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Colpo di stato in Palestina

di Stefano Vernole - 17/06/2006

                                 


Il governo legittimamente formato da Hamas, partito della resistenza
palestinese uscito vincitore dalle ultime elezioni politiche,
difficilmente potrà durare.
Stretto dall'assedio congiunto di Stati Uniti e Unione Europea con il
loro vergognoso boicottaggio economico, assediato militarmente
dall'esercito sionista che anche durante la tregua portata avanti dal
movimento islamico non ha mai smesso di trucidare i civili, danneggiato
internamente dal sabotaggio operato dalla dirigenza di al Fatah, il
nuovo esecutivo palestinese sembra avere ormai i giorni contati.
Con scarsi appoggi internazionali, mentre il suo popolo è ridotto alla
fame, Hamas cerca di giocare disperatamente l'ultima carta rimastagli
seguendo il consiglio di Mosca, quella di un possibile riconoscimento di
Israele all'interno dei confini ante 1967, ma neppure questo servirà a
salvare il proprio esecutivo, in quanto il primo ministro di Tel Aviv -
Ehud Olmert  - ha già deciso di attuare il piano di ritiro unilaterale
preparato dai suoi militari e che comporta l'annessione di almeno il 10%
della Cisgiordania (in realtà sarà di più), oltrechè di Gerusalemme,
"capitale indivisibile dello Stato di Israele".
D'altronde esistono noti motivi di "sicurezza" alla base di questa
decisione, in primo luogo avere "confini difendibili" da future
rappresaglie, dovute secondo la logica sionista non al fatto di aver
rubato la terra ai palestinesi ma all'odio e all'invidia che i
"terroristi" provano per la superiorità israeliana.
Così lo stesso massacro della spiaggia a Gaza è stato provocato, per
militari ebraici, da una "mina" piazzata dal governo di Hamas alfine
d'impedire gli sbarchi dei commandos israeliani, versione ribadita
nonostante oggi ("Guardian" del 14/06/2006) gli stessi periti del
Pentagono abbiano confermato la verità di un missile sparato dallo
Tsahal.
I più attenti sono ormai abituati a questi giochini propagandistici,
secondo i quali in passato il massacro di Jenin fu in realtà un "leale"
scontro tra eserciti e la strage di Sabra e Chatila un "incidente"
dovuto esclusivamente alle milizie maronite (in fondo sono dei "goym").
Se il buon Adriano Sofri li utilizzasse nel suo amabile repertorio di
richieste favorevoli "all'esportazione della democrazia", l'ultima è
stata fatta ovviamente per invitare a spodestare il "sanguinario"
Ahmadinejead che pare non sia disposto a farsi corrompere (sic.), la sua
grazia si avvicinerebbe ulteriormente.
Chi invece puzza di corruzione fino al midollo è l'attuale presidente
dell'Autorità Nazionale Palestinese, il signor Abu Mazen, degno
rappresentante di quella "banda dei tunisini" che tanto credito ha fatto
perdere all'OLP negli ultimi anni.
Inutile che oggi, di fronte all'ennesimo massacro israeliano, egli gridi
allo scandalo, definendo quello sionista "terrorismo di Stato", in
quanto la situazione è ormai compromessa e lo Stato all'interno dei
confini del 1967 i palestinesi se lo possono scordare.
Il massimo che si possa ottenere, quando si accettano supini le
condizioni di Washington e Tel Aviv, è un bantustan privo di sovranità e
risorse di qualsiasi tipo, una bella gabbia dove le "guide" israeliane
condurranno i turisti occidentali alla ricerca di attrazioni esotiche,
facendo loro rilevare la differenza tra i popoli "superiori" e quelli da
civilizzare.
Chi oggi è un vero amico del popolo palestinese deve guardare la realtà
negli occhi e denunciare il tradimento dell'attuale classe dirigente di
al Fatah, che su richiesta israelo-statunitense ha rifiutato la politica
della mano tesa e della collaborazione proposta da Hamas, per innestare
i germi della guerra civile.
Ovviamente non lo faranno i rappresentanti della "sinistra" nostrana,
troppo impegnati a sopravvivere in un governo che vorrebbe ritirarsi
dall'Iraq senza "irritare l'alleato statunitense" . Ma sicuramente
esistono, anche nella nostra nazione, tante persone che ancora sono in
grado di riconoscere il bene dal male e la giustizia dal sopruso:
costoro non potranno che sostenere la lunga lotta di resistenza che
ancora attende il popolo palestinese prima di rientrare nell'integrale
possesso della propria terra.

Prima o poi anche i rapporti di forza internazionali cambieranno.