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Telegiornalismo in bianco e nero

di Ferdinando Menconi - 23/05/2011


 
 
 

Good night and good luck, splendido film di, e con, George Clooney, racconta la storia di come Edward R. Murrow, conduttore di un programma giornalistico della CBS, diede il colpo di grazia al senatore McCarthy e pose fine alla caccia alle streghe. Ma erano gli anni ’50 e la TV, come il film, era ancora in bianco e nero, quindi c’era ancora margine per sperare che la televisione potesse essere usata per altro che “ingannarci e isolarci”.
Siamo nel biennio 53/54 quando, al culmine della crociata della sua commissione d’inchiesta contro le infiltrazioni comuniste negli USA, il senatore McCarthy, facendo leva sull’ossessione popolare anticomunista, stava facendo scempio dei diritti per i quali millantava di battersi: liberale ma di nome, non di sostanza, come ce ne sono tanti oggi. Quello fu uno dei periodi più bui della storia statunitense con epurazioni degne del comunismo che combattevano, ed in cui sguazzarono in molti approfittandone, specie ad Hollywood, per sbarazzarsi, con la delazione, di concorrenti. Chaplin stesso pagò per quel clima. All’epoca praticamente nessuno osava opporsi, per timore di finire sotto inchiesta, al maglio dell’inquisizione liberal-liberista di McCarthy, che almeno, aveva a che fare col comunismo vero, non quello starnazzato dall’uomo di Hardcore. McCarthy è un personaggio da tragedia, il povero Silvio da commedia sexy all’italiana, ma lo stesso si può dire di gran parte del giornalismo di contorno ad entrambi.
Nessuno osava, tranne E.R. Murrow e la sua redazione: giornalisti di coscienza, ma erano tempi in cui esistevano ancora le ideologie, quelle brutte cose che, implicando la presenza di ideali, permettevano esistesse un’etica, e così, nonostante l’establishment da combattere fossero McCarthy e il terribile Hoover dell’FBI, altra pasta rispetto al Berlusca e Maroni, si trovarono dei giornalisti in grado di lottare per la verità, ma la verità e la giustizia in quanto tali, non in quanto interesse di padroni alternativi a quelli in carica.
Sembra veramente di essere nella preistoria del giornalismo e non solo per la deontologia professionale, già comunque privilegio di pochi, o per le splendide atmosfere in bianco e nero.  Soprattutto per i cybergiornalisti, abituati al web, al pc, ai file video digitali, può essere straniante vedere redazioni catodiche con macchine da scrivere e ciclostili, roba che può apparire loro più fantascientifico di Matrix, eppure quelli erano uomini che pur non essendo world wide combattevano e vincevano battaglie.
Questo anche perché, nonostante non avessero il vantaggio di poter acquisire tutti i dati possibili e immaginabili on line in tempo reale, il mondo lo conoscevano meglio di chi passa la vita col culo su una sedia. Erano gente che a notte fonda aspettava la prima edizione dei giornali in bar fumosi, fra uno scotch e l’altro, ascoltando musica jazz, incontrando gente diversa da loro: immersi nel mondo, non sprofondati dietro al suo schermo. Per chi è abituato all’asepsi  della contemporaneità vedere un conduttore che intervista e commenta sigaretta fra le dita è uno shock inverosimile, quasi più che un’inchiesta possa far cadere un potente per motivi politici, ma negli USA accadde anche a Nixon, mentre qui i giornalisti politici  di riferimento fanno concorrenza  a quelli di gossip. Un altro giornalismo può esistere o, almeno, è esistito.
Giornalismo coraggioso, ma coraggioso davvero perché negli Usa anni 50 il regime c’era davvero, o almeno si era a un passo dall’arrivarci: l’Internal Secutrity Act di allora ledeva i diritti di base molto più delle leggi limitative delle libertà volute da Bush e mantenute da Obama.
Altro stampo Murrow e i suoi rispetto a chi starnazza dalle tivvù di Stato delle censure all’informazione, sono altri quelli imbavagliati, e quelli, in tivvù, non ci passano.
Nei ‘50 i metodi usati dal potere per combattere l’informazione non differivano poi molto da quelli odierni, ad esempio si invocava una “informazione neutrale”, ma si intendeva questa fosse appiattita sull’“informazione ufficiale”, e naturalmente quest’ultima era scontato fosse vera, salvo prova contraria, ma le prove contrarie erano inconciliabili con l’“informazione neutrale”.
Il tutto, magari, veniva condito con la necessità di una partecipazione bilanciata, ma chi la invocava non concedeva la sua presenza facendola saltare, con la scusa, nel caso del film, che non si condivideva la trasmissione dell’intervento della controparte. Ancora oggi si confonde l’invito a partecipare a una trasmissione con l’approvazione dei suoi contenuti: con la conseguenza che se non si approvano i contenuti non si va in trasmissione e quindi questa non dovrebbe andare in onda perché non vi è partecipazione bilanciata.
Questo ricorda ricatti recenti anche sulle nostre televisioni, che, contrariamente al film, di solito riescono. Solo pochi oggi sanno agire come Edward Murrow, che rifiuta interventi sostitutivi da parte di soggetti diversi da quelli da lui invitati, anche se sponsorizzati dall’alto. E Murrow aveva a che fare con Hoover mica con Masi.
Murrow e la sua redazione subiranno tutta la panoplia di interferenze di cui dispone il potere per dissuadere il giornalista: dossieraggi, delegittimazione senza prove, salvo la reiterazione della menzogna abbastanza a lungo affinché diventi verità, e campagne stampa di giornalisti sul libro paga del potere. Grande attualità, inoltre, il film assume quando il cacciatore di comunisti McCarthy lamenta di essere sottoposto ad un iniquo processo televisivo: sembra quasi di sentir parlare un altro cacciatore di “comunisti”. Comune alla contemporaneità, all’epoca di Murrow, vi fu anche l’accusa di stare mettendo a repentaglio la sicurezza nazionale: allora erano i comunisti, adesso è Al Qaeda a giustificare le limitazioni delle libertà individuali giocando sulla paura delle gente. Al riguardo va, però, ricordato che “McCarthy non ha creato la paura, l’ha sfruttata”, così come recentemente hanno fatto Bush e suoi successori, ben coadiuvati dai loro sudditi.
Nulla di tutto ciò riuscì però a fermare quella redazione della preistoria televisiva, anzi li motivò ancor più quando si accorsero che il terrore era stato portato fin dentro la redazione, fatto che, invece di indurli a cedere, come oggi siamo abituati accada, accese il loro coraggio, facendo anche ricordare loro che discendevano da gente coraggiosa che in nome della libertà aveva cacciato gli inglesi. Murrow e i suoi combattono a viso aperto contro il potente McCarthy in nome del principio che “il dissenso non è tradimento” e che “non si può esportare la libertà se non la si ha in casa propria”.
Chissà se questo può valere anche per l’esportazione di democrazia.
La forza del gruppo di Murrow fu soprattutto, al contrario di molti commentatori odierni, che essi cercavano la verità, non di strumentalizzarla. Essi non vedevano la richiesta del diritto di replica come una intromissione indebita, ma come un diritto, anche per questo riuscirono a demolire McCarthy, sconfiggendolo politicamente e facendolo mettere sotto inchiesta in Senato e non in camera da letto.
Quello che però alla fine riuscirà a sconfiggere il buon giornalismo televisivo e a far diventare la televisione quello che è non fu il potere politico, ma quello degli inserzionisti, sostituendo l’informazione con l’intrattenimento in nome della sacralità del profitto.
Ma non è vero che la gente voglia stupidità, si vuole solo che la voglia, così che la televisione possa essere una potente arma di distrazione di massa, ma non è che debba essere per forza così: come ogni creazione umana non è in sé bene o male, dipende dall’uso che se ne fa. Forse ormai è, però, troppo tardi per farla cambiare: la paura di Murrow che la TV potesse diventare un mezzo fatto solo per ingannare e isolare la gente è triste realtà. Il mezzo che egli usò per sconfiggere il maccartismo ha ormai sconfitto i principi in nome dei quali lo sconfisse. Non ci resta altro che difendere il web con lo stesso coraggio.

[tratto da La voce del ribelle, marzo 2010 | ilribelle.com ]