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Gaza-Israele: tregua a tempo

di Eugenio Roscini Vitali - 21/04/2011


 





Ad una settimana dalla tregua mediata dall’Onu e dall’Egitto, sul confine che separa la Striscia di Gaza da Israele si è tornati a sparare. Gli ultimi razzi palestinesi erano caduti sul Negev il 10 aprile scorso: due caduti nei pressi di Sha’ar HaNegev e Sdot Negev ed uno in un’area disabitata a sud di Ashkelon, preceduto da tre colpi di mortaio sparati contro le zone agricole del Consiglio Regionale di Eshkol.

Il cessate il fuoco informale si è interrotto  nella notte tra venerdì e sabato, con due missili Grad lanciati verso la città di Ashdod, che non hanno comunque causato né danni né feriti, e con l’immediata risposta degli F-16 dell’aviazione israeliana che, poche ore dopo, hanno centrato due campi di addestramento delle brigate al-Qassam, uno ad ovest e l’atro a sud di Gaza City, nel quartiere periferico di Zaytoun.

L’escalation dello scontro era iniziata il 7 aprile scorso, quando un ragazzo israeliano era rimato gravemente ferito in un attentato portato contro uno scuola bus da gruppo di combattenti vicino alle brigate al-Qassam: il mezzo su cui viaggiava lo studente - morto dopo dieci giorni di ricovero presso l’ospedale Soroka di Be’er Sheva - era stato centrato e sventrato da un missile anti-carro Kornet (codice NATO: AT-14 Spriggan) mentre percorreva la strada che costeggia la frontiera settentrionale con la Striscia di Gaza, all’altezza del kibbutz di Sa’ad, Consiglio regionale di Sdot Negev.

All’azione, rivendicata da  Hamas come ritorsione “agli assassinii extragiudiziali condotti dall’aviazione  israeliana”, e più precisamente contro l’attacco missilistico avvenuto alcuni giorni prima a nord di Deir al-Balah, nel quale erano morti  tre leader delle brigate al-Qassam, era seguita la durissima reazione di Tel Aviv: nell’arco di quattro giorni i raid aerei e terrestri delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) causavano la morte di 19 arabi e più di 70 feriti, alcuni dei quali civili, mentre l’ala militare del movimento radicale palestinese rispondeva colpendo il Negev occidentale con otre 140 fra razzi e compi di mortaio.

Per dare un’idea della vastità dell’offensiva israeliana basta ricordare come tra l’8 e il 10 aprile le IDF siano state in grado di colpire quasi tutta la Striscia di Gaza: danneggiati e distrutti molti tunnel con che collegano l’enclave all’Egitto; centrate le postazioni delle brigate di al-Quds ed attaccati il quartiere as-Sultan di Rafah e la spiaggie di ash-Shawa e as-Sudaniyah, a nord-ovest della Striscia di Gaza; colpite le strutture delle brigate al-Qassam nel campo rifugiati di Ash-Shati, la città di Beit Lahiya e i quartieri di ad-Daraj, ash-Shuja’iyah e Zaytoun, a Gaza City; bombardate la città di Jabaliya e i quartieri di al-‘Umur e Kuza’ah a Khan Younes, l’area di Hajar ad-Dik, nel centro della Striscia, e il quartiere di Tuffah, ad est di Gaza City.

L’escalation della violenza nel vicino Medio Oriente è confermata anche dalle statistiche e dai numerosi scontri che si stanno verificando lungo la buffer zone di 300 metri che circonda l’enclave palestinese. L’Istituto internazionale per i diritti umani “Tadamun” ha reso noto che dall’inizio dell’anno sono aumentate considerevolmente le violazioni israeliane nella Striscia di Gaza. Nel mese di marzo gli attacchi aerei e il fuoco dell’artiglieria sarebbe diventato un fatto quasi quotidiano che avrebbe causato la morte di 16 palestinesi, 5 dei quali  adolescenti, e il ferimenti di circa 70 persone.

Un report pubblicato dall’agenzia israeliana "General Security Service", denuncia altresì che nello stesso periodo la regione del Negev occidente avrebbe subito 47 attacchi nei quali sarebbero stati sparati 38 razzi e 87 colpi di mortaio (14 gli attacchi a febbraio con 6 razzi e 19 colpi di mortaio). Nel resto del Paese le autorità israeliane avrebbero inoltre registrato 78 azioni terroristiche, 42 delle quali nell’area di Gerusalemme e 36 nella Giudea e nella Samaria, due delle quali particolarmente feroci: le cinque vittime della strage di Itamar e il morto e i 23 feriti causati da una bomba fatta esplodere a Gerusalemme il 23 marzo scorso.

Nei giorni in cui a Gaza si è tornato a combattere e in Israele è ripresa la querelle sul rapporto Goldstone: in un articolo pubblicato il 1° Aprile scorso sul Washington Post, il giudice che ha investigato sulle violazioni ai diritti umani commesse all’interno del conflitto israelo-palestinese del 2008 ha modifica alcuni dei concetti espressi il 15 settembre 2009, ripensamenti che ammorbidiscono la posizione su quelli che Richard Goldstone aveva definito “crimini di guerra”.

Il giurista sudafricano di origine ebrea afferma di essere giunto alla conclusione che le azioni condotte dalle IDF durante l’operazione “Piombo fuso” non erano deliberatamente dirette contro i civili e che quindi la metà dei 1.432 palestinesi morti tra 27 dicembre 2008 e il 17 gennaio 2009, 400 dei quali bambini, non possono essere considerati l’obbiettivo dei bombardamenti  ma danni collaterali, persone che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Una “giustificazione” che, di fatto, conferma come tutti quei palestinesi non combattenti rimasti vittime della guerra non erano altro che civili inermi ed indifesi; un verdetto che riempie di gioia i responsabili di quei massacri ma che danneggia la reputazione di Israele più di quanto fecero quelle stesse morti.