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L’incidenza del cambiamento climatico sull’agricoltura sarà sempre più devastante per l’Africa

di Carlo Petrini - 27/07/2011


 

 
 
In queste ore un esodo incessante di migliaia di somali stremati dalla fame e dalla siccità sta attraversando il confine con il Kenya. Migliaia di bambini muoiono nel tragitto, mentre nei tre campi profughi di Ifo, Hagadera e Dagahaley mancano cibo e acqua per alleviare le sofferenze di quasi mezzo milione di persone. Le Nazioni Unite non riescono a finanziare un intervento d’emergenza perché la comunità internazionale non risponde con sollecitudine e con mezzi adeguati.

Il cambiamento del clima, causato principalmente dai Paesi industrializzati e da sciagurate scelte di deforestazione, colpisce con spietata violenza questa parte del continente africano. Mi domando se questa non sia una giusta causa per mobilitare la nostra Europa in una missione di pace. Alle nefandezze del satrapo criminale Gheddafi si reagisce da mesi con bombardamenti costosi il cui esito è ancora incerto. Presidiamo con i nostri eserciti “di pace” diverse aree del mondo per garantire la democrazia, mentre tutte le grandi potenze messe insieme non riescono a sfamare un popolo inerme, docile, rassegnato alla morte per fame. Alla violenza di una Natura vilipesa è sempre e soltanto chiamato a rispondere quel variegato mondo di anime nobili composto da organizzazioni umanitarie, missionari, cooperatori e qualche commissariato delle Nazioni Unite, che suppllicano solidarietà, briciole di pane. È proprio vero che il pane degli altri ha sette croste!

L’incidenza del cambiamento climatico sull’agricoltura sarà sempre più devastante per l’Africa Subsahariana, che già oggi conta più di 300 milioni di malnutriti su una popolazione di 800 milioni di persone. Sia reso merito al popolo kenyota che, pur essendo anch’esso vittima di questa grave siccità, sta accogliendo mezzo milione di migranti con quella compostezza che solo i poveri sanno dimostrare: rappresentanti dei campi profughi stanno sollecitando con megafoni a condividere il cibo con i nuovi arrivati. Questo è il vero fronte che bisogna presidiare per il nostro futuro, per la nostra democrazia. Un fronte difeso non con le armi ma con un nuovo esercito di donne e uomini convinti che la morte per fame si può davvero debellare. Non era un sognatore quel nostro Presidente Sandro Pertini quando sceglieva i granai contro gli arsenali. Proprio lui, che al momento giusto le armi le aveva usate.

Mi fanno ridere quelli che pretendono di fermare i flussi di migranti africani: con questa politica d’indifferenza verso condizioni di vita inumane e di assenza dinanzi a tali emergenze umanitarie i flussi s’implementano e non si ridurranno mai. Il vero quesito che bisogna porre con forza a noi stessi e alla politica è se il diritto al cibo sia o no un diritto inalienabile per tutta la comunità terrestre. Perché se è tale allora occorre lavorare per una mobilitazione senza precedenti, in grado di smascherare l’ignavia dei Governi.

La FAO ha parlato di 37 miliardi di dollari all’anno per ridurre drasticamente i morti per fame: un’inezia! Intanto il Presidente Lula con il progetto “Fame Zero” ha praticamente stroncato la mortalità per malnutrizione in Brasile. La verità è che su questa nostra Terra c’è cibo per tutti. È il sistema alimentare imperante che è profondamente ingiusto, che penalizza i più poveri, che depreda le risorse naturali e alla domanda crescente dei malnutriti propone soltanto di produrre di più, sempre di più. Incentivare produzione e spreco: questa è la parola d’ordine.
I conflitti negli anni a venire saranno causati dall’accaparramento delle risorse idriche e dei terreni fertili. Mai come in questo momento la battaglia per estirpare la fame è prioritaria rispetto a tutte le altre. C’è da sperare che questo malconcio Governo italiano abbia un sussulto di dignità, mantenga gli impegni presi a livello internazionale e che risponda celermente al richiamo di questa emergenza nel Corno d’Africa.