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Le grasse e ricche banche italiane

di Bruno Perini - 27/05/2006

 
Per loro la crisi economica che negli ultimi anni ha investito come un tornado l'industria manifatturiera italiana ed europea parte dei servizi non esiste. Non è mai esistita. Anzi, è probabile che sia stata proprio la crisi dei grandi gruppi a ingrassarle fino all'inverosimile. Stiamo parlando delle banche italiane radiografate due giorni fa da due istituzioni autorevoli: il centro di ricerca di Mediobanca, R&S, e l'Abi, l'associazione delle banche italiane. Le grandi banche italiane hanno seguito negli ultimi anni il sentiero virtuoso dei grandi gruppi europei migliorando gli utili e riducendo i costi ma rimane un distacco strutturale rispetto alla concorrenza nella dotazione patrimoniale più fragile, nella dimensione più piccola e nel fardello di crediti deteriorati più pesante, si legge nel rapporto Mediobanca R&S.

Trascuriamo per un attimo la fragilità e concentriamoci su un dato: gli istituti di credito sono rigonfi di utili. Per i nostri giganti del credito fra il 2004 e il 2005 il rapporto tra profitti e ricavi è passato dal 19,3% al 25,4%, ben 4 punti in più della media europea. Cifre impressionanti se vengono lette in valore assoluto. Che cosa ci dice quell'orgia di utili? Ci dice in primo luogo che la finanziarizzazione dell'economia è tutt'altro che un'ipotesi accademica. Gran parte di quegli utili vengono probabilmente dalle crisi aziendali e questo dimostra ancora una volta quanto la nostra economia reale si dipendente dal sistema bancario. L'altra ipotesi è che gli utili vengano da servizi finanziari al dettaglio tra i più cari d'Europa. Quando ai banchieri italiani si rimprovera la poca concorrenza nel settore dei servizi retail vanno su tutte le furie e ti mostrano elaborati grafici sui molti player che si confrontano sul mercato ma quando si dimostra che malgrado la competizione apparente i costi dei servizi nel nostro paese fanno fatica a scendere nessuno sa dare spiegazioni plausibili.

Grasse ma ancora troppo piccole e fragili. Sembra essere questo il verdetto che esce dalla seconda parte dell'analisi di R&S e dell'Abi. Questa seconda questione attiene a come è stato gestito fino ad ora il risiko bancario da parte della banca d'Italia di Antonio Fazio. L'ex governatore, in nome di un sospetto nazionalismo economico, ha sempre rifiutato la dimensione europea del sistema bancario e così facendo ha ritardato non di poco i processi di integrazione nell'area Ue. Ora le cose sono cambiate. Mario Draghi sembra disposto a riaprire le porte ma, forse giustamente, preferirebbe che il sistema bancario italiano affrontasse «lo straniero» con un po' più di muscoli. Finora le aggregazioni possibili, vedi Intesa-Capitalia, sono fallite, si spera che nella stagione che si è aperta il sistema bancario italiano sia in grado di darsi una struttura più efficiente e in grado di affrontare quei gruppi stranieri che prima o poi si presenteranno alle porte dell'Italia.