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Gli occhi di chi vive l’Iran

di Tiziana Ciavardini* - Fabrizio Fiorini - 29/01/2011


 
Nella nostra meravigliosa e sciagurata nazione, tanto in tempo di pace quanto in tempo di guerra, in tempi di libertà quanto in tempi di schiavitù, che fossero i granai o gli arsenali ad essere riempiti, il dibattito politico ha sempre trovato terreno fertile in due tipologie di habitat: le sedi istituzionali e i bar. Il livello del dibattito spesso si è manifestato su livelli differenti in quanto a toni e a profondità e altrettanto spesso si è trovato, in un luogo o nell’altro, su livelli coincidenti.
A chi legge, in ogni caso, lo si voglia abituato alle compassate e incravattate disamine parlamentari o agli etilici battibecchi del Campari delle diciannove, sarà capitato almeno una volta: non appena si muova una circostanziata critica al modello democratico-occidentale c’è sempre qualcuno che si alza e che dice “comodo dire queste cose da qui: vai a vivere in Corea del nord e poi mi racconti”. Accade dalla notte dei tempi. Finiti i tempi guareschiani del “vacci te a vivere in Russia”, i tempi moderni impongono nuove ed esotiche mete: “voglio vedere se ci vivevi tu a Cuba”, oppure “mia cognata ha un amico venezuelano, e dice che lì stanno alla fame”. Non fa eccezione, chiaramente, l’Iran, vituperata antitesi ai nostri pingui modelli di sviluppo. Ricordiamo di un filmetto “americano” di seconda serie (anzi, in questo caso l’inglese è appropriato: un b-movie) lanciato qualche anno fa in cui si raccontava di una famiglia disposta a traversare ghiacciai a piedi e a scalare montagne a mani nude, pur di scappare dall’odiata repubblica islamica e approdare a un volo per gli Stati Uniti; e certo: milioni di politicanti e di moralisti da bancone darebbero loro ragione: “vacci tu a stare in Iran, che poi mi racconti”. Peccato che siano, appunto, discorsi da bancone, o da politicante, e che le cose – leitmotiv della disinformazione occidentale – siano nella realtà diverse. Ce lo racconta la dottoressa Tiziana Ciavardini, antropologa culturale che in Iran vive da dieci anni. Alcune sue affermazioni non le troviamo condivisibili, alcune sue posizioni sulla politica di Teheran non sono conformi a quelle che da tempo noi sosteniamo, alcune sue idee non saranno certamente “nostre”, ma è proprio questo il punto: non è l’opinione di un militante di Hizbollah, né quella di un soldato dei Pasdaran. E’ lo sguardo sull’Iran di una scienziata occidentale, che però così ce lo racconta.
Dr.ssa Ciavardini, iniziamo parlando di sensazioni epidermiche: come vive una donna occidentale in Iran?
Vive in una condizione molto diversa da quella che l’occidente immagina. Una condizione molto distante dall’idea che volutamente ci è stata imposta sulla realtà iraniana, la mia esperienza di vita quasi decennale in Iran mi ha dato l’opportunità di poter studiare da vicino anzi dall’interno la cultura di questo straordinario paese. Sarei un’ipocrita se dicessi che non ci sono restrizioni, ma è una Repubblica Islamica e le condizioni sono già poste all’interno della denominazione del paese. Ci si attiene alle leggi, si rispettano anche se diverse da quelle del paese di origine, questo mi piacerebbe vederlo anche in Italia. Sono più di venti anni che vivo in diversi paesi nel mondo e sono andata sempre in punta di piedi perché mi ritengo sempre un ospite del paese che mi ha accolto. Da antropologa ho sempre cercato di capire e di comprendere le altre culture prima di giudicarle. Soprattutto con l’Iran l’impatto è stato forte, ma ho cercato di togliermi di dosso quel latente etnocentrismo che fa della razza occidentale quella superiore alle altre, per fortuna viaggiando studiando e riflettendo ho imparato che non è proprio così anzi abbiamo molto da imparare da altre culture. La diversità credo che debba sempre essere considerata una risorsa e non una minaccia, solo confrontandoci ed aprendo un dialogo potremo capire chi siamo. L’Iran ha una storia millenaria culla di una civiltà ancora percepibile in ogni angolo del paese, patria di grandi uomini soprattutto grandi poeti. Credo che anche un inesperto viaggiatore sarebbe in grado di cogliere l’estrema gentilezza e la spiritualità della popolazione iraniana. L’Iran è anche questo, un posto in cui i versi dei poeti vengono citati quotidianamente, perché fanno parte della vita di tutti i giorni, in cui la religione non è una componente della propria esistenza ma è l’esistenza stessa. Un paese vivo, sempre in crescita in cui la voglia di vivere si allontana di molto dalla negativa propaganda mediatica alla quale i mezzi di informazione ci hanno abituato. È un paese in cui stato e religione sono un tutt’uno, in cui molti iraniani forse non si riscontrano, in cui ci sono problemi politici ed economici non più che negli altri paesi e che non devono in alcun modo offuscare la nostra mente relegando al passato i secoli di storia di questa fantastica cultura.
 
Il campo principale in cui operano l’informazione, spesso capziosa, e la propaganda occidentale nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran, è quello dell'ordinamento interno e dei diritti civili. Ma quanto è realmente conosciuto all’estero l’ordinamento costituzionale iraniano, e quanto le dinamiche della società civile e della politica interna?
Non essendo un avvocato né un legislatore non intendo dissertare sulle problematiche legate all’ordinamento costituzionale Iraniano ma, in generale, il problema è proprio questo, il fatto che si abbia la presunzione di voler giudicare un paese che non si conosce affatto e nel quale ci sono comportamenti dettati da una costituzione che di certo al di fuori del paese nessuno conosce. Il sistema giudiziario è basato sulla Sharia ovvero la legge islamica, e la logica mi porta a pensare che prima di azzardare una qualunque informazione estrapolata da un discorso del quale non si è competenti bisognerebbe conoscere a fondo l’argomento e cioè l’Islam (l’Islam sciita in questo caso), il che diventa complesso.
Per quanto riguarda le dinamiche della società civile posso parlare di Tehran perché è la città nella quale vivo. Tehran è una città caotica con molto traffico e di conseguenza molto smog, una città in continuo movimento a tutte le ore del giorno e della notte, in cui la vita si svolge regolarmente come in ogni altra metropoli. La popolazione supera i 17 milioni di abitanti ma la cosa certo inconsueta, è che come in tutto l’Iran i giovani al di sotto di trenta anni costituiscono il 70 percento della popolazione, sono giovani che non hanno conosciuto la vita durante il periodo dello Shah perché sono i figli della rivoluzione. Una gran parte dei giovani frequenta l’università e molte donne in particolare, sono anche plurilaureate. Le possiamo trovare in tutti gli ambiti lavorativi, sono medici, architetti, infermiere, c’è in loro una forza e una voglia di vivere che non si riscontra comunemente in una donna occidentale. Le donne saranno sicuramente una forza trainante nel determinare il futuro dell’Iran, forse per la voglia di riscatto, o forse è un elemento del loro dna, ma sono sicure di quello che vogliono ottenere.
 
Perché è così difficile per gli occidentali cogliere la complessità della società iraniana? Perchè risulta difficile comprendere che anche in Iran vi è uno sviluppato dibattito interno e una vivace molteplicità politica e partitica?
È difficile per gli occidentali capire la società iraniana semplicemente perchè non la conoscono. A parte la storia della Persia, tutto quello che generalmente si conosce della storia recente dell’Iran, è composto da notizie relative alla politica Iraniana spesso manipolate faziosamente. Come è stato fatto per l’Islam, ora anche per l’Iran sono in atto delle vere e proprie prese di posizione volte a creare il mito dell’Iranofobia, si vuole a tutti i costi creare questa atmosfera di terrore. Si ha paura dell’Islam così come si ha paura dell’Iran perché non lo si conosce, e di conseguenza non si ha la necessaria freddezza per poter giudicare se, e cosa eventualmente temere. La paura è sempre data da una latente forma di ignoranza, forse bisognerebbe riflettere di più su questo dato. L’errore è nel voler comprendere una società non avendo le possibilità cognitive per poterla apprendere. Il problema è tutto nell’approccio ovvero il voler giudicare con occhi occidentali qualcosa che occidentale non è. Ci sono problemi gravi in vari paesi del mondo ma sono pochi quelli che se ne occupano, meglio occuparsi dell’Iran perché l’Iran fa audience e perché intorno all’Iran ci sono interessi politico-economici che altri paesi non attraggono, e forse perché ha le potenzialità di diventare un importante attore sulla scena mondiale.
 
Negli anni Settanta, in Italia, violenti scontri di piazza erano all’ordine del giorno. In Tunisia, nei giorni scorsi, la polizia ha domato una ribellione popolare sparando sulla folla. Eppure nessuno ha mai messo in dubbio la legittimità degli ordinamenti italiano o tunisino. Perché, per gli occidentali, la stessa regola non vale relativamente all’Iran? Perché si continuano a sostenere e foraggiare gruppi che vogliono scardinare le istituzioni di uno Stato sovrano?
Fortunatamente la politica non è il mio campo e credo fermamente che la politica (quella seria) sia parte integrante della storia e della cultura di un paese. Parlarne significherebbe avere la presunzione di poter commentare eventi appartenenti a paesi dei quali non conosco a fondo la cultura. A onor di cronaca va comunque detto che, sia nel caso dell’Italia che in quello della Tunisia, il pensatore onesto non può che condannare l’uso eccessivo della forza per sedare una contestazione che altrimenti sarebbe stata pacifica, se questo era il caso. Una ipotesi che potrebbe valere nel caso dell’Iran, a prescindere dalla risposta più o meno violenta alle dimostrazioni, è che si cerca in tutti i modi di scardinare questo stato sovrano con la complicità di influenze esterne, che a mio avviso non dovrebbero invece interferire, perché si è idealizzato il desiderio di cambiare questo stato in un qualcosa di diverso, senza che nessuno sappia o capisca cosa esattamente significhi il termine “diverso”.
 
I recenti eventi di cronaca (il clamore mediatico del caso-Sakineh, il dossier del nucleare iraniano, etc.) hanno contribuito a diffondere nel mondo, da parte della solita stampa addomesticata, una visione di un Iran violento e oscurantista. Come vivono gli iraniani questo accanimento nei loro confronti? E quali sono le sensazioni di un’italiana che vede invece il reale volto dell’Iran ogni giorno?
In realtà, sia il caso Sakineh, che le discussioni sul dossier nucleare Iraniano, andrebbero entrambe enucleate dal clamore politico ed esaminate nel dettaglio, in particolare andrebbero sezionate, e le due metà analizzate separatamente. Mi spiego.
Il caso Sakineh, per quanto a mia conoscenza, non è mai stato presentato con la dovuta chiarezza ed essenzialità. La signora in oggetto, sposata e con prole, è stata condannata per aver avuto una tresca amorosa, ed aver architettato l’omicidio del marito insieme all’amante. La condanna avrebbe dovuto essere eseguita tramite lapidazione (una pratica ancora in uso in Iran).
Quindi, mentre da una parte è opinabile il reato di adulterio così come la pena comminata (la lapidazione), dall’altra non c’è nulla di strano a che una omicida venga condannata. Anche qui, se si ammette che in moltissimi altri paesi del mondo, la cui civiltà non solo non viene messa in discussione ma vengono al contrario portati ad esempio come simboli di democrazia, la pena prevista per certi crimini, fra i quali l’omicidio, sia quella capitale, perché mai quando questo succede in Iran viene criticato?
Stessa considerazione vale anche per il dossier nucleare. Da una parte, si possono comprendere i timori di chi teme che le normali operazioni necessarie allo svolgimento di una pacifica attività nucleare possano essere trasformate in attività volte alla costruzione di ordigni nucleari, da chi non perde occasione per dichiarare pubblicamente che Israele debba scomparire dalla Carta geografica.
Dall’altra, visto che esiste il trattato internazionale NPT o N-NPT (Nuclear Non Proliferation Treaty – Trattato per la non proliferazione delle armi nucleari) che garantisce a tutti i firmatari, fra cui l’Iran, il libero accesso alla tecnologia nucleare per scopi pacifici, non si può certo pretendere che chi acquisisce un diritto così importante sotto il punto di vista economico e politico, poi decida di non usufruirne.
Per quanto riguarda poi l’opinione pubblica nei confronti di questi due argomenti, le reazioni reali sono molto diverse da quanto un occidentale si aspetterebbe.
Durante il periodo quando l’intero mondo occidentale si era schierato a favore della liberazione di Sakineh, il 60-70 per cento degli Iraniani non sapeva proprio chi fosse “Sakineh”.
La parte rimanente che era al corrente dell’argomento, non capiva il perché di tutto questo clamore a favore della signora Sakineh, ed il completo disinteresse nei confronti delle altre dozzine di condannate che attendevano la stessa sorte nel braccio della morte per reati molto meno significativi. Ed anche quelli simpatizzanti per l’occidente, sostenevano che se nel nostro ordinamento giudiziario i condannati per omicidio vengono lasciati liberi, forse c’è qualche cosa che non va. Per quanto attiene poi al tipo di esecuzione (la lapidazione), certo che chi sin dalla nascita è abituato a questo tipo di sentenza, a meno che abbia viaggiato estensivamente e soggiornato lungamente in altri paesi, difficilmente proverà quell’orrore che ci si aspetterebbe da un occidentale.
Ancora una volta, lo stesso distinguo viene applicato anche all’-affaire- nucleare.
Fino a quando si parla di opinioni, gli Iraniani possono anche essere d’accordo con gli occidentali nel trovare un sistema per fugare i sospetti circa l’uso illecito dell’energia nucleare. Certo, che quando si fanno minacce pesanti che toccano l’integrità stessa del territorio Iraniano, è ovvio che qualsiasi cittadino, che sia di destra o di sinistra o di centro, che sia musulmano, o cristiano, o ebreo, o zoroastriano, si compatta attorno al governo, anche se non ne condivide interamente la politica, e si schiera (così come è giusto) a difesa del proprio paese, cosa che peraltro ricorda e coincide esattamente con il tipo di comportamento che avrebbero i cittadini americani.
 
E’ possibile rompere il silenzio e la coltre di “disinformacija” che è calata su Tehran? Che opinione si è fatta della grande informazione, e quali speranze nutre per chi, come Rinascita, si batte quotidianamente per la tutela dell’informazione libera?
Anche qui come in tutte le questioni Iraniche, andrebbero fatti dei distinguo. Le colpe non si possono attribuire interamente ad una parte o all’altra. Da parte Iraniana, il fatto di non permettere (o quanto meno complicare) l’entrata ed il regolare soggiorno a giornalisti ed agenzie televisive occidentali certo non crea un’immagine di fiducia ed apertura negli addetti all’informazione (immagine che viene poi ingigantita o rimpicciolita a seconda degli interessi politici della testata o della rete televisiva).
Da parte occidentale, il fatto di trasmettere costantemente una immagine negativa dell’Iran in qualsiasi circostanza e ogni volta se ne presenta l’occasione, deteriora ulteriormente il senso di fiducia fra i due contendenti, il cui risultato è oggi ad un punto tale che non esistono più contatti (se non quelli occasionali) fra occidente e Iran.
Detto questo, chi deve fare il primo passo per una riapertura del dialogo ed una iniezione di fiducia nel rapporto ormai interrotto tra Occidente (compresa la stampa) e l’Iran ? Gli Iraniani vengono da una rivoluzione e da 8 anni di guerra con l’Iraq durante i quali hanno avuto oltre 1 milione di caduti. Una guerra inutile che è stata, come ormai di dominio pubblico, pilotata e gestita dall’occidente che forniva armi e munizioni ad entrambi i paesi, armi e munizioni che hanno causato la morte di 1 milione di Iraniani, senza parlare degli Iracheni. Morte che ha colpito milioni di famiglie Iraniane al punto che pochi non hanno un padre, un fratello, un cugino o un cognato, caduto in quella guerra il cui ricordo è ancora troppo fresco per poterci stendere sopra un sudario per dimenticare.
Quindi, credo che l’unica soluzione sia che l’occidente faccia il primo passo verso la riconciliazione e la riappacificazione, se questo è l’obiettivo voluto.
In questo processo, sarebbe importante l’enorme apporto di cultura di massa che possono fornire tutti quei giornali e televisioni desiderosi di proporre ai propri lettori e/o ascoltatori soltanto la verità (anche se alle volte un po’ scomoda).
Inoltre, mi è capitato di ascoltare personaggi anonimi parlare in varie trasmissioni televisive in qualità di esperti dell’Iran con la presunzione di suggerire e supporre strategie politiche se non economiche e sociali, pur non essendo mai stati in Iran o forse con dati risalenti a decenni fa.
Sarà la mia formazione professionale di antropologa, ma ho sempre creduto che per poter parlare e scrivere di altre culture bisognerebbe perlomeno conoscerle un po’.
Il giornalista è un po’ un antropologo e dovrebbe fare un po’ di ricerca sul campo prima di sparare a zero e soprattutto verificare che le notizie siano attendibili.
Per quanto riguarda la mia personale opinione sulla grande informazione, per quello che conta e per quanto possa sembrare utopico, mi piacerebbe aprire un importante quotidiano, non importa di quale corrente politica, e leggere qualcosa, magari anche un po’ contrario alla mia linea di pensiero (politico o meno) dalla quale si evince che il giornalista ha scritto il pezzo non tanto per convincermi di qualcosa ma per raccontarmi qualcosa che arricchisca la mia cultura personale.
Quello che succede oggi, è che leggendo la stessa notizia su dieci quotidiani diversi si hanno dieci versioni diverse se non, come accade alle volte, diametralmente opposte.
Mi piacerebbe in generale, che i giornali fossero scritti da giornalisti competenti per informare il pubblico su quanto accade, e non per indirizzarlo nelle sue scelte. Praticamente un giornalismo per il lettore, lettore che forse è stato o quantomeno si sente abbandonato ed ha di conseguenza operato delle scelte diminuendo il suo interesse per i quotidiani. Senza essere una esperta del settore credo che, fra le altre cose, la ricetta per riconquistare il pubblico contenga anche il far sentire il lettore informato onestamente e non faziosamente. Spero che un giorno aprendo un giornale o accendendo la televisione ci sia qualcuno che davvero ci spieghi “l’Iran così come è” e non come gli fa comodo che sia.
 
E la sua speranza è la nostra.
 
 
 
Tiziana Ciavardini è una antropologa culturale laureatasi presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, residente da quasi dieci anni in Iran. Ha vissuto negli ultimi venti anni in Medio Oriente, nel Sud East Asiatico e in Cina realizzando ricerche di campo inerenti lo studio dei popoli e delle loro tradizioni. Ricercatrice presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università Cinese di Hong Kong, Presidente della Ancis Anthropology Forum con sede a Roma, giornalista per il quotidiano Italiasera, ha realizzato molteplici convegni e congressi nazionali ed internazionali sul dialogo interreligioso e interculturale, autrice di numerosi articoli e saggi accademici e divulgativi volti alla conoscenza delle religioni e delle culture.