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Gaber: L’ultimo Anarca

di Miro Renzaglia - 07/06/2006

 

 Va beh, ammetto di buttarmi avanti per non rischiare di essere risucchiato verso polemiche che sanno, ormai, veramente di antico stucco. E dichiaro solennemente: non ho nessuna intenzione di elevare Giorgio Gaber agli altari della destra. Per cui, prego i censori di nessun Catilina di astenersi dal riproporre la stantia imputazione di appropriazione indebita, puntualmente rivolta a chiunque si azzardi a salpare dai sacri lidi (mettiamo: evoliani…) verso orizzonti ritenuti esotici (alla destra…): da Carlo Michelstaedter a Vasco Rossi... 

D’altronde - capirete bene, spero! – che quando uno (il Gaber in oggetto…) esibisce  una canzone- manifesto in cui, dopo aver elencato tutti i più triti luoghi comuni della (ormai presunta, almeno in termini di gusti …) contrapposizione “Destra-Sinistra” (che solo un senile Bobbio poté riproporre con pretese filosofiche ad uso esclusivo della sinistra, peraltro…); quando si esibisce un manifesto del genere - dicevo -  e lo si conclude con un eloquentissimo: “E basta!!!”, starlo a ritirare di qua o di là, sarebbe veramente un’operazione degna del miglior Zdanov. E io che mi picco d’essere con lui (con Gaber, non con Zdanov…), estraneo ai suddetti luoghi comuni, preferirei  essere lapidato piuttosto che cadere in così meschina tentazione…

In ossequio al concetto bipartizan, che mi è pure estraneo ma che si evoca quasi da sé, sarebbe anche il caso che qualcuno dicesse ai duri e puri censori di destra che il loro sfiancamento, al fine di mantenere blindati i sacri recinti da pascoli esogeni, li etichetta inequivocabilmente per quelli che sono: razzisti culturali…

Premesso tutto ciò, andiamo oltre. Oltre, perché - cari signori tutti - sigillare Gaber nelle gabbie dello scomodo “stare dentro” qualunque interpretazione preconfezionata, sarebbe opera di alta sartoria mistificatrice… Così, di oltre in oltre, veniamo a cecio pescando, fra i concetti che gli furono cari cantare, quello che lo fu per eccellenza: la libertà… Ed assumiamolo (il concetto di libertà…) a filo conduttore del nostro discorso, senz’altro piacere e scopo che quello di un dialogo, a distanza obbligatoria, con un’intelligenza che non cessa, nonostante tutto, di essere viva…

È proprio qui, dalla sua concezione di libertà che Gaber spazia in largo e lungo fustigando, in nome e per conto della sua personale facoltà di giudizio, tutto e tutti. A partire dal primo contratto comunitario e di appartenenza che si conosca: il rapporto uomo-donna.  E la sua frusta a nove code fende ogni pigra opinione con effetti veramente devastanti. E con chi se la va a prendere? Mica con le sacre unioni vincolate dal cielo nell’indissolubilità del matrimonio, macchè: se la prende coi rapporti di coppia assai modernamente aperte a qualsiasi “brividino del cuore” le agiti dall’esterno. E dice in un’intervista: “Ma non c’è mai venuto in mente che proprio nella fedeltà si potrebbe trovare una risposta diversa? No, non la fedeltà alle istituzioni e neanche alle regole del buon senso antico ma… la fedeltà a se stessi…”. Ehilà!, ma guarda un po’ ‘sto tipo, manco lontanamente fascista, che ti va a tirare fuori: addirittura il valore della fedeltà. Per di più, in contrapposizione a quella scemenza del cosiddetto “amore libero”, già fiero avamposto di ogni liberazione sessuale di sessantottesca (e per niente nobilmente donchisciottesca…) memoria… Ora, se fossi un censore di destra (ma, ripeto: non lo sono…) mi impunterei caparbiamente nello stabilire delle due, una: o Gaber è dei nostri e non lo dice per opportunismo, o è in palese contraddizione con gli sbandieramenti delle “umane sorti e progressive” della sinistra. Siccome, invece, io penso che il terzo è sempre possibile darlo, ritengo che Gaber abbia saputo costruire in sé un equilibrio avanzato di giudizioso distacco dalle mode progressiste, senza cadere nell’ipocrisia bigotta e borghese del dio-patria-famiglia. E chissenefrega se fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: l’importante è che la bussola indichi un Nord. Poi, fra tempeste ormonali e sempre possibili ammutinamenti in corso d’avventura, qualche deriva nella vita è proprio difficile evitarla. L’importante è saper riprendere la rotta… 

Se dalla coppia aperta, poi, passiamo alla società aperta, quella in cui “Si può” qualsiasi fregnaccia passi dall’anticamera del cervello di chi la concepisce, ai referendum eterologhi e staminali; alle leggi di certi stati avanzati, anzi avanzatissimi, che consentono le adozione di minori alle coppie omosessuali purché, s’intende, legittimamente sposate; ai pietosi (dal romanesco: “chiedo pietà”…) concerti megagalattici per l’abolizione del debito pubblico in Africa, perché noi siamo “I più buoni”, è vero, ma se poi il nigeriano ti viene a chiedere l’autografo, gli rispondi di no e tiri dritto perché non ti sei accorto che c’è una telecamera nascosta, altrimenti glielo avresti fatto e, infatti, appena l’occhio magico della televisione ti si rivela, cedi alle insistenze dell’africano con un bel sorriso telegenico di umana solidarietà, vero Jovanotti?; di fronte alle  meraviglie di questa società sempre più liberata - dicevo - c’è solo da rimpiangere che la fretta con cui il Signor G. se ne è andato ci abbia lasciati orfani di un aggiornamento in tempo reale dell’elenco di tutte le “libertà obbligatorie” di cui siamo portatori infetti. Tutte, tranne una, l’unica che, come un novello Barone di Munchausen, consentirebbe di tirarsi da soli per i capelli fuori dalla fossa biologica in cui ci siamo ridotti allo sguazzo: “la libertà di pensare”.

 E, pensa che ti ripensa, ricorderete - è vero? - l’omonima canzone dove, dopo aver enunciato tutte le libertà che non-sono: “La libertà non è star sopra un albero / non è neanche avere un’opinione / etc.”, Gaber esplicita come (la libertà…) dovrebbe essere correttamente intesa: “Libertà è partecipazione…”. Or bene, si dà il caso che, partecipando, si costituisca automaticamente una comunità. E cos’è la comunità se non quel luogo (ormai sempre meno frequentato…) dove l’individuo rinuncia volontariamente a fare i propri comodi assecondando, invece e piuttosto, l’interesse della comunità stessa?  Gli anarchici alla lettera volgare (vale a dire: gli scimmiottatori globali di altre e più alte concezioni di anarchico e, soprattutto, di anarca…), toppano esattamente in questo: non si rendono conto che per essere perfetti individui liberi dovrebbero rinunciare ad appartenere a qualsiasi consesso umano. Tu, anarchico alla lettera volgare, vuoi alzare altari a quel santo egoismo assoluto che, volgarmente, pretendi aver imparato da Stirner? Sì? E allora vattene a discettare con i pesci palla su un’isola deserta, circa la tua condizione di uomo (?) libero (?)…

Dagli anarchici alla lettera volgare ai liberisti, il passo è talmente breve che gli estremi - come si sa - arrivano, a volte, persino a toccarsi contronatura. Ora, se c’è una cosa che si distacca di più dal concetto di libertà, correttamente inteso in termini di appartenenza e di comunità, ma che gli si appiccica addosso come una mignatta etimologica, questo è proprio il liberismo. Tanto da elevare “Il mercato” a sinonimo stesso di libertà. Gaber, ovviamente, la pensa diversamente. Ma non vi aspettate da lui soluzioni politiche al problema: il deserto va attraversato, sì, ma passando attraverso la propria anima, perché:  “Lui. Lui, il mercato è dovunque. Niente gli sfugge. E' avido e insaziabile, non si accontenta mai. Lui per crescere ha bisogno di noi, però stranamente non ha bisogno di gente che sceglie. E’ Lui che sceglie per noi e determina la nostra vita con la sua quotidiana invisibile presenza. Ma se un giorno Lui di colpo sparisse? Se di colpo ci trovassimo esclusi da questo meccanismo perfetto così al di fuori da qualsiasi morale? In fondo è Lui che ci procura benessere e ricchezza. E’ Lui che condiziona la nostra vita. La vita di ogni paese. Non c’è niente da fare. Oggi come oggi chi rifiuta la sua logica rischia di non mangiare; chi l'accetta con allegria subisce gravi danni alle sue facoltà mentali, cioè l'annientamento totale delle coscienze. Insomma, un uomo oggi non ha neanche la possibilità di schierarsi a favore o contro di Luì. Incredibile! Ma forse se lo si sa, se ne si è consapevoli sì può praticare questa realtà senza pretendere di risolvere le cose con un sì o con un no…” . Insomma, anche qui, non è che Gaber s’impigrisca su affermazioni o negazioni categoriche, reputandole giustamente impraticabili. E poiché poco confida sull’autoresipiscenza del mercante, sollecita il recupero di autoconsapevolezza dello shopping man. Premunendosi, però, da ogni illusione dichiarando, fin dal titolo dell’album che comprende il monologo sopra trascritto: “Io sono ingenuo”. Ma pur ammettendosi tale (ingenuo…), il suo pronunciamento ti porta per forza di cose a considerare che, finché l’interesse dell’uno sarà considerato a fortiori l’interesse di tutti, chi si sentirà investito per diritto di dio-mercato a realizzare la propria fortuna considerandola una benedizione, anteporrà sempre il suo privato (dal greco idiòtes, idios, idiota: “che sta a sé”…) a qualsiasi interesse pubblico…

Per tutti gli idiòtes che elevano a valore assoluto il proprio “stare a sé”, repetita juvant: la libertà è un valore che va conciliato con il e nel senso de “L’appartenenza”: “L’appartenenza / non è un insieme casuale di persone / non è il consenso / a un’apparente aggregazione / l’appartenenza / è avere gli altri dentro di sé. // Uomini / uomini del mio passato / che avete la misura del dovere / e il senso collettivo dell’amore…”. E lasciamo stare il dovere che aprirebbe la strada del discorso a infinite variazioni sul tema, e non mi sembra il caso, ma, oh, dio!!! l’amore?  L’amore non è, forse, anche un vincolo (dal latino vincire: “legare”…)? Oh, yes…  Non era Agostino (il Santo…) che diceva: “Ama e fai ciò che vuoi?” Oh, yes… Non era Nietzsche (il Matto…) che affermava: “Ciò che accade per amore, accade al di là del bene e del male”? Oh, yes… E allora? Allora, allora… Allora è semplice: prima impara ad amare poi, ma solo poi, sei libero di fare ciò che vuoi, anche al di là del bene e del male…  Nel limite infinito della fedeltà a se stessi e alle proprie scelte, chioserebbe (forse…) Gaber…

 
 
 
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