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La sottile linea scura tra noi e il corpo dell’anima

di Antonio Gnoli - 27/02/2011



Dal mito della caverna di Platone fino agli abbagli della Modernità, che conquistando la luce elettrica si era illusa di aver vinto per sempre il mondo degli spettri e degli incubi. In una mostra che a breve si aprirà a Modena, ecco rappresentata in oggetti, disegni e forme, la storia della compagna più antica che l´essere umano abbia mai avuto Fonte d´ogni paura, ma anche di arte, gioco e spettacolo


Tra i tanti significati che l´ombra riveste ce n´è uno che li sovrasta tutti: la metamorfosi dal visibile all´invisibile. Oliver Sacks ne L´isola dei senza colore ci racconta gli effetti di una malattia misteriosa che affligge una popolazione della Micronesia, ne ottenebra l´intelligenza, rendendo progressivamente ciechi o monocromi i suoi abitanti. Possiamo immaginare quest´isola come una terra di mezzo, sovrastata da ombre, alla stregua della Terra di Mordor nel Signore degli anelli in cui le tenebre hanno la meglio sulla luce; o Gotham City dove la vita si svolge all´insegna dell´oscurità. Lo sappiamo, le ombre appartengono alla nostra esperienza e alla nostra mente, alla nostra storia e alle nostre paure.

Ci sono secoli più bui di altri; capolavori - come il Don Giovanni - che dell´ombra si nutrono; ci sono quadri di Caravaggio, di Turner, di De Chirico che dell´ombra hanno fatto la sostanza più intima. L´ombra misura il tempo della meridiana. Ma può darci la misura ben più allarmante del nostro declino. Per le sue caratteristiche sfuggenti è più prossima alla notte che al giorno, alla morte che alla vita, alla vecchiaia che alla giovinezza, alla malinconia che alla gioia. Ma essa, al tempo stesso, può diventare fonte di ristoro. Nel suo elogio, Borges la paragona alla propria cieca vecchiaia: è un´ombra mite che non fa male e somiglia all´eterno, egli dice. Duemilacinquecento anni prima, Platone - il primo e convinto ombrofobo - coglie negli effetti dell´ombra l´illusione che essa possa conformarsi al vero. Da cosa gli deriva tanta acredine? Platone ragiona in termini sottrattivi: l´ombra, per le sue caratteristiche, pregiudica il più eletto tra gli organi: la vista. È un allontanamento o una mancanza di luce. O meglio, della luce ne dà una fioca rappresentazione. Però quelle statue - di cui i prigionieri della caverna colgono le sagome, come proiettate da un sole esterno - richiamano per singolare analogia quanto la tecnica realizzerà col cinema alla fine dell´Ottocento.
Il cinema è figlio della lanterna magica e della fotografia: della meraviglia e della realtà; dell´ombra e del vero. È come se Platone lasciasse il posto a una nuova forma di conoscenza (e di divertimento) nata da un diverso modo di percepire l´immagine. Nel cinema trionfano l´ombra della sala e le dissolvenze dello schermo. È la prima grande industria dell´immateriale. Non a caso Joseph Roth, ne L´Anticristo, definisce Hollywood «il paese delle ombre». L´ombra cinematografica sviluppa significati puntualmente inquietanti. Quella minacciosa del mostro di Dusseldorf o adunca e ingobbita di Nosferatu, ci avvertono di un disagio prossimo al terrore: nulla di buono si annuncia. Torna - sotto una forma diversa - la condanna dell´ombra: le si attribuisce il presagio di una morte prossima. Nel regno delle ombre sono in agguato i vampiri, lontanissimi antenati di figure che l´antichità aveva confinato nell´Ade. Dal regno dei morti - racconta il mito di Euridice - Orfeo tenta di strappare l´ombra dell´amata. Ma girando lo sguardo verso lei, la condanna all´invisibile.
Col tempo l´ombra diventerà una presenza familiare, una convivenza necessaria con il corpo e gli oggetti. L´illuminazione elettrica - segno eloquente di un progresso scientifico - placherà quel senso di turbamento che le ombre (soprattutto notturne) avevano scatenato. Non si può fare a meno della propria ombra. Come non si può fare a meno del denaro. Ne sa qualcosa Peter Schlemihl - protagonista del racconto di von Chamisso - che la vende al diavolo in cambio di una borsa piena d´oro. Se l´ombra è barattabile vuol dire che possiede le stesse caratteristiche della merce: ha un valore di scambio. E d´altro canto, la stessa merce - con i suoi geroglifici - custodisce un´ombra enigmatica che la allontana dal valore d´uso per esaltarne il segreto che custodisce. Le ombre circolano indisturbate. Si tratta di dar loro una patente di innocua rispettabilità. Per un verso le leggi dell´ottica ne spiegano il fenomeno: le osservazioni attorno alle eclissi attenuano lo sgomento che gli antichi provavano davanti all´oscuramento del sole.
Dall´altro, è la pubblicità a suggerire in che modo l´ombra allude al vero senza esserlo. Appartenendo alla categoria del somigliante, l´ombra può essere e non essere. Equivoca come un´immagine pubblicitaria, si concretizza nelle figurine e nei manifesti che reclamizzano - grazie alla tecnica delle ombre cinesi - cioccolata e formaggi. Un mondo di bambini - nelle fogge di adulti in miniatura - dispiegano con le loro manine ricomposte ombre di animali. Per invogliare al consumo, la merce - è quanto già accade negli expo universali - deve suscitare meraviglia e sogno. È distante la tersa e drammatica consapevolezza che Joseph Conrad esprime con La linea d´ombra. Nel romanzo si scorge il passaggio dall´età giovane all´adulta. E si tratta pur sempre di una linea invisibile e inafferrabile come un´ombra che inghiotte i nostri sogni, le nostre illusioni, nella bonaccia di un mare immobile.
La stessa evoluzione che conduce alla conquista della luce elettrica, la stessa idea di progresso che spinge la ragione a cercare regole e chiarezza, la stessa convinzione che le passioni debbano essere messe a tacere per quel tanto di ombroso e di torbido che esse rivelano, mostrano a quale smania di pulizia si lascia andare il Moderno. Ma la battaglia per distogliere il mondo dagli spettri, dagli incubi, dalle follie non è affatto vinta.
Occorrono pensatori forti e sospettosi per richiamare l´ombra alle sue complicazioni notturne, alle sue profondità ancestrali. La psicoanalisi riflette sugli incantesimi interiori, su ciò che l´inconscio continua a smarrire della propria identità. Prima Freud - con il lavoro sul perturbante - e poi Jung con l´archetipo dell´ombra scompaginano il quadro rassicurante di un individuo felice e conciliato. L´ombra estende nuovamente il proprio potere destabilizzante. Assume forme e toni che non ci aspettavamo. Torna sotto forma di simulacro (televisivo) e di segreto (politico). Quel tratto machiavellico dell´agire nell´ombra - perché il potere ama il nascondimento - sembra scontrarsi con le nostre coscienze. E se da noi oggi vigesse l´ombra di un governo, vorremmo che tutto tornasse alla luce del sole, senza ambiguità né resistenze, con la giusta trasparenza che si richiede a chi pretende di guidare il paese fuori dalle ombre.