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Huda, 7 anni, famiglia sterminata il suo pianto chiude la tregua di Gaza

di Francesca Marretta - 12/06/2006

«Speriamo non lo presentino oggi», aveva detto ieri da Gaza con aria cupa Safwat, giornalista palestinese di 34 anni.

Stesse parole usate da Meri Calvelli, cooperante italiana, prima di interrompere la conversazione per partecipare funerali della famiglia sterminata venerdì sulla spiaggia di Gaza.

Nella Striscia, questo è il messaggio, in queste ore la tensione si taglia col coltello e nessuno è in grado di prevedere le possibili conseguenze dell’annuncio della data del referendum sul cosiddetto “accordo dei prigionieri” in concomitanza di un giorno di lutto nazionale.

Invece, con le bare dei morti di Gaza appena ricoperte di terreno ancora fresco, è arrivata la notizia. Il referendum si terrà il 26 luglio. Ma non avrà vita facile. Tanto per dirimere ogni dubbio a proposito, Hamas ha ribadito nuovamente che boicotterà la consultazione, in quanto “illegale” attentato contro un governo liberamente eletto.

«» un colpo di Stato contro le scelte del popolo palestinese e la legittimità conferita dagli elettori al governo» ha dichiarato poco dopo l’annuncio di Abbas, Mushir al-Masri, leader del movimento islamico, che ha sentenziato: «chi ha convocato il referendum dovrà assumersene le gravi conseguenze».

Se la consultazione su un documento che implica un riconoscimento implicito di Israele rischia di far saltare definitivamente il precario equilibrio tra i due principali blocchi di potere palestinese, per il primo Ministro israeliano Olmert, la questione è priva di rilievo.

In un intervista pubblicata ieri dal britannico Financial Times il premier israeliano ha definito «senza significato» la questione referendaria, liquidandola come mero «gioco interno», del tutto irrilevante rispetto alla ripresa del dialogo israelo-palestinese.

Mentre a Ramallah il presidente Abbas si accingeva a dare conto della prossima scadenza referendaria (che porrà ai palestinesi una sola domanda: accettate o meno il documento di riconciliazione nazionale?) migliaia di persone si recavano spontaneamente al campo di Behit Laya (nord di Gaza) per stringesi intorno a Huda Ghalia, la piccola di sette anni che ha visto seppellire il padre Ali (45 anni), la madre Ra'eesah (35 anni) e i fratelli Ilham (7 anni), Sabreen (3 anni), Hanadi (2 anni) e Haitham (1 anno).

Huda si è salvata perché era sul bagnasciuga in procinto di fare il bagno.

Le immagini strazianti trasmesse dalla televisione palestinese Psc la ritraggono mentre urla e corre sulla spiaggia di Al-Sudaniya terrorizzata dalla vista dei suoi cari ricoperti di sangue.

«Papà Papa!», grida la bimba bruna, la cui corsa si interrompe con un tuffo nella sabbia e un pianto straziante accanto al corpo esanime del padre.

La stessa famiglia aveva perso altri 4 membri in un altro raid israeliano che, sempre per errore, aveva colpito la loro proprietà a nord di Gaza due anni fa.

«Vendetta, vendetta» ha invocato la folla ai funerali dei Ghalia.

E considerato che la tregua mantenuta dalle brigate Ezzedim el Qassam, braccio armato di Hamas, è, con la strage della spiaggia, finita, non ci sarà da aspettare molto per assistere a nuove scene di orrore e morte di civili innocenti. «Il terremoto nelle città sioniste riprenderà e gli aggressori non avranno altra scelta che prepararsi la bara o le valigie» annuncia un comunicato di Hamas, aggiungendo che saranno scelti «il posto e il tempo adatti per dura, forte e unica risposta».

Il movimento islamico ha inoltre dato annuncio della ripresa del lancio razzi Qassam contro Israele (che negli ultimi mesi erano stati esplosi da altre fazioni armate in quanto le brigate di Hamas erano ferme per ordini politici), annunciando un’intensificazione degli attacchi con ordigni di maggiore gittata.

E a Gerusalemme, come in tutta Israele, da ieri vige lo stato di massima allerta nel timore di un attentato in grande stile.

«Rincrescimento» per la strage di civili sulla spiaggia di Gaza, in cui oltre 8 agli morti sono state ferite oltre 30 persone, è stato espresso dal ministro della difesa israeliano, il laburista Amir Peretz, in un messaggio indirizzato ieri mattina al presidente Abu Mazen.

Peretz non ha tuttavia perso occasione per sottolineare che gli attacchi che Israele conduce su Gaza sono dettati dalla necessità di annientare cellule del terrore e smantellare le postazioni da cui vengono lanciati i Qassam.

«Se la soluzione di Peretz è quella di uccidere civili innocenti, non bisognerebbe permettergli di restare al suo posto». Il messaggio indirizzato al titolare del dicastero della Difesa israeliano arriva in ebraico. Mittente, Yossi Beilin, leader del partito di sinistra Meretz, che ieri ne ha chiesto le dimissioni. Una posizione in linea con quella del partito degli arabi di Israele, Hadash, che ha condannato il «crimine e il massacro compiuto dal governo israeliano di occupazione nella Striscia di Gaza». Mohammed Barakeh, membro della Knesset (Hadash) ha detto a Peretz di potersi attaccare al petto la spalletta di criminale di guerra. I due partiti ieri sera hanno organizzato una manifestazione di protesta a Tel Aviv.

E se da parte della sinistra radicale, che ben poco ha ottenuto in occasione delle recenti elezioni israeliane, arriva una condanna netta all’operato del governo Olmert, da parte palestinese arriva un “j’accuse” che invoca soprattutto l’attenzione del resto del Mondo.

Il Primo Ministro palestinese Ismail Hanyieh, che con la rottura della tregua da parte della fazione armata del movimento islamico vede ormai la possibilità di governare i territori palestinesi avvicinarsi più rapidamente al crepuscolo, dopo aver fatto visita ai feriti supersiti del cannoneggiamento israeliano, ha definito un «crimine di guerra nel vero senso della parola» gli avvenimenti delle scorse ore, bollati come «crimine contro l'umanità» anche dal presidente Abu Mazen.

Critiche ad Israele per la strage di civili sono arrivate da più versanti dai vicini Egitto e Giordania a molti altri. Anche Londra protesta definendo «l’uccisione di civili innocenti» come «assolutamente inaccettabile», mentre Parigi parla di «attacco sproporzionato» e Bruxelles è «preoccupata per l’implicazione dell’esercito israeliano in aree densamente popolate».

Toni durissimi verso Israele giungono da Teheran, che in questi giorni ospita il ministro degli Esteri palestinese Mahmud Zahar. La Repubblica islamica ha chiesto alle Nazioni Unite di intervenire con «misure pratiche ed efficaci per fermare le atrocità del regime sionista».

«Profondamente turbato» per la strage di Gaza si è detto Kofi Annan, che ha ricordato attraverso il portavoce Stephane Dujarric, a tutte le parti coinvolte, «l’obbligo cui sono tenute in virtù del diritto umanitario, di evitare di far correre pericoli ai civili», esortando le stesse parti alla massima moderazione al fine di evitare ulteriori escalation e spargimenti di sangue.

Gli Usa, che in un primo momento si erano si erano limitati ad affermare che Israele «ha il diritto di difendersi», secondo le dichiarazioni del portavoce McCormack, hanno «preso atto» del fatto che «il governo israeliano ha pubblicato dei comunicati in cui esprime rammarico per la morte di civili e che l’esercito israeliano ha avviato un’inchiesta immediata su questo incidente», felicitandosi con Israele per la sospensione degli attacchi ed invitando l’Anp ad «impedire qualsiasi atto di terrorismo, inclusi i lanci di razzi da Gaza».

Ma in un contesto di paralisi istituzionale e di crisi profonda tra i principali blocchi di potere palestinese, esacerbata dai fatti del fine settimana, compreso l’annuncio del referendum, è improbabile che il livello politico riesca a dominare le fazioni armate. Esempio ne è dato dall’ultima faida avvenuta a Gaza poco prima dell’annuncio del referendum.

Invocando la fine delle ostilità tra Fatah e Hamas, il primo ministro aveva convocato nel suo ufficio alcuni alti esponenti del partito del presidente. Il vertice però è saltato in seguito ad uno scontro a fuoco tra esponenti delle due fazioni al termine dei funerali di un ufficiale della sicurezza preventiva, Basim Qotub, ucciso nella notte tra venerdì e sabato da miliziani di Hamas. Scontri avvenuti mentre si seppellivano civili palestinesi che mettono in evidenza ancora una a che punto sia arrivato il livello della crisi. Una situazione di stallo da cui, con ogni probabilità, nemmeno con gli incontri al vertice, si potrà svicolare. La questione all’ordine del giorno per quanto riguarda il governo è mettere in guardia Abu Mazen dai rischi insiti nel suo progetto di referendum.