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L’Uomo Nero e la Bicicletta Blu

di Michele Zecchi - 26/04/2011


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È piacevole chiaccherare con Eraldo Baldini. Parla in modo calmo e ponderando le parole.
Risponde andando in profondità, levando via il superfluo. Mi trasmette un rigore di fondo.
Lo raggiungo telefonicamente per avere qualche anticipazione sul nuovo libro in uscita in questi giorni, L’Uomo Nero e la Bicicletta Blu, pubblicato da Einaudi.
Eraldo mi parla di un romanzo di formazione, ambientato in un paese di campagna, siamo nel 1963, con protagonista un bambino di 10 anni che vive la sua infanzia in un mondo di fantasia e di fiabe, fuori dalla modernità, spensierato e leggero come dovrebbe essere ogni bambino.
Il desiderio di possedere una bella bicicletta blu e la concomitante perdita del lavoro da parte del padre lo convincono ad intraprendere una tragicomica serie di lavoretti per poter realizzare il suo sogno. E l’uomo nero? Forse non è solo nelle favole che sente in paese…
Un libro sulla perdita della innocenza e sulla cognizione del dolore. Declinazione in chiave romagnola della prima della Quattro Nobili Verità.
Quasi scontato a questo punto chiedergli quanto c’è del suo vissuto in questo racconto: molto, mi risponde. Scopro che anche lui, negli stessi anni, (il bambino protagonista e Baldini sono coetanei) vive sulla sua pelle le difficoltà lavorative del padre e inizia a darsi da fare per mettere insieme qualche soldo. Anche lui ha dovuto far presto i conti con la vita che cambia e che spesso è più dura di quanto noi vorremmo. Ma le difficoltà, si sa, rafforzano.
Mi interessa capire come mai per un milione di persone la Romagna è terra di divertimento, di piadina, sole mare e belle ragazze mentre nei suoi racconti è un luogo difficile, inospitale, pericoloso “Compito dello scrittore è vedere le cose da dentro, in maniera diversa” mi risponde. “La Romagna non si esaurisce con la fascia costiera e i suoi divertimenti, che sono peraltro una invenzione recente. Va dal mare, attraverso la pianura e la palude fino alla montagna. È storicamente una terra dura.” Insomma usciamo dagli stereotipi.
Si fa sempre più interessante la conversazione con Eraldo. Sono curioso di sapere come nasce una storia, se prima di scrivere la pensa nei dettagli e la pianifica oppure se si lascia guidare dall’istinto e dalla storia stessa: “Le due modalità tendono a confluire” mi risponde. Mi spiega infatti che a un certo punto la storia “gli scappa”- parole sue-  cioè sente il bisogno di scriverla, di crearla.
Prima di iniziare a scrivere ci pensa molto, la analizza nei dettagli e la fissa in una scaletta, salvo poi cambiarla e anche stravolgerla in corso d’opera. Il riferimento è al libro di Cerami” Consigli a un giovane scrittore” (grazie Anna per avermelo fatto leggere) dal quale cita a memoria” una volta nelle scuole di calcio era vietato «tirare di punta» e nelle scuole di tennis cacciavano via gli allievi che rinviando la palla piegavano il polso. In realtà solo i grandi calciatori fanno gol con la punta del piede e tennisti di qualità piazzano un colpo micidiale con una svirgolata del polso. Questo per dire che l'artista fa come gli pare.”
Eraldo è un grande lettore(gli piace Steinbeck di cui mi parla con ammirazione) e anche per questo un grande scrittore:”Quando scrivi usa quello che sai e quello che sei, cioè la tua esperienza diretta delle cose” mi dice alla fine dell’intervista.
Lo ringrazio, perché questo è prima di tutto un invito all’onestà.

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