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Delle primarie di Napoli, ovvero l’impossibilità di essere un Paese normale

di Francesco Lamendola - 27/01/2011



«Pietà l’è morta», diceva un truculento motto dei tempi della guerra civile in Italia, fra il 1943 e il 1945.
«Speranza l’è morta», verrebbe da dire al cittadino onesto e sensibile ai destini della Patria, davanti all’osceno spettacolo della politica odierna.
Dopo diciassette anni che gli Italiani vogliono essere governati da un personaggio come Berlusconi, che in qualunque Paese serio non sarebbe neppure arrivato a candidarsi, sia per il macroscopico conflitto d’interesse, sia per le sue origini politiche piduiste e per i processi che si tira dietro fin dall’inizio, ecco che il maggiore partito di opposizione e - in prospettiva - di alternativa, offre di sé la desolante sceneggiata delle elezioni primarie all’insegna del maneggio, dell’intrallazzo, della frode vera e propria.
Quelle code di cittadini cinesi con i loro strani accompagnatori, davanti ai seggi delle primarie del Partito Democratico, a Napoli, mentre migliaia di cittadini onesti e animati da autentica speranza facevano la fila per esprimere le loro preferenze, resteranno indelebilmente impresse nella memoria e nella coscienza di chi avesse creduto, anche solo per un attimo, che dal pantano del berlusconismo si potesse uscire facilmente, con una alzata di orgoglio.
No, il male è molto più profondo di quel che non si voglia ammettere: l’Italia intera è ammalata, da destra a sinistra, e, quel che è peggio, sembra ben decisa a rimanere nella propria malattia, a sguazzarci dentro il più possibile e a spremerne fin l’ultima possibilità di furberia, di privilegio, di prevaricazione, ai danni del vivere civile e del bene comune.
Non c’è da stupirsi se migliaia e migliaia di laureati se ne vanno, lasciando questo Paese che sembra condannato a una deriva inarrestabile.
Diciamola, anzi, tutta: tranne che per i pensionati, ormai non ci sono ragioni profonde che dovrebbero legare i cittadini d’ogni classe e d’ogni età alla propria Patria, che dovrebbero trattenerli da ogni idea di andarsene, che dovrebbero indurli a rimanere per costruire qui un futuro migliore, per sé e per i propri figli.
Non è solo questione di crisi economica (mentre il resto dell’Europa che conta sta già marciando fuori di essa), né di crisi sociale, e nemmeno di crisi morale: è il venir meno di un ragionevole orizzonte di speranza, davanti all’amara constatazione che, oggi, nel nostro Paese sembra esserci ancora posto soltanto per i troppo furbi, per i disonesti e per gli utili imbecilli.
Certo, Berlusconi è uno scandalo: fino a che rimarrà sulla scena politica, il nostro Paese non potrà mai rientrare nella normalità, né essere guardato con stima e con rispetto dal resto del mondo; questo è un fatto, che piaccia o non piaccia ai suoi ultras.
Ma il male non è solo lui: lui, anzi, è stato - ed è - la manifestazione più visibile del male. Il male è in noi tutti, il male siamo noi, come popolo, beninteso, e non come singoli individui. Non si diventa nazione in pochi anni, come è avvenuto nel biennio 1859-60; né si diventa popolo senza obiettivi condivisi e senza una degna classe dirigente che li sappia interpretare.
Noi non abbiamo avuto né l’una, né l’altra cosa; e nessuno dei governi che si sono succeduti in questi centocinquanta anni ha saputo o voluto fare nulla per crearne almeno le premesse e le condizioni necessarie.
Obiettivi condivisi non ne abbiamo neppure oggi, non solo in senso geografico (alle Alpi alla Sicilia), ma nemmeno in senso civico: non c’è Comune d’Italia, per quanto piccolo; non c’è distretto scolastico o amministrazione pubblica, che non siano lacerati e paralizzati, al loro interno, da faide furibonde, da giochi al massacro, da faziosità intollerabili, da campanilismi beceri e dalla difesa a oltranza degli interessi più egoistici e retrivi.
Non c’è nulla che funzioni: dall’università, alla scuola, alla sanità, ai trasporti, alle banche, alle poste, al sistema tributario: nulla, alla lettera.
Nel Paese che paga le tasse più alte d’Europa (poco meno della metà degli stipendi), i pubblici impiegati devono portarsi da casa, in ufficio, le penne per  scrivere, la carta per le fotocopie, la stufetta per il riscaldamento.
Nel Paese ove si pagano le tasse più alte d’Europa e la benzina più cara d’Europa, le pubbliche amministrazioni non sono capaci nemmeno di smaltire i rifiuti urbani e una delle maggiori città, visitata da milioni di turisti provenienti da ogni parte del mondo, giace da anni sotto tonnellate e tonnellate di rifiuti.
In almeno quattro regioni è la criminalità organizzata a dettare legge e lo Stato non ha mai fatto altro che venire a patti con essa, salvo singoli individui che hanno rischiato di persona e, in molti casi, hanno pagato con la vita la loro battaglia per la legalità e la giustizia.
Ormai si rubano le salme dei morti per chiedere un riscatto; e, negli ospedali (è cronaca spicciola della giornata odierna) si rubano le fedi e le collanine d’oro agli anziani degenti.
Non è solo la crisi economica, anche se è un fatto che essa ha impoverito chi già viveva al limite della sussistenza, mentre ha consentito ai ricconi di aumentare ulteriormente le loro fortune; perché, quando si arriva a questi livelli, vuol dire che l’intero sistema di valori sta franando. La povertà non rende disonesti, al massimo fornisce l’occasione.
Ma torniamo a quelle file di Cinesi davanti alle urne elettorali delle primarie di Napoli e al loro significato generale.
Non si è trattato solo di uno schiaffo a tutte quelle persone oneste, magari anziane e in cattive condizioni di salute, che si sono recate a votare con tanto entusiasmo, immaginando di poter contribuire alla rinascita di un Paese migliore, dove gli scandali della villa di Arcore non facciano più scuola; si è trattato di un danno molto più grave.
Bisogna avere il coraggio di riconoscere, a questo punto, che il problema non è più rappresentato da questo o quel governo, da questo o quel partito, da questo o quel gruppo d’interessi (anche se ciò pesa, eccome: come continua a pesare il retaggio della P2, con tutti i Cicchitto che da essa sono usciti).
Il problema è che siamo Italiani.
E lo diciamo con immenso dolore e con immensa tristezza.
Siamo caduti così in basso per tutta una serie di nodi strutturali che facevano parte dei nostri cromosomi e non per fatalità o concorso di cause accidentali.
Siamo caduti così in basso dopo aver coccolato, vezzeggiato e assecondato, per decenni, i peggiori difetti del carattere nazionale, magnificamente riassunti ed esemplificati dalla figura del nostro attore più popolare degli scorsi anni, l’Albertone nazionale: con quel suo misto di cialtroneria, improntitudine, vigliaccheria e furbizia da quattro soldi.
Lo abbiamo applaudito, abbiamo riso, abbiamo fatto la coda davanti al botteghino, perché ci piaceva, perché ci riconoscevamo in lui; proprio come ora le ragazzine vanno ad ascoltare Lele Mora per ricevere consigli su come puntare al successo (anche dopo la recentissima inchiesta milanese sul cosiddetto “caso Ruby”) e, interrogate se alle feste di Arcore, loro, ci andrebbero, rispondono in coro: «Altroché; magari venissimo invitate anche noi!».
Questo significa aver toccato il fondo.
Questo significa che le generazioni adulte sono riuscite a trasmettere a quelle più giovani il messaggio educativo peggiore che mai avrebbero potuto: quello di arrivare a tutti i costi, con qualunque mezzo, a prezzo di ogni residuo di dignità; arrivare scavalcando i meritevoli, gli onesti, i preparati; arrivare e poi fregarsene di tutto.
Dobbiamo fare un «mea culpa»: i giovani non sarebbero diventati così, se noi non avessimo fatto tutto il possibile per corromperli e per trasmettere loro modelli di vita e di comportamento assolutamente squallidi e aberranti.
Però, grazie al Cielo, i giovani non sono tutti così.
Nemmeno gli adulti sono tutti così; non tutti sono ugualmente responsabili.
Vi sono anche i genitori che hanno cercato di insegnare ai propri figli, con l’esempio, il valore dell’onestà, della sobrietà, dello spirito collaborativo.
E vi sono anche migliaia di ragazzi e di giovani che si spendono generosamente nel volontariato; che non vivono pensando solo al vestito firmato; che sono sensibili, con i fatti, ai problemi e alle difficoltà del prossimo.
Non tutti gli Italiani si meritano una classe dirigente come quella che ci affligge; non tutti gli Italiani si meritano il disprezzo e le sghignazzate che, all’estero, si fanno su di essa e, indirettamente, anche su di noi.
È tempo che le belle persone rialzino la testa e guardino avanti, resistendo alla tentazione di andarsene, di fuggire in un Paese più civile, dove tutti pagano le tasse, dove i rifiuti vengono smaltiti senza problemi e dove un politico o un pubblico amministratore, se vengono beccati in flagrante di appropriazione indebita, anche solo per una somma di pochissimi euro, sono costretti a rassegnare immediatamente le dimissioni e spariscono per sempre.
Un gigante della politica tedesca ed europea come Kohl è stato travolto da una vicenda di finanziamento illecito al proprio partito e a nulla gli è servito chiedere scusa mille volte ai suoi concittadini (a tutti e non solo a quelli che l’avevano votato: ha dovuto uscire di scena tristemente, biasimato e rapidamente dimenticato.
Nei Paesi seri non si scherza con certe cose.
Da noi, i massimi esponenti del mondo politico, se vengono beccati con le mani nel sacco, invece di scusarsi e di sparire, non sanno fare altro che insultare i giudici, parlare di golpe e di eversione, di persecuzione giudiziaria, di guerra civile strisciante; e stipendiano eserciti di azzeccagarbugli mercenari per compilare contro-memoriali, intorbidare le acque, sollevare ogni genere di polverone e, alla fine, sottrarsi alla giustizia e continuare ad occupare impunemente le loro amatissime poltrone, tenendole anzi calde per le proprie amanti, per i propri figli e cugini, per i propri compagni di loggia massonica.
Sempre gli stessi, imperterriti, riciclandosi di tanto in tanto per confondere un po’ le idee, per fare un bagno di rinnovata verginità politica: inossidabili, inamovibili, eterni, come Ben Alì, Fidel Castro  e Kim il Sung.
E tuttavia, anche se tutto questo è fin troppo vero e di estrema attualità, dobbiamo smetterla di commiserarci.
Mandiamoli a casa; ma badiamo a sostituirli con persone più degne e rispettabili.
Ce ne sono poche? Forse dobbiamo imparare a guardare meglio, a cominciare dalle amministrazioni locali.
E poi, certo, dobbiamo anche ottenere che sia modificata questa indegna legge elettorale, che consente ai segretari di partito di nominare i parlamentari a loro discrezione.
Ma nessuna legge elettorale restituirà trasparenza ed efficienza alla politica italiana, se il cittadino medio non imparerà ad essere più intransigente e rigoroso con se stesso e con i propri rappresentati: perché quando si è troppo indulgenti con se stessi, si diventa cinici al momento di scegliersi i propri rappresentanti istituzionali.
La paurosa deriva morale berlusconiana non ci sarebbe stata, se l’Italiano medio avesse imparato ad essere più esigente e rigoroso con se sesso: a non indulgere ai falsi certificati medici, alle false dichiarazioni delle tasse, alle mille piccole e grandi furbizie che contribuiscono, ogni giorno, a mandare in malora questo grande Paese, che sarebbe così ricco di potenzialità.
Se non vogliamo farlo per noi stessi, facciamolo almeno per i nostri figli e per i nostri nipoti: abbiamo il dovere della speranza, perché essi ci guardano.
Abbiamo già dato loro fin troppi cattivi esempi.