della Turchia, che continua ad intrattenere rapporti molto cordiali con Teheran. A rompere il silenzio ci ha pensato però il presidente francese Sarkozy che ha apertamente indicato l’Iran come la minaccia, peraltro del tutto inesistente, che incomberebbe sull’intera Europa.

Il segretario Rasmussen ha infine presentato i nuovi compiti dell’Alleanza che presiede, così da giustificarne la sopravvivenza a sessantuno anni dalla sua creazione. La NATO dovrebbe cioè rappresentare un baluardo contro le minacce globali di terrorismo e guerra informatica ma anche un sistema collettivo di difesa per prevenire crisi, gestire conflitti e stabilizzare aree interessate da guerre (possibilmente innescate dalla stessa NATO).

Nella realtà dei fatti, ciò che si intravede è ancora una volta la fabbricazione di sempre nuove minacce che permettano di continuare a vendere armi e che, soprattutto, rendano possibile il dispiegamento di forze destinate a servire gli interessi strategici occidentali, in primo luogo quelli di Washington. Un espansionismo che, oltre all’Afghanistan, riguarda già anche l’Asia meridionale e il Pacifico, l’America Latina e l’Africa. Il tutto con il “consenso” di una NATO che, per dirla con le parole di Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza nazione di Jimmy Carter, continuerà anche nel nuovo secolo a rappresentare un vero e proprio strumento per la “perpetuazione della strategia egemonica americana” su scala planetaria.