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Un uomo di nome Ziegler

di Hermann Hesse - 05/06/2006

Fonte: luleonin

 

Un tempo sulla Brauergasse abitava un giovane signore di nome Ziegler. Era di quelli, in cui ci imbattiamo ogni giorno, immancabilmente, per la strada, e di essi non riusciamo a ricordare il volto perché è sempre lo stesso: un volto collettivo.

Ziegler era e faceva tutto ciò che persone del genere sempre sono e fanno. Non che fosse privo di talento, ma neppure ne aveva molto; amava il denaro e la vita comoda, i begli abiti, ed era pigro come la maggior parte degli esseri umani.La sua esistenza e le sue azioni erano rette, più.che da impulsi e aspirazioní, da proibizioni e dalla paura di punizioni. Ciononostante, non gli mancavano i lati buoni, ed era, nel complesso, un uomo piacevolmente normale, agli occhi del quale la sua propria persona era molto cara e importante. Come ognuno di noi, si riteneva un tipo eccezionale, mentre era invece soltanto l'esemplare d'una specie e in se stesso, nel proprio destino, come del resto ognuno di noi, vedeva il centro dell' universo. Dubbi non lo sfioravano, e quando le realtà di fatto erano in contrasto con la sua visione dei mondo, chiudeva disgustato gli occhi.

Da uomo moderno qual era, nutriva illimitato rispetto, oltre che per il denaro, anche per un altro potentato: la scienza. Non avrebbe saputo dire che cosa questa fosse effettivamente: pensava a un qualcosa di simile alla statistica, e magari alla batteriologia, e gli era ben noto quanto denaro lo Stato spendesse per la scienza e di quali onori la facesse oggetto. In particolare, faceva tanto di cappello alle ricerche sul cancro, essendo che suo padre di cancro era morto, e Ziegler supponeva che la scienza, nel frattempo giunta a un così alto grado di sviluppo, non avrebbe permesso che capitasse anche a lui.

Esteriormente, Ziegler spiccava per l'aspirazione a vestirsi in maniera un tantino superiore ai suoi mezzi, sempre in perfetto accordo con la moda dell'anno: quella del trimestre e del mese, che trascendeva di gran lunga le sue possibilità economiche, era infatti da lui disprezzata quale stupida scimmiottatura. Ci teneva molto al carattere, e non esitava, tra i suoi pari, e in luogo sicuro, di dire peste e corna di grandi e governi. Forse mi dilungo un po' troppo in questa descrizione,d'altro canto, Ziegler era davvero un giovane attraente, e con lui abbiamo perso molto. Perché andò incontro a una fine precoce quanto fuor dal comune, in pieno contrasto con tutti i suoi progetti e le sue legittime speranze.

Poco dopo essersi trasferito nella nostra città, Ziegler decise, un giorno, di concedersi una piacevole domenica. Non aveva ancora fatto vere e proprie amicizie, e non aveva saputo decidersi a entrare a far parte di questa o quell'associazione. Forse era questa la sua disgrazia: non è bene che l'uomo sia solo.

Non gli restava pertanto che interessarsi alle attrattive della città, sulle quali si informò coscienziosamente. E, dopo attento esame, si decise per il museo di storia e il giardino zoologico. Il mattino della domenica, l'ingresso al museo era gratuito e il giardino zoologico lo si poteva visitare il pomeriggio con modica spesa.

Con indosso il suo nuovo abito da passeggio con bottoni ricoperti della stessa stoffa, che tanto gli piaceva, la domenica Ziegler si recò dunque al museo di storia. Aveva con sé il suo sottile, elegante bastone da passeggio: un bastone a sezione quadrangolare, laccato di rosso, che gli conferiva rispettabilità e lustro, ma che però, con suo profondo rammarico, gli fu tolto all'ingresso prima che potesse accedere alle sale. In quelle alte stanze c'era molto da vedere e lo zelante visitatore in cuor suo lodò l'onnipotente scienza che anche lì rivelava la propria ammirevole fondatezza, come ebbe modo di constatare passando con cura in rassegna le vetrine. Vecchie cianfrusaglie, come ad esempio chiavistelli rugginosi, resti di collane ricoperti di verderame, e simili, acquistavano, per il fatto stesso di passarle in rivista, uno straordinario interesse. Era stupefacente vedere di che cosa non s'occupasse la scienza, come tutto dominasse e sapesse dominare - ma certo, ben presto avrebbe sgominato il cancro e forse anche la morte !

Nella seconda sala, Ziegler, scorse una vetrina le cui lastre erano così immacolate e splendenti che per qualche immoto istante poté riflettervici, controllando, con meticolosa soddisfazione, il proprio abito, la pettinatura, la cravatta, la piega dei pantaloni, il colletto. E, con un sospiro di sollievo, procedette oltre, per appuntare il proprio interesse su certi utensili di antichi falegnami. Persone diligenti, costoro, benché alquanto ingenue, si disse bonario. E anche un vecchio orologio a pendolo munito di figurine su d'avorio, che al suono dell'ora danzavano un minuetto, fu da lui contemplato con un sorrisetto comprensivo. Poi, però, la faccenda cominciò ad annoiarlo un pochino; Ziegler sbadigliava, cavava spesso di tasca l'orologio che del resto tanto gli piaceva mostrare: era d'oro massiccio, un'eredità di suo padre.

Come ebbe modo di constatare dispiaciuto, mancava ancora parecchio all'ora di pranzo, ragion per cui entrò in un'altra sala, la quale però seppe catturarne davvero l'attenzione. Conteneva oggetti della superstizione medioevale, libri di magia, amuleti, gli armamentari delle streghe e, in un angolo, un'intera officina alchemica con tanto di forno, mortai, vetri panciuti, vesciche di maiale seccate, mantici e via dicendo. Queste cose stavano in un angolo isolato da un cordone, e su una tabella si leggeva che era proibito toccare gli oggetti esposti.

Ma scritte del genere non vengono mai lette con molta attenzione, e poi Ziegler era l'unico visitatore.

E così, spensieratamente allungò la mano oltre il cordone e toccò questo o quel ridicolo oggetto. Del Medioevo e delle sue sciocche superstizioni aveva già letto e udito parlare; gli riusciva incomprensibile come la gente di allora potesse perdere il tempo con simili infantili aggeggi, e che semplicemente non si proibisse tutto quell'imbroglio delle streghe con le loro cianfrusaglie. Al contrario, l'alchimia almeno in parte la si poteva scusare, dal momento che ne era derivata la chimica che è tanto utile.

Buon Dio,e pensare che forse il crogiolo per fare l'oro e tutto quello stupido armarnentario magico erano stati indispensabili perché oggi ci fossero l'aspirina e i gas asfissianti!

Distrattamente, prese una piccola pallina scura, simile più che altro a una pillola medicinale: un oggettino rinsecchito, senza peso, che si fece, rotolare tra le dita, e stava per riporre quando udì passi alle sue spalle. Si volse, era entrato un altro visitatore. E Ziegler si sentì in grave imbarazzo perché aveva ancora la pallina in mano e non aveva letto, com'è ovvio, la scritta che proibiva di toccare gli oggetti esposti. Per cui chiuse a pugno la mano, se la infilò in tasca, uscì.

Solo quando fu in strada si sovvenne della pallina. La prese di tasca e fu lì lì per gettarla, prima però se la portò al naso e la odorò. La pillola mandava un debole profumo resinoso che gli piacque, ragion per cui se la rimise in tasca.

Andò al ristorante, ordinò, sfogliò qualche giornale giocherellò con la propria cravatta e lanciò agli altri clienti occhiate ora rispettose, ora altere,secondo com'erano vestiti. Il cibo però si faceva aspettare, e il signor Ziegler tornò a cavar di tasca la pillola alchemica, che aveva rubato per distrazione, e l'annusò di nuovo. Poi la grattò con l'unghia dell'indice, e infine, seguendo un ingenuo impulso infantile, se la portò alla bocca; al contatto con la saliva, la pallina si sciolse rapidamente, non aveva un sapore sgradevole e Ziegler la mandò giù con un sorso di birra. Subito dopo, ecco arrivare i piatti ordinati.

Alle quattordici, il nostro giovanotto scese dal tram, entrb nel giardino zoologico, acquistò un biglietto festivo.

Sorridendo cordialmente, si recò verso' la dimora delle scimmie e si piantò davanti al gabbione degli scimpanzé. Una grossa scimmia lo guardò socchiudendo gli occhi, gli rivolse un cenno bonario e con voce profonda pronunciò queste precise parole: "Come va, fratellino?".

Seccato e sorpreso, il visitatore volse la schiena alla gabbia e se ne andò in fretta, e alle sue spalle udì la scimmia dire con tono insolente: "Ed è anche pieno di superbia! Stupida creatura dai piedi piatti !".

In fretta, Ziegler si diresse alla gabbia dei cercopitechi, i quali si lanciarono in una ridda sfrenata, gridandogli: "Ehi, amico, dacci dello zucchero!". E siccome Ziegler di zucchero non ne aveva, quelli si arrabbiarono, gli rifecero il verso, gli diedero del morto di fame e gli mostrarono i denti. Questo, Ziegier non lo sopportò: sconvolto, sbalestrato, corse via, dirigendo i propri passi al recinto dei cervi e dei daini, dai quali s'aspettava un contegno più educato.

Un grosso alce maestoso stava accanto alle sbarre, guardando fisso il visitatore. E Ziegler sentì freddo al cuore. Perché, da quando aveva inghiottito l'antica pillola magica, capiva il linguaggio degli animali, e l'alce parlava con gli occhi, due grossi occhi bruni, e il suo sguardo immobile esprimeva maestà, rassegnazione e tristezza, e nei confronti dello spettatore un distaccato disprezzo, un disprezzo che intimidiva. Per quell'immobile, maestoso sguardo, come s'avvide Ziegler, lui col suo cappello, il bastone, l'orologio e l'abito della domenica, era uno sgorbio,ecco cos'era, una bestia ridicola e disgustosa.

Ziegler fuggì dall'alce e andò dallo stambecco, poi dal camoscio, dal lama ,dallo gnu, dai cinghiali e dagli orsi. Non ne fu insultato, ma da tutti si sentì disprezzato. Stette ad ascoltarli, e dalle loro conversazioni seppe che cosa ne pensavano degli uomini. Ed era spaventoso prestar loro orecchio. Perché gli animali assai si meravigliavano che quei bipedi brutti, puzzolenti, privi di dignità, con indosso ridicoli vestiti, potessero circolare liberamente.

Udì un puma parlarne con il figlioletto, una conversazione piena di dignità e di saggia concretezza, come di rado capita tra uomini. Udì una bella pantera esprimere, con pacata concisione e un tono di aristocratico distacco, la propria opinione sulla turba dei visitatori domenicali. Fissò lo sguardo in quello dei fulvi leoni, e seppe quanto ampio e meraviglioso sia il mondo selvaggio in cui non ci sono né gabbie né uomini. Vide un falco reale starsene, triste e fiero, in immota malinconia, su un ramo morto, e le ghiandaie sopportare con compostezza, alzate di spalle e senso dell'umorismo, la loro prigionia.

Stordito, strappato a tutte le sue abitudini mentali, Ziegler, in preda alla disperazione, tornò tra gli uomini. Cercava uno sguardo in cui poter leggere comprensione per la sua miseria e la sua paura, tendeva l'orecchio alle conversazioni nella speranza di udire qualcosa di consolante, di comprensivo, di benefico, osservava i gesti dei molti visitatori per trovare, anche in essi, un po' di dignità, di naturalezza, di nobiltà e di tranquilla superiorità.

Ma rimase deluso. Udiva le voci e le parole, scorgeva i movimenti, gli atteggiamenti, gli sguardi, e siccome ora vedeva tutto con occhi da animale, non trovò null'altro che una società degenerata, fasulla, bugiarda, brutta, composta da esseri bestiali che sembravano un risibile miscuglio di tutte le specie animali.

Disperato, Ziegler vagava senza meta, vergognandosi moltissimo di se stesso. Il bastoncino spigoloso l'aveva da un pezzo gettato in un cespuglio, e dietro al bastoncino i guanti. Ma quando gettò via il cappello, si tolse gli stivali, si strappò la cravatta e, singhiozzando, si aggrappò alle sbarre del recinto dell'alce, venne clamorosamente arrestato e portato di peso in manicomio.

1908-tratto da "leggende e fiabe" di Hermann Hesse