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Gli Usa volevano fermare la corsa atomica di Israele

di Emanuele Giordana - 27/05/2006

 
Richard Nixon, che nel ’69 ebbe la sicurezza che Israele aveva la bomba, doveva decidere cosa fare: dissuadere, far finta di nulla, tenere la cosa segreta al mondo e al Congresso? Decise per quest’ultima opzione ma non fu una scelta a cuor leggero checché la vulgata voglia israeliani e americani sempre e per forza d’accordo su tutto 



Il 7 febbraio del 1969 sul tavolo di Henry Kissinger arrivò un memorandum sul possibile impatto della capacità nucleare di Israele sulla politica degli Stati uniti. Era un documento «sensibile», quindi segreto. Il primo capoverso, intitolato «Il problema», spiegava che le fonti di intelligence indicavano come Israele stesse «sviluppando rapidamente la capacità di produrre e schierare armi nucleari»: missili terra-terra oppure ordigni da sganciarsi dall'aria. «Avendo coscienza delle implicazioni negative» che comporterebbe rendere nota la cosa, proseguiva il documento redatto da Henry Howen del Dipartimento di Stato, Israele stava lavorando al programma «clandestinamente» finché non fosse stato in grado di decidere il modo in cui dispiegare la sua forza nucleare.
Vista con gli occhi di oggi, è una storia che sembra raccontare il segreto di Pulcinella. Ma i nuovi documenti desecretati su come si svolse la vicenda in quegli anni, intorno al 1969 in sostanza, rivelano alcuni particolari inediti. Soprattutto rispetto all'atteggiamento dell'amministrazione americana. Che temeva la potenza nucleare di Israele. Il programma era noto da almeno una decina d'anni e gli americani sapevano già dal '61 che Israele era ormai vicina alla bomba, a cui lavorava dal 1958 negli impianti di Dimona. La stima dell'intelligence Usa fu, agli inizi degli anni '60, che era solo questione di tempo. Al massimo una decina d'anni e sia Kennedy (1961-1963) che Johnson (1963-1969) avevano già espresso le loro perplessità a riguardo. Le stime degli 007 erano azzeccate e Israele, benché avesse deciso di non condurre test, arrivò a varcare la soglia del nucleare a scopi militari già nel '66.

Tocca a Nixon decidere

Toccò quindi a Richard Nixon, che nel '69 ebbe la sicurezza che Israele aveva la bomba (era il suo primo anno di mandato), decidere cosa fare. Dissuadere, far finta di nulla, tenere la cosa segreta al mondo e al Congresso? Nixon decise per quest'ultima opzione. Ma non fu una scelta a cuor leggero, ancorché la vulgata voglia israeliani e americani sempre e per forza d'accordo su tutto.
Il 1969 era un anno particolare. C'era in ballo la ratifica del Trattato di non proliferazione nucleare (Npt) e l'entrata in scena di Israele come attore nucleare avrebbe creato problemi. Il Trattato di non proliferazione nucleare era stato «aperto alla firma» il 1 luglio 1968: fu la pietra angolare del sistema di convenzioni relative agli armamenti e materiali nucleari. Materia sensibile che entrò poi in vigore dal marzo del 1970.
Acqua passata? Sino a un certo punto, visto che dei 188 paesi firmatari India, Pakistan e Israele non l'hanno mai ratificato e la Corea del Nord ne è uscita nel 2003. Inoltre siamo tornati a una forte tensione sull'argomento nucleare e le «ramificazioni di quella storia segreta», hanno scritto i due ricercatori Avner Cohen e William Burr, fanno ancora sensazione. Raccontano sul passato quel che forse sapremo forse tra trent'anni sui tanti dossier nucleari attualmente sul tavolo della comunità internazionale: dal negoziato con la Corea del Nord appunto (in qualche modo ricompostosi) al tira-e-molla sul dossier iraniano, fino alle recenti avances sull'argomento tra Washington e Nuova Delhi. Riaprono il mai sopito dibattito sul doppio standard. Su chi in sostanza può, più o meno apertamente, maneggiare l'uranio e chi no.
La storia che si dipana tra il febbraio e il settembre del '69, quando è in agenda l'incontro tra l'inossidabile premier israeliano Golda Meir e Richard Nixon a Washington, viene rivelata da una corposa, benché non esaustiva, mole di documenti. E' una storia, hanno ricordato recentemente Cohen e Burr sul Washington Post, attraversata da un senso di «urgenza e allarme» che fa scrivere al segretario alla difesa Melvin R. Laird, in marzo, che gli sviluppi nucleari israeliani «non sono nell'interesse degli Stati uniti» e che «se possibile» vanno «fermati». Nixon e il suo gran consigliere per la sicurezza Henry Kissinger, più tardi capo della diplomazia americana, sono nel mezzo di un dibattito che a volte si fa persino aspro. Stretto tra la tradizionale amicizia di un piccolo stato circondato da nemici anche degli Stati uniti e la possibile pericolosa escalation che la divulgazione del segreto di Dimona potrebbe innescare.

Cosa fare con Israele

Incaricato di studiare la questione è un gruppo di lavoro sul programma nucleare israeliano, capeggiato da Kissinger e che include diverse personalità di spicco dell'amministrazione: dal sottosegretario di stato Elliot Richardson al capo di stato maggiore Earle Wheeler. Sembra che il gruppo dei senior (Senior Review Group o Srg) fosse orientato a una certa pressione su Israele. Kissinger un po' meno. Tra gli argomenti di pressione c'era la questione della vendita di alcuni Phantom F-4 che poteva essere usata come arma di ricatto. Poi però la cosa si sbloccò. Quanto alla completa verità su quella vicenda, sulle carte più «sensibili» (i famosi file Nssm 40), resta ancora oggi il segreto di stato.
In luglio Richardson incontra Ytzhak Rabin, che è stato appena nominato ambasciatore a Washington. C'è anche il vice della difesa David Packard, anche lui dei senior del gruppo di lavoro. I due pongono a Rabin una serie di questioni dirette tra cui la posizione sul dossier Npt e gli chiedono rassicurazioni formali sul non possesso dell'arma atomica. Rabin glissa - a parte la questione del Trattato di non proliferazione che, dice, è allo studio. L'incontro è solo un aperitivo. Prepara il vero appuntamento dell'anno: la visita di Golda Meir alla Casa bianca del 26 settembre.
Non si sa cosa si siano detti nello studio ovale la lady di ferro di Israele e il presidente degli Stati uniti anche se, in parte, lo hanno poi raccontato documenti declassificati da Israele. Secondo i quali Nixon convinse la Meir che il suo paese doveva dire tutta «la verità» sul dossier nucleare agli americani. Cohen e Burr sono convinti che in quel colloquio, per ammissione esplicita o implicita del premier israeliano, la verità venne fuori. Una verità che gli americani conoscevano, ma solo fino a un certo punto. Sembra di capire che Nixon, come in parte riporta una nota di Kissinger, rese chiaro alla Meir che non solo la cosa doveva rimanere segreta, ma che Israele non avrebbe dovuto fare test di alcun tipo. Una raccomandazione che il premier israeliano condivideva pienamente.

Questione chiusa

Nell'ufficio di Nixon quel 26 settembre la questione fu chiusa. E gli americani smisero di fare pressioni su Israele. Mesi dopo Rabin confermò che Israele non avrebbe firmato il Tratato di non proliferazione mentre l'atteggiamento dell'Amministrazione verso il programma nucleare israeliano cambiò radicalmente. Secondo i ricercatori dei National Security Archives, che hanno recentemente pubblicato i documenti declassificati, cambiò anche l'atteggiamento verso il sito di Dimona. La Casa bianca aveva in piedi, sin dai tempi delle amministrazioni precedenti, un programma di visite «segrete» al sito israeliano. Era una forma di controllo accettata dagli israeliani anche se, sembra di capire, facevano vedere agli ispettori quello che volevano.
Dopo l'incontro-accordo del 1969 il presidente decise che sarebbero terminati. Ma i funzionari di medio livello non ne vennero informati così che l'impressione per i controllori rimase quella che si continuava a monitorare il sito sensibile. E fino al 1975 (Nixon terminò burrascosamente il suo mandato nel '74) il Dipartimento di stato non fece mai sapere al Congresso degli Stati uniti che la Casa bianca era certa che Israele avesse la bomba, anche se ormai l'intelligence, e come abbiamo visto non solo quella, ne era ormai più che sicura. Un pezzo di storia ancora pieno di se e di ma e che in parte resta da scrivere. Come ancora resta da scrivere quello sul nucleare iraniano, coreano, indiano e così via. L'unica certezza è che la verità in questi casi finisce sempre per restare nascosta.


Fonte:
www.lettera22.it
Link:
http://www.lettera22.it/showart.php?id=4966&rubrica=12