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Nasce la «Cindia», affari e armi da Delhi a Pechino

di Francesco Sisci - 31/05/2006

 


Nasce la «Cindia», affari e armi da Delhi a Pechino
I due giganti si corteggiano assiduamente

PECHINO. Quasi 2 miliardi e mezzo d’abitanti, oltre il 40 per cento della popolazione del pianeta, con un altro 20 per cento di popolazione globale residente in Paesi «quasi satelliti»: la «Cindia», un colosso è oggi più vicina di un passo. Lo si può quasi vedere unito e diviso dal buddismo, una fede arrivata dall’India e sedimentatasi in Cina. In Cina è da secoli quasi la religione nazionale, mentre in India è praticamente scomparsa. In questo strano travaso di coscienza e di influenza c’è forse la base di quei rapporti geopolitici che si stanno approfondendo oggi.

I ministri della Difesa cinese e indiano hanno iniziato ieri a Pechino un riservatissimo incontro di cui le agenzie ufficiali non hanno diffuso nemmeno le fotografie di facciata. Agenzie di stampa dei due Paesi hanno spiegato, criptiche, che Cao Gangchuan per la Cina e Pranab Mukherjee per l’India si sono impegnati ad approfondire la collaborazione militare. Nella sua visita di sei giorni in Cina Mukherjee incontrerà tutti i massimi leader cinesi.

Ma secondo fonti bene informate le parti hanno discusso della possibilità di tenere manovre militari congiunte e si sarebbe parlato anche di antiterrorismo, visto che i due Paesi hanno preoccupazioni comuni rispetto alla minaccia del fondamentalismo islamico. Un altro argomento sul tappeto sono stati i passi avanti sull’accordo concluso l’anno scorso, per una guida alla soluzione delle dispute sui 3500 chilometri di confine. E’ l’argomento più spinoso fra i due perché tocca la controversa questione del Kashmir, la regione contesa tra India e Pakistan di cui circa un terzo è stato ceduto unilateralmente dal Pakistan alla Cina. Infatti al di là del facile ottimismo le questioni bilaterali aperte sono moltissime, e grandi. Innanzitutto un rapporto strettissimo e antico tra Cina e Pakistan. Appena il 23 maggio scorso, Islamabad ha chiuso un accordo per 600 milioni di dollari con Pechino, che fornirà quattro fregate F22P, modernizzerà alcune infrastrutture portuali e trasferirà tecnologia di difesa marittima. Le fregate saranno costruite a Shanghai, una delle città toccate dalla visita di Mukherjee.

L’affare sino-pakistano appare un’azione di equilibrismo politico: rassicurare il vecchio alleato mentre ci si scalda con il nuovo. Il riavvicinamento Cina-India per il momento non appare essere a scapito del Pakistan, anzi le migliori relazioni tra i due giganti hanno un effetto positivo anche sul terzo protagonista. È la politica di sicurezza a spingere i due Paesi uno verso l’altro. Dopo un passato di intesa cordiale, oggi alcuni quadri medio-alti cinesi seguono con allarme l’evoluzione del Pakistan, che temono ancora molto instabile. In questo Paese erano stati addestrati ideologicamente, e non solo, anche alcuni attivisti per l’indipendenza della regione occidentale cinese del Xinjiang.

E così anche Delhi inverte la direzione di marcia di 180 gradi rispetto al 1998, quando l’allora ministro della difesa indiano Georges Fernandes spinse il suo Paese a compiere sei esperimenti di ordigni nucleari gridando che era necessario difendersi dalla «minaccia cinese». Oggi il suo successore Mukherjee ha dichiarato invece che la Cina non è rappresenta un pericolo. In effetti, Pechino è ormai il primo partner commerciale dell’India e l’interscambio fra i due Paesi ha raggiunto nel 2005 i 13 miliardi di dollari. A febbraio i responsabili petroliferi cinesi e indiani si sono incontrati a Pechino per concordare una politica comune sull’energia.

Elementi di rottura sono presenti comunque anche in campo economico. Alcuni industriali cinesi temono che l’India, con il suo potenziale di manodopera a basso costo, possa diventare un polo di attrazione di investimenti alternativo alla Cina. D’altro canto sulla strategia ci sono molti punti di frizione: mentre la Cina coltiva i suoi rapporti con il Pakistan, l’India ha preso a coltivarli con il Vietnam e con il Giappone, entrambi Paesi con più di un risentimento verso la Cina.

In questi equilibri incrociati, ancora instabili, ma spinti da crescenti commerci bilaterali panasiatici, il catalizzatore politico sono gli Usa. Anche se in realtà un accordo Cina-India può nascere solo all’ombra dell’America, e mai contro di essa. Del resto, che l’India sia importante per la Cina lo ha quasi sottolineato anche il Vaticano nominando il cardinale indiano Ivan Dias a capo della cruciale congregazione di propaganda della fede, che ha al primo posto la questione della fede cinese.