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Cristo come Edipo-Sfinge nel pensiero religioso di Plinio Salgado

di Francesco Lamendola - 27/07/2011




Riteniamo sia ormai possibile formarsi una ide abbastanza precisa sul pensiero politico di Plinio Salgado (1895-1975), il fondatore del movimento brasiliano dell’integralismo, dichiarata imitazione di quello fascista italiano e, più tardi, di quello nazionalsocialista tedesco.
Ciò che ancora non è stato sceverato fino in fondo, invece, è il pensiero religioso di Salgado, la sua vigorosa e sofferta adesione a un messaggio evangelico radicale, a un cristianesimo senza peli sulla lingua, anche se è noto che, durante l’esilio politico in Portogallo, egli scrisse un libro molto importante, la «Vida de Jesus», meritevole di essere considerato quasi di pari livello della «Storia di Cristo» di Giovanni Papini.
Oggi il suo nome è pressoché sconosciuto al grande pubblico, fuori del Brasile; in Italia, la prima e unica traduzione del suo libro, scritto nel 1942, è quella delle Edizioni Paoline, del 1954. Difficile pensare che le tendenze postconciliari, divenute predominanti nella Chiesa cattolica, siano estranee a questo ostinato ostracismo nei confronti di un’opera religiosa di tutto rispetto, lampeggiante di geniali intuizioni, simili a vividi squarci nel mezzo di un temporale.
Certo, Salgado è diventato politicamente scorretto, anzi impresentabile, quasi nel medesimo tempo in cui il suo nome, come uomo politico e come pensatore religioso, incominciava ad uscire dai confini della sua Patria, a causa della sconfitta militare del Patto Triparto nella seconda guerra mondiale e dell’avvento del mondo bipolare capitalista-comunista.
Ma tanto è sufficiente a giustificare la cancellazione del suo nome dai salotti buoni della cultura europea e internazionale ed una “damnatio memoriae” così radicale, da somigliare piuttosto a una rimozione sistematica dello scomodo personaggio, in ossequio al doppio pregiudizio ideologico democratico e marxista e al tanto decantato “progressismo” della Chiesa, attuatosi dopo la svolta decisiva del Concilio Vaticano II?
Possibile che fra tanti intellettuali che amano definirsi liberi e anticonformisti, e più ancora fra tanti intellettuali che amano definirsi cristiani e cattolici, non ce ne sia stato uno solo, nell’ultimo mezzo secolo, né in Italia, né altrove, che abbia avuto il coraggio concettuale di non cedere al ricatto ideologico della cultura dominante e si sia preso la briga di andare a verificare se, nell’opera di questo pensatore, vi siano per caso delle perle nascoste in mezzo ai detriti?
Certo, da quando - col Vaticano II, appunto - è passata l’idea che il cristianesimo “giusto” sia quello politicamente orientato a sinistra (vedi teoria della liberazione e simili), la concezione spirituale di Salgado è apparsa irrimediabilmente condannata. Però quel presupposto nasceva, a sua volta, dalla convinzione che il marxismo avrebbe conquistato il mondo e che al cristianesimo, se voleva sopravvivere, non restava altro da fare che salire da comprimario sul carro del probabile vincitore: idea che si è mostrata poi per quello che in realtà era, una illusione ottica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Eppure, nemmeno adesso che l’ideologia marxista si è miseramente afflosciata su se stessa; nemmeno adesso che la visione del mondo borghese e liberaldemocratica sta mostrando tutte le sue crepe, tutte le sue debolezze e tutte le sue ipocrisie, nemmeno adesso qualcuno ha avuto l’ardire di “sdoganare”, se non il pensiero politico di Plinio Salgado, almeno il suo pensiero religioso: segno che taluni pregiudizi sono talmente duri a morire, una volta che abbiano messo le radici, che a rimuoverli non basta neppure il venir meno del quadro di riferimento dal quale hanno tratto origine ed il tramonto del paradigma culturale che li ha alimentati.
Della figura intellettuale di Plinio Salgado e della sua proposta politica, comunque, ci riserviamo di riparlare a breve; ora desideriamo soffermarci sulla sua riflessione religiosa e particolarmente sulla sua interpretazione cristologica.
Ma chi è Gesù Cristo, per Plinio Salgado?
Egli è, al tempo stesso, Edipo e la Sfinge: come la Sfinge, Egli sa porre la domanda essenziale sull’uomo; e, come Edipo, sa dare la risposta giusta, non a parole ma con la sua stessa vita, con la sua morte e resurrezione.
Riassumiamo la riflessione cristologica di Salgado citando alcuni brani della sua opera, così come sono riportati da Ferdinando Castelli nel terzo volume della sua interessante opera «Volti di Gesù nella letteratura moderna» (Milano, Cinisello Balsamo, 1995, pp.410-12):

«In quale luce principalmente Plinio Salgado vede Gesù? Un suggestivo capitolo [del suo libro «Vita di Gesù»], “Edipo e la Sfinge”, fornisce una prima risposta.
Per sfuggire alla ferocia omicida di Erode, Maria e Giuseppe fuggono in Egitto, attraversando l’Idumea , le montagne di Sin e il deserto di Sur.  Una sera, sulle colline di là del Nilo, presso la piramide di Micherino, avvistano la Grande Sfinge.
“Che cosa significa questa mostro di granito, nella sua immobilità millenaria? Il corpo leonino, , risaltando sul candore della sabbia, proietta nello spazio quella fisionomia umana di serenità solennemente maestosa.  Il volto di pietra non reca tratto alcuno che la passione animi, che il dolore, o la gioia, o la potenza, o l’inquietudine, la tristezza, il dubbio imprimano di un battito. Senza alcuna espressione, la Grande Sfinge riassume tutte le espressioni e, non manifestando nulla, dice tutto. […]
È un monumento funerario? Forse sarà il Monumento della Vita.
E poiché la Morte e la Vita si confondono in lei, e tutti i ritmi armoniosi come tutte le smorfie tragiche  rimangono al di sotto di quella maschera indecifrabile, la Sfinge ha qualche cosa di comune col Genere Umano.
Forse la muta domanda dell’Uomo alle stelle. Forse il nostro atteggiamento di fronte ai misteri universali, agli enigmi che stanno oltre noi e - ciò che è più terribile -  dentro di noi: questo ignoto che portiamo  nell’intimo del nostro essere, senza poterlo decifrare.” [P. Salgado, «Vita di Gesù», Roma, Edizioni Paoline, 1954, p. 80.]
La cultura greca ravvisava nella Sfinge il mostro che si aggirava per le strade di Tebe e divorava tutti i viandanti che non erano capaci di rispondere alle sue domande. Sarebbe morto nel momento in cui qualcuno, a lui superiore, avesse decifrato l’enigma proposto. Edipo fu l’eroe del benefico gesto. Alla domanda del mostro: qual è quell’animale che al mattino va con quattro gambe, a mezzogiorno con due e alla sera con tre? Edipo risponde: l’uomo. La Sfinge si butta a mare.
“Edipo è l’uomo sicuro di se stesso che decifra, pieno di orgoglio, la Sfinge; quella Sfinge che ancor oggi continuiamo a decifrare nei laboratori con le chiavi che chiamiamo “fisica”, chimica, biologia, fisiologia, psicologia, e cioè: la Sfinge-Pandora, la Madre Natura, fenomeno vitale, problema perturbante della psiche umana.
La Sfinge è la Vita, che tentiamo di spiegare, e l’Umanità che tentiamo di capire. È il segreto di ogni origine, la nozione di tutti i “modi di essere”, la rivelazione di tutte le proprietà della Materia e di tutte le facoltà dello Spirito. […]
Decifrare la Sfinge è la preoccupazione dell’Uomo.
Decifrare l’Uomo è la preoccupazione della Sfinge.
Edipo decifrò la Sfinge, ma non decifrò l’Uomo. Litigò con Laio e lo uccise, senza sapere che uccideva il proprio padre. Sposò Giocasta, senza sapere che sposava la propria madre. Precedentemente era fuggito da Corinto, che credeva sua patria, andando ad esiliarsi in Tebe, che era la sua vera patria. L’eroe di Sofocle simbolizza tutta la vanità della scienza che, impadronendosi dei segreti della natura, non riesce tuttavia a risolvere il problema della Vita. Gli è che Edipo non decifrò l’Uomo. Solo la Sfinge decifra l’Uomo; solo Edipo decifra la Sfinge;la chiave di tutti i misteri sarà svelata dall’Edipo-Sfinge” (pp. 81-82).
Cristo è l’Edipo-Sfinge. Luce del mondo, svela Dio all’uomo e l’uomo all’uomo, illumina la vita svelandone l‘origine e il significato, conferisce alle nostre azioni valore e fecondità. Donandoci la sua Grazia, si afferma anche come l’anti-destino In lui la Sfinge è vinta, Edipo è redento dai suoi peccati e dalla sua cecità. “Edipo decifrò la Sfinge-Natura e lasciò l’uomo nelle tenebre. Gesù decifrerà  la Sfinge-Uomo e illuminerà tutto l’Universo”(p.82). Scrivendo la “Vita de Jesus”, Salgado ha inteso proclamare e illustrare questa verità. “Il politeismo non rappresentava l’uomo privo della Grazia, che cerca da sé l’interpretazione dell’Universo  e del suo stesso Essere? E Cristo non era venuto per placare tutte le angustie  e tutte le anime assetate di interrogativi divoranti, rimasti sino allora inesplicati?” (p. 398).»

In questo brano di prosa appaiono tutti gli aspetti salienti del modo in cui Plinio Salgado si accosta al problema religioso e, specificamente, al mistero di Cristo.
L’introduzione è quasi lirica e farà certamente storcere il naso agli esegeti più raffinati e puntigliosi: che bisogno c’era di scomodare la visione delle Piramidi e della Grande Sfinge da parte della sacra famiglia, ossia un evento della biografia di Cristo che è certamente possibile, ma assolutamente non documentato sul piano rigorosamente storico?
Sappiamo bene che sugli «anni nascosti» di Gesù si è sbizzarrita la fantasia di esoteristi e scrittori più o meno romanzeschi; sono stati ipotizzati alcuni suoi viaggi a scopo sapienziale perfino in India, nel Tibet, in Asia Centrale: perché mai non avrebbe dovuto vedere le Piramidi, allorché la sua famiglia soggiornava nella valle del Nilo, dopo la fuga dalla Giudea?
Sarebbe un peccato, comunque, fermarsi a questo genere di critiche, davanti alla «Vita di Gesù» di Plinio Salgado; la sua interpretazione di Cristo come il nuovo Edipo e, allo stesso tempo, la nuova Sfinge, è non solo poeticamente suggestiva, ma anche teologicamente interessante e meriterebbe un ulteriore approfondimento, se non altro per i suoi notevoli risvolti in chiave di attualità.
Dire, come fa Salgado, che Edipo simboleggia tutta la vanità di una scienza che, dopo essersi impadronita dei segreti della natura, non riesce tuttavia a risolvere il problema della Vita, per il semplice fatto che l’uomo che l’ha creata non è capace di guardare dentro se stesso e di leggersi con sguardo limpido e trasparente, significa mettere a fuoco il problema oggi forse più urgente e improcrastinabile: quello di una ridefinizione dei compiti e dei limiti della scienza e di una ricostruzione del sapere, a misura d’uomo e non più di macchina.
La Sfinge, per Salgado, non rappresenta la Natura incomprensibile, potenzialmente ostile e minacciosa, ma l’approccio sbagliato, materialistico, utilitaristico e manipolatorio dell’uomo nei confronti dei segreti della Natura, che si ritorce, in ultima analisi, contro lui stesso; approccio che nasce dal Logos strumentale e calcolante e che si può riassumere nella celebre formula di Francis Bacon: «Sapere è potere».
Si noti che per Salgado, così come per Dante nell’episodio di Ulisse, la brama divorante dell’uomo di svelare i segreti della Natura non è condannata in se stessa come distruttiva o peccaminosa: è il modo compulsivo, irriverente e inconsapevole in cui essa si manifesta, che rende sterili o addirittura dannosi i suoi sforzi incessanti.
Soprattutto, per Salgado, vana e dannosa è la tensione di una scienza che non sia sorretta dalla fede in qualcosa che vada al di là del mero destino di finitudine dell’uomo stesso; per lui, Cristo è appunto la rottura di questo “destino”, di questo inferno che è la storia chiusa in se stessa, senza speranza e senza trascendenza.
Di contro alla “sapienza” di Edipo, che sa decifrare l’enigma della Sfinge, ma non ha nulla da dire circa il mistero dell’uomo e che, anzi, dimostra la massima cecità nella sfera della sua stessa vita, si staglia la risposta a tutti i dubbi, a tutte le angosce, a tutte le tensioni che sono propri della natura umana: Cristo incarnato, luce del mondo.
Cristo compendia tutte le risposte a tutti gli interrogativi umani, proprio in quanto Egli è Dio che si è fatto uomo fra gli uomini: scandalo per i Giudei e follia per i Greci, come dice San Paolo nella Prima epistola ai Corinti.
Non varrebbe la pena di tornare a leggere la «Vita di Gesù» di Plinio Salgado?