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Quegli «antenati» trattati da barbari che hanno fatto rinascere le nostre città

di Franco Cardini - 27/06/2011


La polemica sul ruolo della dominazione longobarda su parte dell’Italia (tutto il Settentrione, tutta la Toscana, parte dell’Italia centrale, vaste aree della Campania e della stessa area interna apulo calabro-lucana) era già nata nell’umanesimo, quando a quel popolo germano orientale spettò— rispetto ai più fortunati franchi, e ancor più dei goti — la sorte di dover sostenere lo sgradito ruolo di «barbari invasori» . Essa si aggravò attraverso l’erudizione settecentesca e quindi le passioni romantiche-risorgimentali. Già Alessandro Manzoni, in un suo saggio storico scritto in margine alla tragedia Adelchi, che nonostante il suo secolo e mezzo circa di stagionatura si legge ancora con profitto, precisava giudiziosamente molte cose a proposito di come fosse errata la prospettiva alla luce della quale i «barbari germanici» erano stati «oppressori» di quel popolo «italico» che pure egli stesso presentava come avvilito e nascosto tra gli atri muscosi e i fòri cadenti. In realtà, l’ondata longobarda proveniente dal medio Danubio si abbatté alla fine del settimo decennio del VI secolo su un’Italia già duramente colpita da spopolamento e recessione e sulla quale, per circa un ventennio, l’impero d’Oriente governato da Giustiniano aveva invano cercato di riorganizzare ordine e prosperità. Tuttavia, i due secoli circa del regno longobardo, scandito in differenti ducati, segnarono una progressiva riacquisizione di caratteri positivi e perfino l’inizio della rinascita di certe città. L’arte longobarda, specie l’oreficeria e la metallurgia, fu tutt’altro che trascurabile: e grazie alla loro flessibilità i longobardi seppero adattarsi bene, a partire dall’ultimo quarto dell’VIII secolo, alla supremazia franca e all’egemonia ecclesiale del vescovo di Roma. Non c’è dubbio che essi siano stati una componente essenziale dell’identità italiana che si andava allora costituendo. La loro importanza sul piano archeologico è stata definitivamente comprovata da studiosi come Otto von Hessen. I medievisti italiani se ne occupano fin da quando, negli anni Sessanta, si consolidò la tradizione dei convegni di Spoleto promossi dal Centro italiano di studi sull’Alto medioevo. Peccato che di ciò poco si siano occupati i media.