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Il Memorial Day dei media

di Norman Solomon - 08/06/2006


Ci ricordiamo
che mentre i notiziari TV e radio continuano a trasmettere notizie futili, molta gente sta lottando per arrivare alla fine del mese. Ci ricordiamo che è facile per gli esperti imbottiti di hot-dog sedersi negli studi televisivi o nelle sale stampa a esortare l’uso delle tecnologie d’avanguardia. Ci ricordiamo che il giornalismo ufficiale fallisce nel metterci in contatto con le tragedie umane della guerra

Coloro che si sono occupati dei media statunitensi nel 2006 avrebbero dovuto soffermarsi sul Giorno della Memoria – Memorial Day – per dedicare un pensiero a chi ha perso la propria vita tra la negligenza, la fuga e il pregiudizio di cui si è resa protagonista la maggior parte della stampa americana.

Ci ricordiamo che mentre i notiziari TV e radio continuano a trasmettere notizie futili, molta gente sta lottando per arrivare alla fine del mese, e tanti si trovano addirittura nella posizione di dover necessariamente scegliere tra beni primari come i medicinali, il cibo e l’affitto.

Ci ricordiamo che molti americani hanno perso i propri arti, se non le loro stesse vite, in incidenti sul lavoro che avrebbero potuto essere evitati se i rotocalchi dei media Usa avessero dedicato alla sicurezza sul lavoro lo stesso spazio riservato alle separazioni dei divi di Hollywood.

Ci ricordiamo che la letale criticità nazionale dell’obesità è attribuibile in parte anche alle pressanti pubblicità di prodotti a basso contenuto calorico ma zeppe di grassi.

Ci ricordiamo che, nonostante quanto affermato dalle multinazionali del tabacco, gli annunci pubblicitari che provano in tutti i modi di mettere in risalto il lato fascinoso del fumo continuano a richiamare milioni di giovani nel lungo viaggio verso le sigarette portatrici di morte.

Ci ricordiamo che i notiziari e i commenti superficiali che descrivono la guerra attraverso gli stessi mendaci termini asettici favoriscono i conflitti in Afghanistan e in Iraq – paesi in cui le morti registrate nelle truppe Usa sono notevolmente inferiori di numero rispetto a quelle civili dovute ai massacri da parte degli stessi soldati.

Ci ricordiamo che ogni morte in guerra si prende una vita preziosa; i nostri mezzi d’informazione raramente danno l’idea del reale dolore provato da coloro che perdono qualcuno che amano.

Ci ricordiamo che gli spazi di prima pagina sui giornali e le trasmissioni TV e radio sono stati occupati da Bush e dagli altri maggiori ufficiali dell’amministrazione per discutere di patriottismo e sacrificio all’acqua di rose, nello stesso momento in cui il loro inganno fa sì che il sacrificio di una vita debba essere sistematicamente compensato dal sacrificio di più vite.

Ci ricordiamo che le bugie della Casa Bianca, di solito trattate come affermazioni indiscutibili dai media, hanno preceduto ogni maggiore azione militare statunitense negli ultimi cinquant’anni – incluse le invasioni di Vietnam, Laos, Cambogia, Repubblica Domenicana, Granada, Panama, Afghanistan e Iraq.

Ci ricordiamo che dopo il bombardamento di 78 giorni sulla Yugoslavia nella primavera del 1999, sferrato dalla NATO e guidato dagli Stati Uniti, molti dei nostri [degli americani, NdT] giornalisti si sono uniti ai comandanti del Pentagono nell’assicurare come non si fossero perse vite di cittadini statunitensi – come se uccidere gente bombardando dai cieli fosse un gesto normale.

Ci ricordiamo come gli attacchi dei media seguiti da esuberanti cronache dei bombardamenti aerei high-tech statunitensi possono modificare il sentimento pubblico in una sola notte. Ecco perché gli oppositori delle spericolate politiche mortali dovrebbero trarre conforto dal report del 'Pew Research Center' di metà maggio, il quale afferma che “il pubblico americano preferisce nettamente che siano gli approcci non-militari ad avere a che fare con il programma di tecnologia nucleare iraniana,” e che solo il 30% è in favore “del bombardamento degli obiettivi militari iraniani”.

Ci ricordiamo che – non importa quanta retorica gloriosa e quanti eufemismi abituali influiscono sull’opinione pubblica – la maggior parte delle vittime di guerra non è, per definizione, un nemico o un combattente. Come ha sottolineato Chris Hedges, ex corrispondente di guerra del New York Times, “nelle guerre degli anni ’90 le morti di civili sono state tra il 75 e il 90% delle morti di guerra complessive”.

Ci ricordiamo che una ricerca pubblicata dalla rivista medico-scientifica Lancet nell’ottobre 2004 riscontrò che in 18 mesi c’erano stati circa 100.000 morti iracheni a causa dell’invasione e dell’occupazione dell’Iraq da parte degli Usa, e che, secondo lo stesso studio, più della metà dei morti erano donne e bambini uccisi durante gli attacchi aerei.

Ci ricordiamo che è facile per gli esperti imbottiti di hot-dog sedersi negli studi televisivi o nelle sale stampa a esortare l’uso della tecnologia d’avanguardia del Pentagono. Quegli esperti lasciano agli altri il compito di sotterrare la morte e avere a che fare con l’angoscia dei parenti e degli amici di coloro che sono scomparsi.

Ci ricordiamo che il giornalismo ufficiale fallisce nel metterci in contatto con le tragedie umane della guerra.

 


L’ultimo libro di Norman Solomon è “War Made Easy: How Presidents and PunditsKeep Spinning Us to Death”, pubblicato da Wiley nel 2005 ed edito in Italia da Nuovi Mondi Media con il titolo “MediaWar. Dal Vietnam all’Iraq. Le macchinazioni della politica e dei media per promuovere la guerra”. Solomon è fondatore e direttore esecutivo dell’Institute for Public Accuracy.
Norman Solomon è inoltre autore dell'
introduzione a 'Censura 2006 – Le 25 notizie più censurate'.

 

 

Fonte: Common Dreams
Tradotto da Barbara Redditi per Nuovi Mondi Media