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Una ragazza, spesso in vacanza, comunque di passaggio, si finge prostituta. A volte l’esperienza si conclude, apparentemente, senza speciali traumi, a volte ha finali complicati. Come per la ragazza spagnola che, a Roma, dopo l’incontro s’è inventata un abuso sessuale, magari per mettere a tacere i sensi di colpa. In ogni caso, si rivela spesso un’esperienza forte. Tuttavia assai frequente: la maggior parte vengono alla luce solo nello studio del medico, o psicologo. Perché lo fanno? Vale la pena di chiedercelo.
E questo perché, oltre agli episodi, davvero oggi molto numerosi, simularsi prostituta fa parte dell’immaginario collettivo di sempre. Film famosi come «Bella di giorno» del grande Bunuel, o music hall di enorme successo come «Rugantino» illustrano episodi in qualche modo simili: donne che, senza averne nessun bisogno, si fingono prostitute e cercano degli incontri a pagamento.
Fenomeni di costume come i club di scambisti, importanti per diffusione e conseguenze (anche se parlarne non è elegante), vivono per permettere un’immaginazione simile (in questo caso maschile): che la propria compagna sia una donna “pubblica”, vada con tutti.
L’osservazione del fenomeno della prostituzione simulata può aiutare tra l’altro a capire meglio quello, concreto e spesso drammatico, della vendita del corpo, dove spesso si fa precedere la condanna morale alla motivazione reale della persona, capendo così poco di quanto accade. Compreso il fatto, che lascia molti stupefatti, che quando si scopre che una donna (forse) si vende, le sue azioni in società si impennano, tanto da farla invitare a balli superesclusivi, come è accaduto a Ruby, moderna Cenerentola, trasportata con aereo privato al ballo delle debuttanti, a Vienna.
Il fatto è che la prostituta, sia per le donne che per gli uomini, non è solo un’immagine di emarginazione e di sfruttamento, e non lo è mai stata (anche se è anche quello, soprattutto nei momenti di grandi migrazioni e traffici sulle persone).
Fin da prima dell’epoca classica, le prostitute lavoravano nei templi, come figure sacerdotali devote alle Grandi Dee Madri, e iniziatrici degli uomini alla sessualità. Il patriarcato e il maschilismo non c’entrano, perché le prostitute sacre erano presenti invece nell’era e nei territori, più matriarcali, delle Dee Madri (tra cui il Mediterraneo e il Medio Oriente).
La prostituzione “sacra” di fanciulle (che gli uomini sposavano poi molto volentieri una volta uscite dal tempio), era anzi considerata un segno della potenza e della libertà del femminile e delle sue Dee.
Il prestigio, e la potenza trasgressiva, della donna che vende se stessa è poi continuato, anche se non più protetto dalla sfera religiosa. Nell’Ancien Régime, prima delle rivoluzioni borghesi del 600/700, le “favorite” di Re e Principi, i personaggi più potenti della Corte, erano prostitute d’alto bordo.
Non si tratta di “vecchie storie”: il potere del femminile esperto ed apprezzato nel suo sapere sessuale fa parte, ancora oggi, dell’inconscio collettivo, sia femminile che maschile. Ed è la ragione principale che spinge non poche ragazze al non sempre tranquillo “gioco della prostituta”. Una sorta di auto iniziazione al femminile adulto, diretta ad accertarti se sei sufficientemente desiderabile per un uomo, ed abbastanza esperta nella sessualità, da spingerlo a “pagare” per te, a dare qualcosa di suo (il denaro nei sogni simbolo di energia) pur di stare con te, senza sentimentalismi e senza più rivederti.
Molte ragazze, e qualche donna, credono che la prostituta sia questo. E quindi ci giocano.