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La Guerra Civile 150 anni dopo: tra festeggiamenti e commemorazione

di Matteo Finotto - 10/05/2011


La Guerra Civile 150 anni dopo: tra festeggiamenti e commemorazione

Anche gli Stati Uniti hanno il loro centocinquantenario e si preparano a celebrarlo tra polemiche che si perdono nell’indifferenza dei più. Nonostante l’unità raggiunta dopo la Secessione esistono ancora oggi delle profonde differenze tra il Nord e il Sud degli Usa che le ricorrenze di questi giorni contribuiscono a evidenziare. E mentre da una parte le amministrazioni degli Stati meridionali cercano con imbarazzo di allontanare i fantasmi di un passato schiavista, dall’opinione pubblica arrivano chiari segnali che vanno nella direzione opposta.


Se il casus belli della Guerra di Secessione Americana fu davvero la lotta alla schiavitù negli stati del Sud, allora c’è da chiedersi se ne sia davvero valsa la pena. Quest’anno gli Stati Uniti ‘festeggiano’ il 150esimo anniversario dello scoppio di una guerra civile costata quasi 700mila morti, più di quanti gliene avrebbero causato la Prima e la Seconda Guerra Mondiale messe insieme di lì a pochi decenni.

Ma di preciso, che cosa si vuole festeggiare? Alcuni dicono che questa volta sarà diverso, che non sarà come cinquant’anni fa quando si festeggiò a suon di trombe il centenario. Allora si decise di dare risalto al messaggio di unità che la Secessione avrebbe trasmesso, oggi, si festeggia sì ma con una consapevolezza diversa, con un po’ più di rispetto per chi si è sacrificato per una causa che allora come negli anni successivi è stata molto strumentalizzata.

Le cause

Ufficialmente si è combattuto per l’abolizione dello schiavismo. Lo disse anche Lincoln nel discorso inaugurale del suo mandato il 4 marzo 1861, un mese prima che i cannoni iniziassero a sparare. Una causa nobile insomma, un po’ come si usa ancora oggi. Che la schiavitù la facesse da padrona non è un mistero e che la resa della Confederazione, così si facevano chiamare gli stati ‘ribelli’ del Sud, abbia sancito ufficialmente l’illegalità della pratica schiavista lo testimonia il primo tentativo legislativo in questa direzione, il Civil Rights Act del 1875 che sulla carta decretava l’uguaglianza di tutte le razze. Eppure, di fronte a tali nobili cause, la società statunitense si prepara ad affrontare con un’imbarazzante indifferenza la storica ricorrenza. Perché? Una possibile risposta arriva dalla New York Historical Society che qualche anno fa ha organizzato la mostra ‘Slavery in New York’, tuttora visitabile nella sua versione online. I visitatori, i cui commenti video sono conservati sul sito della rassegna, sconvolti nello scoprire il lato oscuro della metropoli più cosmopolita del pianeta, denunciano l’assoluta indifferenza del sistema scolastico statunitense nei confronti del tema dello schiavismo. In sostanza: se non ci insegnate la storia come possiamo festeggiarne le ricorrenze?

Il Sud tra commemorazione e revisionismo storico

Ma negli stati del Sud la situazione cambia. Da una parte iniziative come la Uncle Tom’s Cabinet Marathon che ha proposto, proprio in occasione dell’anniversario dell’inizio dei combattimenti, una vera e propria maratona pubblica per rileggere tutti insieme le pagine del romanzo anti schiavista di Harriet Beecher Stowe per sensibilizzare la gente comune e allo stesso tempo commemorare (e non festeggiare) il triste passato dei neri nordamericani. Dall’altra, sempre per l’occasione, si apprende che dallo Stato del Mississippi arriva la richiesta di licenza per una targa automobilistica intitolata a Nathan Forrest, comandante dell’esercito sudista ma ricordato soprattutto come fondatore del primo Ku Klux Klan. O ancora le attività commemorative organizzate dai Sons of Confederate Veterans (SCV), un’organizzazione di Richmond, Virginia, che riunisce, con un certo tono nostalgico, i lontani parenti maschi di chi la guerra civile l’ha combattutta sul lato meridionale del fronte con il dichiarato intento di diffondere e perpetrare al prossimo i fondamenti della causa sudista.

Ma dal Sud arrivano anche altre iniziative volte a marcare la distanza tra le celebrazioni storiche e il passato schiavista. L’università del Mississippi, nell’occhio del ciclone quando nel 1962 accettò l’iscrizione di James Meredith, primo studente di colore, ha recentemente deciso di rinunciare alla sua storica mascotte, il Colonel Reb, che impersonava in maniera caricaturale il tipico proprietario terriero sudista del periodo precedente la Guerra Civile. In Tennesse, invece, è dovuto scendere in campo un tribunale d’appello per bloccare l’iniziativa di un distretto scolastico dello Stato che intendeva fondare una scuola ispirata alla Confederazione in cui gli studenti sarebbero stati obbligati a indossare una divisa a tema.

Unità o divisione?

La Guerra di Secessione idealmente ha rappresentato e ancora oggi rappresenta l’unità del popolo statunitense sotto un’unica bandiera, alla quale ogni singolo cittadino giura rispetto e fedeltà, come in maniera molto esplicita recita il ‘Pledge of Allegiance’, che non a caso è considerato uno dei frutti della Guerra.

Ma nonostante la Costituzione, era come se fino a quel momento nel territorio degli Stati Uniti d’America fossero coesistiti due stati separati, con due realtà sociali ed economiche dai confini nettamente delimitati.

Da una parte il Nord, l’Unione, dove i commerci e l’industria manifatturiera avevano rapidamente modernizzato le città, plasmando una società dominata dai ceti produttivi in una visione che legava lo sviluppo economico al progresso delle istituzioni democratiche.

Dall’altra il Sud agricolo legato a un concetto più tradizionale di società con un’economia fortemente segnata dalla dipendenza dalle esportazioni, soprattutto di cotone, e dalla manodopera degli schiavi di colore.

A dispetto del suo fondamentale contributo all’economia del paese, verso la metà degli anni ’50 (dell’800) il Sud restava essenzialmente povero e il gap sociale tra le due anime degli Stati Uniti si approfondiva.

Il colpo di grazia fu dato dall’Unione che, per proteggere le proprie imprese, riaggiustò al rialzo i dazi per le merci importate, innescando una spirale di crisi che soffocò la già precaria autosufficienza degli stati meridionali. I sudisti allora rivolsero lo sguardo verso le terre di nessuno dell’Ovest, per cercare di guadagnare nuovi sbocchi per il proprio mercato ma anche qui si scontrarono con le medesime mire espansionistiche dei nordisti.

Fu il Sud a prendere l’iniziativa dichiarando la secessione dagli Stati Uniti e costituendo una Confederazione autonoma. Il Nord, schierandosi contro la schiavitù e per l’emancipazione degli schiavi di colore, riuscì a ottenere un ampio consenso popolare procurando all’esercito dell’Unione una massa incredibile di volontari. Alla fine il Nord ebbe la meglio e gli Stati Uniti d’America, con la promessa di una rinnovata unità, dettero inizio alla fase più contemporanea della loro storia.

Ma se l’unità è il significato che si è voluto attribuire alla Guerra Civile Americana, la divisione è la cifra che segna l’appuntamento con il suo 150esimo anniversario. La prima divisione sta nel diverso approccio a queste ricorrenze degli stati settentrionali, sostanzialmente disinteressati all’argomento e di quelli meridionali, obbligati a fare i conti con le ombre della propria storia. Un’altra divisione è quella che vede da una parte l’atteggiamento delle istituzioni degli stati del Sud, che, imbarazzate dal proprio passato schiavista, preferirebbero dimenticare piuttosto che ricordare e dall’altra quello dei cittadini, delle associazioni dei veterani e di quelle contro la discriminazione razziale che, al contrario, organizzano eventi e manifestazioni commemorative. Un’ultima divisione è infine quella che separa le due anime del popolo sudista contemporaneo: da un lato eventi come la Uncle Tom’s Cabinet Marathon in memoria dei neri che hanno dovuto sopportare la schiavitù, dall’altra i Sons of Confederate Veterans che si sforzano in mille modi di giustificare gli intenti dei padri fondatori della Confederazione rivendicandone l’onestà intellettuale. Così mentre la Georgia rimuove imbarazzata i simboli della propria appartenenza alla Confederazione dalla bandiera nazionale, la SCV difende a spada tratta la figura di Forrest slegandola da teorie razziste di qualsivoglia genere.

Southern Pride

Il meccanismo che invece sta alla base del cosiddetto ‘southern pride’ dei nostri giorni è abbastanza complesso visto il delicato compito che si propone, cioè riabilitare il pensiero dei padri della causa sudista allontanandone le accuse di razzismo. I veterani spiegano quindi l’opposizione dei loro avi all’abolizione della schiavitù con l’autoritarismo del quale l’Unione si servì per imporla. I sudisti contemporanei sostengono cioè che il Sud non si oppose al concetto di emancipazione ma soltanto alla sua imposizione. Secondo loro a ogni Stato sarebbe infatti dovuta essere garantita la libertà di prendere una decisione in materia in maniera autonoma.

A far superare la moderna divisione Nord – Sud ci ha pensato il governo centrale con la decisione di celebrare le ricorrenze dei prossimi quattro anni attraverso i cosiddetti ‘Civil War Re-Enactments’. Si tratta di vere e proprie rappresentazioni teatrali messe in scena direttamente sui luoghi in cui sono state combattute le battaglie più salienti della Guerra attraverso l’uso delle uniformi dell’epoca. Ovviamente i siti che sono stati individuati per questi eventi sono destinati a diventare molto presto meta turistica e ad alimentare il solito circo dei gadget e souvenirs.

A 150 anni dall’inizio della Guerra di Secessione gli Stati Uniti si preparano dunque a festeggiare, o commemorare, ancora non è stato deciso ufficialmente, l’avvenimento che con l’11 Settembre ha più contribuito alla definizione dell’identità della società statunitense contemporanea, basata su un’unità effimera facile a sgretolarsi internamente ma carica di un’immagine forte e indistruttibile esternamente. Non è bastato un presidente afroamericano (e il relativo certificato di nascita) a placare le fobie razziste che alimentano come un fiume sotterraneo una buona e importante fetta della società, soprattutto quella delle vecchie Grandi Pianure, tra le sponde dei due oceani. E così da qui al 26 maggio 2015, 150esimo anniversario della fine della Guerra Civile Americana, le amministrazioni si adopereranno per l’organizzazione di eventi celebrativi e commemorativi nella totale indifferenza della gente comune, anche quella di colore.


* Matteo Finotto è laureato in Antropologia Culturale e laureando in Geografia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’università “Sapienza” di Roma