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La guerra e i “media”

di Lorenzo Adorni - 21/01/2011

Fonte: lorenzoadorni


 


“Miotto è stato ucciso da un cecchino”“No”“Miotto è stato ucciso in uno scontro a fuoco”.La maggior parte dei “media” ha considerato queste due ipotesi come se prefigurassero scenari differenti. La prima un atto isolato e la seconda uno scontro, quindi un atto di guerra.

Come se fosse ancora necessario dimostrare che in Afghanistan, da un decennio, si stia combattendo o meno una guerra.

 

Per comprendere la realtà, non serve la singola dinamica di un evento. Occorre un’ analisi più ampia, nella quale i fattori politici interni italiani contano assai poco. L’Italia non è in guerra a seconda del fatto che il governo di turno parli o meno di “missioni di pace”.Sono le dinamiche che coinvolgono il teatro degli scontri, l’Afghanistan per l’appunto, a permetterci di comprendere se sia, o non sia, in atto una guerra.

Generalmente si può ritenere che vi sia presenza di una guerra quando esiste uno scontro armato sostenuto, anche se discontinuo, e nessuna fra le forze presenti sul campo è in grado di esercitare un controllo determinante e risolutivo imponendo il proprio volere all’avversario.

In Afghanistan siamo in guerra.

Le dinamiche e le conseguenze dei recenti accadimenti

La dinamiche con cui questi due soldati sono caduti in Afghanistan, ci descrivono nuove tipologie di combattimento intraprese dalla guerriglia. Il Caporal Maggiore Miotto è caduto, presumibilmente, sotto i colpi di un cecchino. Il Caporal Maggiore Sanna sotto quelli di un infiltrato.

Nel caso della morte di Miotto sono state sostenute due ipotesi, il cecchino o lo scontro a fuoco ma, nella realtà non si escludono a vicenda.Il proiettile che ha provocato la morte di Miotto, stando alle dichiarazioni, è stato esploso da un fucile Dragunov.Con questa arma, dotata di caricatori a dieci colpi, non si può sostenere uno scontro a fuoco per “alcune decine di minuti”, nei confronti di una postazione ben difesa.

Ragionevolmente, vi era la presenza di altri guerriglieri taliban che hanno sostenuto un conflitto a fuoco prolungato, a supporto dell’attività del cecchino, il quale verosimilmente operava da una zona diversa per non essere individuato.Oltre a rivelarci nuove tipologie di combattimento da parte degli insorti,questa attività ci rivelava innanzitutto la presenza di armi speciali, generalmente fucili semi-automatici Dragunov, di produzione sovietica, e delle relative munizioni di calibro specifico.

Il Dragunov inoltre non è un ferro vecchio com’è stato descritto ma, è un arma estremamente precisa, capace di colpire bersagli a più di un chilometro di distanza, qualora dotata della specifica unità ottica di puntamento.La disponibilità di tali armi non è un’ aspetto da sottovalutare. Gli insorti, contrariamente a quanto ha quanto sostiene il Ministro della Difesa, non comprano le armi ai mercati neri di alcune città, anche se queste risultano disponibili. I canali di approvvigionamento di armamenti in Afghanistan, così come quelli iracheni, sono assai più complessi di quanto si possa credere. Sono stati oggetto di numerosi rapporti di intelligence, dai quali si evince che in determinati casi tali armi provengono anche da paesi particolarmente distanti dall’Afghanistan.

Non a caso il Generale Bellacicco si è espresso in questi termini : “[...]stiamo anche verificando se per caso sia stata introdotta nella nostra area una partita di questo tipo di fucili da precisione.”

Il fuoco dei cecchini, come nuovo genere di attività ostile, era già comparso in Iraq, e si era andato intensificando dal 2008. La nuova strategia dei ribelli consisteva nel colpire soldati in pattugliamento all’interno di villaggi o presenti in avamposti.Questi cecchini venivano addestrati in alcuni degli stati che supportano la guerriglia, con l’appoggio più o meno diretto di organizzazioni e istituzioni locali.Recentemente sono comparsi anche in Afghanistan, comprendere la provenienza reale dell’arma e il grado di addestramento del cecchino ci aiuterebbe a fare chiarezza riguardo le reti di approvvigionamento così come dei metodi di supporto e addestramento degli insorti.

Il caso di Gullab AlI Noor è ancora più significativo. Questo attentatore dopo essersi infiltrato da mesi nell’esercito afghano, ha deciso di colpire, uccidendo il del Caporale Maggiore Sanna e ferendo un altro soldato.

Proprio nel momento in cui, con la nuova strategia dell’amministrazione Obama , si è deciso di investire notevolmente nell’addestramento dell’esercito afghano e nel pattugliamento misto, questo genere di atti ostili mira a ledere il rapporto fiduciario presente fra i militari della coalizione e i militari afghani. Questo tipo di attentato è stato studiato con assoluta precisione. Non si tratta dell’attività isolata di un singolo e probabilmente è un fenomeno che si ripeterà in futuro.Sulla vicenda andrebbero effettuati degli approfondimenti. Bisognerebbe comprendere a quali organizzazioni locali è legato il terrorista e da chi è stato addestrato a mantenere questo comportamento da infiltrato per mesi.

Tornando alla presenza dei cecchini,va segnalato che inglesi e statunitensi hanno intrapreso le dovute contromisure. Entrambi gli eserciti di questi paesi si sono dotati di sofisticati sistemi elettronici per individuare i cecchini e la provenienza degli spari, anche da notevole distanza. Sistemi costosi, che si usano in guerra ma, come è noto, l’esercito italiano è impegnato in una “missione di pace”.

Concludendo

Clausewitz sosteneva che “La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”.

La guerra in Afghanistan continuerà fino a quando la politica non avrà più mezzi a disposizione per sostenerla.