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Responsabilità internazionali della crisi libanese

di Gilbert Dawed - 28/01/2011



 
Cosa pensa di quanto sta accadendo in Libano, con la caduta del governo Hariri?
Innanzi tutto si tratta di una crisi interna libanese. Che non riguarda altri, eccetto i libanesi. Per parlare crudamente i Signori Obama e Sarkozy (le persone più nocive in questo quadro) e le loro consorti, dovrebbero occuparsi d’altro: dei loro affari interni. O piuttosto di quelli dei loro soldati che fanno già inutilmente uccidere in Afghanistan per conto di un potere di clan narco-mafiosi. A meno che di aggiungere un nuovo fronte, il Libano, dove far morire la loro gioventù.
 
Ma la crisi è grave?
No, se non continua ad essere strumentalizzata dall’estero, come appunto fanno Washington e Parigi. Se si vuole guardare al Libano, lo stesso comandante in capo dell’esercito libanese, Jean Kahwaji, esclude che gli eventi siano prodromi di una guerra civile. Al giornale del Qatar ash-Shark ha dichiarato che “i dirigenti politici libanesi, quale che sia la loro estrazione di partito, non daranno questa soddisfazione ai nemici del Libano, e in primo luogo a Israele”.
C’è poi da sottolineare che questa crisi era prevedibile e non ha nulla di innaturale sia nelle sue origini che nei suoi possibili effetti. Quanto alle cause, si tratta manifestatamente dell’impossibilità che quel governo di coalizione o “unità nazionale” potesse continuare a funzionare. E ciò non rappresenta affatto una novità nella vita politica libanese. Quanto alle conseguenze, sta al premier incaricato Najib Miqati, uomo del presidente della repubblica Michel Suleiman, portare avanti in queste ore le consultazioni con i gruppi parlamentari per un nuovo governo del Libano. Come ha d’altra parte chiarito sufficientemente il presidente del parlamento, lo sciita Nabih Berri.
 
Perché il governo di unità nazionale di Beirut è naufragato?
Contrariamente alle grida di un pugno di Cancellerie occidentali, Hizbollah, il partito di Dio degli sciiti libanesi, non ha che limitate responsabilità al riguardo. E’ stato l’annuncio del fallimento dell’iniziativa mediatrice siro-saudita a provocare la crisi. Come ha ricordato il ministro dell’Energia Jubran Bassil è stato l’effetto dell’ “impotenza di fronte alle pressioni americane” del primo ministro decaduto (Hariri) che ha “contribuito a far naufragare l’iniziativa siro-saudita che si prefiggeva di bloccare e reinquadrare nel loro limite la sequela di pubblicazioni degli atti del Tribunale” sull’omicidio di Rafiq Hariri. Come d’altra parte riconosciuto dallo stesso capo del Psp, il druso Walid Jumblatt, reduce da un incontro con il patriarca maronita mons. Nasrallah Sfeir a Bkerke. Uno degli undici ministri dimissionari, Adnan Sayed Hussein, peraltro, non era certo né di Hizbollah né seguace della “Corrente patriottica libera” del generale Aoun, ma vicino al presidente della repubblica Suleiman. Come di consueto sono gli americani a seminare zizzania e a distribuire le loro parole d’ordine. Secondo al-Jazira, il capo della diplomazia Usa, la senatrice Hillary Clinton, aveva avvertito sia il re saudita Abdallah che Hariri che Washington “non avrebbe accettato in alcun caso” una soluzione della crisi politica prima della pubblicazione dell’atto di accusa del Tribunale sul Libano.
 
I sauditi hanno giocato un ruolo positivo nei negoziati?
Di sicuro. Lo stesso presidente del Parlamento Nabih Berri ha dichiarato senza giri di parole che “la volontà sincera del monarca saudita Abdallah ibn-Abdelaziz e del presidente siriano Bashar el-Assad è stata eclissata dal gioco delle grandi potenze”. D’altra parte quanto viene orchestrato ai danni del Libano e del Levante da Parigi e Washington ha sempre una ragione. E la ragione è il petrolio. Che Israele vuole “gestire”, spossessando la Palestina e soprattutto il Libano da ogni potere.
 
Perché il “Libano soprattutto”? E come mai il petrolio?
Perché il Libano è un Paese sovrano, con diritti evidenti, internazionalmente riconosciuti. E’ necessario privarlo dunque di voci ufficiali e di farlo occupare di altre cose, come ad esempio regolare una crisi interna di media importanza come quella attuale.
E perché, è un fatto, che alla fine del 2012 Israele comincerà ad estrarre gas dal giacimento offshore di Tamar e Leviathan, in forza di una concessione affidata alla società americana Noble Energy. Come precisato da Manlio Dinucci, in una recente analisi per “Il Manifesto”, “in questa zona del Mediterraneo orientale… si trovano riserve di gas per 3500 miliardi di m3 e riserve di petrolio per 1,7 miliardi di barili”. Ma si tratta di riserve che non sono affatto “israeliane”: sono ad oltre cento chilometri dalle coste ex-palestinesi e Israele ha delle acque territoriali che si estendono soltanto a 22 chilometri dalla sua costa…
E’ quindi fondamentale, “imperativo” che un Libano “purtroppo” membro dell’Onu, della Lega Araba, sia messo all’angolino. Costretto ad occuparsi di “altre cose”… perché anche un “utile idiota” come Hariri potrebbe avere un sussulto di patriottismo e di intelligenza e reclamare quello che è della sua nazione. Ed ecco l’utilità di averlo fatto transitare a Washington per “informarlo”… Tanto più che il Parlamento libanese aveva avuto il “cattivo gusto” di approvare una legge sullo sfruttamento delle risorse energetiche offshore e al ministero dell’Energia di Beirut si era già aperta la gara alle concessioni. Ecco qui la necessità di provocare la crisi attuale: occorreva destabilizzare il Libano. Tanto più che il governo Netanyahu dell’entità israeliana ha già dichiarato ufficialmente che non esisterà ad impiegare la forza per “proteggere i ‘suoi’ giacimenti”…
Si badi bene: i principali beneficiari dello sfruttamento del petrolio del Levante, in fin dei conti, saranno gli americani. Gli Israeliani vogliono naturalmente la loro parte di profitti, ma dovranno anche, in contropartita, assicurare la sicurezza dei giacimenti. Quanto ai francesi, come d’abitudine, non avranno diritto a nulla…
Occorre limitare il ruolo israeliano alla realtà delle cose: né più né meno. Come accaduto per la guerra del 2006. Il segretario generale aggiunto di Hizbollah – lo sceicco Na’im Qassem – lo affermò chiaramente: “La decisione della guerra fu americana… Israele fu costretto alla guerra dalla pressione americana. Aveva bisogno di qualche tempo in più, due o tre mesi, per prepararsi. Ma fu lanciato nel conflitto in modo progressivo e squilibrato, senza un piano di battaglia decisiva già studiato”. Israele, esecutore di una guerra americana, allora. E adesso il suo ruolo è lo stesso.
 
I francesi?
Forse Barack Obama, giocando sull’ego del suo amico all’Eliseo, arriverà ad approfittare dell’autismo geopolitico del personaggio persuadendo Sarkozy a gestire il conflitto libanese al suo posto… Con l’Unifil sul posto e l’assenza di un governo (d’unione nazionale o di salute pubblica), con un Libano destabilizzato, insomma, la situazione può durare molto tempo, mesi, anni, e permettere a israeliani e americani di completare la loro vera opera. Coperti dalla disinformazione mediatica. Guardate quanto si parla della crisi di governo a Beirut e come si celi, invece, nella stampa, nelle televisioni, la questione petrolifera. Della rapina dei pozzi petroliferi libanesi, cioè…
 
E l’Italia?
Il problema dell’Italia è la sua partecipazione alle strategie dell’Onu. Cosa intende veramente fare l’Italia? Le sue forze sul terreno in Libano e soprattutto il suo dispositivo navale cosa faranno? Attenderanno il bombardamento delle coste libanesi da parte della Marina israeliana, come già avvenuto nel 2006, in modo che Israele possa impadronirsi totalmente delle riserve off shore? Lo vedremo.