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Libia: previsioni per il week end

di Gianluca Freda - 06/03/2011




Mi scrive un lettore:

Ciao Gianluca Sono un lettore del tuo blog che diffonde notizie false, esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico (ce ne fossero di più…). Ultimamente ti sei giustamente occupato della questione libica e delle sue numerose componenti comiche e fumettistiche, dalla valorosa armata di rivoluzionari facebookari che si perde nel deserto e non riesce a ultimare “l’offensiva finale a Tripoli” ai fantasiosi bombardamenti aerei sulle folle di uomini e donne assetati di libertà. È difficile filtrare le briciole di verità che trapelano da quei pozzi neri che sono i nostri media, ma una cosa fra le altre mi ha incuriosito (e insospettito).
Ben Alì e Mubarak erano servi piuttosto fedeli e malleabili degli USA, forse sostituiti per ragioni di eccessiva vecchiaia e stagnazione al potere (e per evitare che pensassero di “sganciarsi”), ma non posso fare a meno di pensare che tutta la recente infornata di rivoluzioni colorate sia stata fatta principalmente con lo scopo di creare un effetto domino che potesse essere usato per far fuori il “pezzo grosso”. Una vasta operazione, sfruttata sicuramente per “svecchiare” i servi Ben Alì e Mubarak ma anche e soprattutto per creare il giusto clima con cui tentare di tirare giù l’unico davvero scomodo in quell’area di colonie USA. Ora sembra che la finta rivoluzione libica, le finte fosse comuni, i finti bombardamenti e le finte armate brancaleone abbiano sostanzialmente fallito. A dispetto dei nostri patetici media (che lo dipingevano asserragliato nel bunker con poche ore di vita evocando paragoni di Hitleriana memoria) Gheddafi sembra aver sostanzialmente respinto l’ondata, aver ricacciato i pochi “rivoltosi” prezzolati e stare riguadagnando il controllo della situazione, tant’è che anche nelle ultime dichiarazioni gli USA si sono fatti molto più cauti su eventuali “no fly-zone” o “interventi umanitari”. Il dubbio è questo: non sarà che, visto il fallimento della loro strategia ma decisi a non rinunciare all’obbiettivo, le elite USA ricorrano al vecchio trucco delle operazioni “false flag” per avere il classico pretesto? Mi riferisco soprattutto alle portaerei americane che starebbero bivaccando in attesa di non-si-sa-cosa (ma in realtà lo si sa anche troppo bene) al largo delle acque libiche. Se, per ipotesi, una di quelle navi affondasse, ovviamente in seguito al solito attentato terroristico, la colpa potrebbe essere facilmente fatta ricadere sul novello Hitler Gheddafi e questo sgombrerebbe qualsiasi dubbio o ostacolo a tutti gli “interventi umanitari” del caso, utili a distruggere la Libia e a depredarla di tutte le sue risorse. Potremmo a breve trovarci davanti il solito “attacco terroristico”, se Gheddafi continua a riguadagnare terreno contro l’offensiva mediatico-prezzolata? Oppure gli USA potrebbero perfino rinunciare e rimandare l’intera operazione a data da destinarsi? Ciò può dipendere anche dalla posizione che la Russia deciderà di prendere? E quanto di tutto ciò influirà sul nostro già penoso status di colonia USA? Scusa la valanga di domande, ma non so perché credo che nelle tue falsità esagerate e tendenziose che turbano l’ordine pubblico tu possa aiutare ad avere una visione più lucida degli eventi, oltre il mare di merda della cosiddetta “informazione”.

Rickard



Caro Rickard, premesso che a scuola venivo sempre rimandato in Divinazione ed ero la disperazione del mio prof di Astrologia, proverò lo stesso a immaginare, a grandi linee, qualche possibilità di sviluppo dell’attuale crisi, basandomi sui fatti visti fin qui. Non c’è niente di male a fare delle previsioni e a sbagliarle clamorosamente, basta essere consapevoli che si tratta di ragionamenti provvisori ed essere pronti a rivedere e aggiornare gli strumenti dell’analisi man mano che si evolve la situazione sul campo.

Ciò che posso dire è che, nel momento in cui scrivo, l’impressione è che con questa ultima rivoluzione colorata in Libia, gli Stati Uniti abbiano morso un boccone più grosso di quanto possano masticare, che se ne stiano rendendo conto con sgomento e che si stiano scervellando per trovare un espediente che consenta loro di correre ai ripari.

Il risultato “positivo” più rilevante che abbiano ottenuto finora è stato quello di sbarazzarsi una volta per tutte della “variabile impazzita” rappresentata dal nostro Berlusconi. Il vergognoso voltafaccia compiuto dal nostro esimio capo di governo e dai suoi più stretti collaboratori – da La Russa a Frattini – sulla questione libica, in un momento in cui la fine di Gheddafi sembrava questione di ore, è stato più che sufficiente a gettare per anni il discredito sulla nostra politica internazionale, a renderci inaffidabili agli occhi di qualunque partner straniero, a riproporre per l’ennesima volta al mondo l’immagine di un’Italia pavida e doppiogiochista, che fa la voce grossa ma poi, quando il gioco si fa duro, è pronta a cambiare casacca da un minuto all’altro e a passare con la coda tra le gambe tra le fila degli avversari, implorando la loro clemenza. Tutte le rivoltanti campagne di stampa sulla “corruzione” e sui “bunga bunga” di Berlusconi, montate ad arte dalla stampa israelo-americana in questi anni, non avrebbero mai potuto danneggiare così irrimediabilmente l’immagine internazionale del bersaglio quanto è riuscito a farlo quest’ultimo, improvvido dietrofront rispetto ad accordi di amicizia e cooperazione bilaterale raggiunti con il governo libico non più di pochi mesi fa. Di certo nessuno si sarebbe mai illuso di poter paragonare Berlusconi a un De Gaulle, ma neppure era prevedibile il suo declassamento al rango di un Maramaldo o di un Vittorio Emanuele qualsiasi in tempi così repentini. Le conseguenze per l’Italia, in termini di contraccolpi sulla politica energetica, di rescissione di contratti con le nostre aziende più avanzate, di arretramento della sovranità, di vanificazione di ogni speranza d’indipendenza politica dalle imposizioni statunitensi, saranno terribili negli anni a venire. Non accadrà la stessa cosa ad altri attori internazionali, come la Russia di Medvedev e Putin, la quale, pur avendo assunto verso la crisi atteggiamenti altrettanto censurabili, può comunque giocare la carta di una posizione di forza e di una centralità negli scenari dell’energia che l’Italia, ovviamente, non si sogna nemmeno.

E’ grottesco che la nostra stampa nazionale, da anni così pronta a dare addosso a Berlusconi per i motivi più futili e campati in aria, non chieda a furor di popolo la sua immediata defenestrazione e magari la sua incarcerazione per alto tradimento dinanzi a decisioni così lesive del nostro interesse nazionale e del nostro futuro politico ed economico. Chiedo scusa per l’ingenuità di quest’ultima affermazione. Ogni tanto mi lascio abbacinare anch’io dal vagheggiamento del mondo come dovrebbe essere sotto il dominio della ragione, perdendo di vista l’analisi di ciò che esso è sotto il tallone del feudalesimo americano. Tornando coi piedi per terra, appare ovvio che Berlusconi può essere attaccato solo per questioni di futile moralismo gesuita e non per crimini contro l’interesse e la politica nazionale, per il semplice fatto che ci è vietato avere una politica nazionale o anche solo parlarne e che il nostro interesse nazionale è considerato coincidente con quello dei dominanti statunitensi; i quali, in questa specifica circostanza, si sono spellati le mani dagli applausi per l’improvvisa deviazione del nostro governo verso il pietismo e la tutela dei “diritti umani” delle folle virtuali di Tripoli. La famosa “libertà di stampa” integrata nelle democrazie di matrice americana è appunto la libertà di indirizzare il dibattito pubblico verso argomenti inconcludenti e del tutto privi di rilevanza strategica, tali da non disturbare i manovratori.

In ogni caso, la crisi libica va assumendo, col trascorrere dei giorni e con il contrattacco imprevisto di Gheddafi, connotati sempre più inquietanti anche per gli interessi di coloro che l’hanno scatenata. La rivoluzione libica sembra essere sfuggita di mano ai suoi progettisti e manifesta, già da ora, il proprio carattere incontrollabile che richiederà nei prossimi mesi – o anni – una valutazione momento per momento delle azioni da intraprendere per evitare che scateni reazioni a catena dall’esito imprevedibile. Gli USA hanno fatto un primo tentativo, provando ad orchestrare la deposizione di Gheddafi per via di tumulto indotto e teletrasmesso, più o meno con gli stessi metodi con cui si erano sbarazzati dei loro vecchi maggiordomi tunisini ed egiziani. Ma il leader libico si è rivelato un osso un po’ più duro da rodere; è probabile che la sua natura coriacea dipenda meno da qualità personali (che pure ci sono) che dagli interessi energetici, militari, finanziari e commerciali di cui la Libia è fulcro. Ed è difficile pensare che la brillante riconquista di posizioni attuata dall’esercito del raìs negli ultimi giorni non sia stata favorita da un intervento esterno di qualche tipo.

Non penso solo a Russia e Cina, ma allo stesso Israele, che si è trovato del tutto spiazzato di fronte alla reviviscenza spettacolare dell’espansionismo imperialista americano, mantenendo sugli eventi in corso in Nord Africa uno stizzito ed eloquente silenzio. La presidenza Obama è stata caratterizzata, fin dall’inizio, dalla direttiva di ridurre a più miti consigli le pretese del suo più potente feudatario mediorientale. Dopo gli anni di Bush, durante i quali ci si chiedeva allibiti se non fosse per caso la “coda” israeliana ad agitare il “cane” statunitense, l’amministrazione Obama ha perseguito l’obiettivo di ridimensionare drasticamente le pretese israeliane sulla regione mediorientale. Si pensi al braccio di ferro sulla questione degli insediamenti, al rifiuto dei vertici militari americani di prestare orecchio alle richieste israeliane di un intervento diretto in Iran, alla recente rimozione dall’entourage di Obama di figure sioniste di spicco ( http://blogghete.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=119:gianluca-freda&catid=32:politica-internazionale&Itemid=47 ) quali Rahm Emmanuel, David Axelrod e Larry Summers o ad altre operazioni simboliche e “di avvertimento”, quali l’arresto del finanziere ebreo Bernie Madoff e la retata contro i rabbini trafficanti d’organi ( http://blogghete.altervista.org/index.php?option=com_content&view=article&id=151:gianluca-freda&catid=32:politica-internazionale&Itemid=47 ) nel New Jersey. Per questo motivo, non mi stupirei più di tanto se fossero vere le indiscrezioni secondo le quali l’organizzazione israeliana Global Cst starebbe fornendo a Gheddafi truppe mercenarie per rafforzare il suo contrattacco ( http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=33133 ) . Il recente antagonismo fra Israele e il suo tirafili americano, esaurite le armi della diplomazia, prosegue sottotraccia con mezzi più convenzionali e diretti. Per inciso: questo potrebbe spiegare anche la posizione, altrimenti incomprensibile, di ottimi commentatori di politica internazionale come Maurizio Blondet; il quale, fin dall’inizio di queste crisi a catena, si è rifiutato di evidenziarne la pur assai appariscente orchestrazione americana. Può darsi che le (apprezzabilissime) posizioni antisioniste di Blondet lo spingano a non intralciare con le proprie analisi (che in effetti, sul sito di Effedieffe, si sono assai rarefatte) quella che ha compreso essere una riaffermazione dell’egemonia statunitense sull’intero Mediterraneo dalla quale Israele uscirà fortemente ridimensionato.