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L’ora d’oro di Giovanni Casoli, poeta disarmato

di Andrea Sciffo - 07/02/2011


 

 

Ci si aspetterebbe di ascendere su gradini di marmo verso le aule dei poeti, e invece la storia inizia con un cane, Nick, e più precisamente con l’agonia di un cane languente: con il suo padrone che ne piange la morte, nella speranza di ritrovarlo, un giorno, dopo. È poesia? Poi è la volta di un gatto, “Antonio”, che visse nella casa di una ragazza non più giovane, atea. Quindi, si passa alle conversazioni continuamente interrotte di due fidanzati un po’ maturotti, che ignorano e a stento intuiscono l’infinito del proprio amarsi.

È la prosa poetica di Casoli, che non si accontenta di nessuna consolazione, eccetto che quella di Dio in persona (e non lo si nomina mai, in queste centosessanta pagine a bordo dorato): per questo, il poeta deve vivere tutta la propria vita, terrena, di imperfetto e ardente, in attesa perenne della fine, che per lui sarà l’inizio. Come per l’Eliot maturo, quello dei Quattro quartetti, composti mentre la maggiore crudeltà della Seconda Guerra Mondiale inviperiva sui cinque continenti.

Questa sua plaquette intitolata Sul fondamento poetico del mondo (uscita per i bellissimi tipi “L’Ora d’oro” dell’editore Andrea Paganini, svizzero grigionese di Poschiavo, 2010 Fr.19 €14) è un libro atipico, fuori del tempo, all’avanguardia e retrò nello stesso tempo, ed è un libretto strano, in un’epoca caratterizzata da scrittori che vogliono che le loro opere siano, nelle loro perversioni esibite, reputate normali.

La cosa allarmante dei nostri ultimi anni è che nessuno ormai definisca qualcun altro “un tipo strano”. Invece, il poeta autentico, quando non è invisibile (a volte, infatti, preferisce non scrivere…) è sempre un tipo strano: oggi, per esempio, non frequenterebbe  nessun locale alla moda né gli happy-hour delle fiere letterarie. Quando quasi tutti, per una forma di squallido “rispetto” reciproco, si tollerano (spesso, malsopportandosi), è come se fosse vietato dirlo: perché il poeta, non tanto in quanto artista ma in quanto uomo, è senza ombra di dubbio un tipo sospetto. La sua stranezza è figlia legittima dell’estraneità con cui vive il mondo, da uomo “vivo” prima ancora che artista più o meno fallito: si apparta con la Poesia, addentrandosi, estraneo e famigliare nello stesso tempo al grandioso scenario (è l’Universo!) nel quale è stato immesso, al momento della nascita.

Ad un certo punto della sua vita di stregone sioux, Alce Nero andò su una collina assieme a Orso-in-piedi, contemplò a lungo lo scenario aperto, e infine disse: « Osserva la bellezza e la stranezza della terra ».

 

Non è un autoritratto

Del resto, nel libretto aureo di Casoli ci sono tre parti, che si tengono in relazione. La prima è quasi un racconto in 15 capitoli, dai quali emerge il lineamento di un giovane uomo, giornalista trentatreenne, gettato nella fornace fredda dell’Italia “sprofondata” del 1978, a Roma: con lui, l’amore, la politica, la vanità delle elite intellettuali, la ricca solitudine del povero poeta. La stagione è sempre, confortante e invariabilmente, inverno.

Dopo aver letto pagine dense, si ricordano tante cose e tutto scompare, tranne i volti dei poeti che la voce narrante riesuma dal fondo dei secoli: Hölderlin, Hofmannsthal, Simone Weil, Leopardi, Rilke e George, Eliot e Pasternak, e molti altri. Si parlano a dispetto dei tempi e degli spazi. Ci stanno tutti, in questo generoso tabellone di ritratti a colori ma con i contorni segnati di nero, come in un quadro di Rouault…

In certi punti, tra l’altro, la veste tipografica più adatta sembrerebbe quella vecchia maniera delle macchine-da-scrivere, con i font tipo “comunicato delle Brigate Rosse”. Qui però non si tratta di emozioni, né di passione e sentimento: Casoli vuole andare sino in fondo alla nostra vita, di Ognuno, per toccare il fondamento.

 

Dato che di oro si parla, l’autore qui riporta a galla pepite purissime, come nelle Quattordici Lettere scritte a uno studente visto sull’autobus mentre legge Foscolo, e mai inviate.

Oppure, nella tavolozza del clavicembalo ben temperato delle 50 liriche finali, la terza parte di questo libro strano e bello: sono davvero cinquanta “progressi” sul fondamento. La poesia del Ventunesimo secolo ne guadagna e per me, amico e recensore, è solo l’imbarazzo della scelta. In cui il Verbo è ora un Pesce sul banco del mercato, inafferrabile ma che “se non lo cerchi / può trovarti” (IV), ora è un “agnello adirato” (I) dalla cui ira, alla fine, sarà meglio sfuggire: e sempre è Gesù, ma Casoli ne tace il nome come i paleocristiani che adoravano il “pavone” o l’”ancora”. Uno che entra nella cuccia di un senzacasa come esce dal tabernacolo; non “una parola generale ma un fischio / uno schiocco o altra favella a te, alle otarie / e alla neve rivolto e incarnato” (XIV).

Cadono le barriere posticce tra pagani e cristiani. Tutto è intimo cioè imprevedibile. I signori Paolo e Pietro raggiungono “mete impreviste” (XLIII) perché uno dei due ha pensato e detto di “non aver mai fatto male / a nessuno”. Perché c’è la voce narrante che vede persino il proprio funerale, e oltre, e chiede di non compiangerlo, perché “verrò a tirarvi i piedi, di notte”…

Casoli quasi vecchio, è poeta di tutto quel che è giovane, dato che vive sul rovescio del mondo e la sua ultima parola è, osa scriverlo ancora, amore. Questo gesto disarma i lettori, o i comuni passanti, che sono già anziani dentro, e non lo ammettono. Lui, in quanto poeta, conosce i balli segreti che non hanno bisogno di membra agili, di musiche e piste; cammina disarmato, sui piedi, nella città che Gogol vide gremita di “anime morte”. E anche se la XXXV non è, probabilmente,  la sua ultima danza, per ora, di qui, la si ballerebbe con molta soddisfazione, ogni mattina:

 

La pazienza del giorno

incomincia non prendendo troppo sul serio

il profitto e la perdita,

abbracciando l’aria

e incontrando la luce.

Poi pregando Dio per i vivi e per i morti:

sei anche tu, e potresti essere tu stesso.

Se fai queste cose con la certezza del passero

e l’applicazione dell’acqua,

con la serietà dell’ombra

e l’attenzione del vento,

hai conquistato la dose di libertà sufficiente

ad attraversare le epoche,

a legare i covoni e salire sul tram.