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Il gigante buono

di Alessandro Ursic - 19/06/2006

La Wal-Mart medita di sbarcare nel commercio equo-solidale. Con quali effetti?
E’ un po’ come se il diavolo, o almeno quello che sempre più persone indicano come tale, intingesse le sue mani nell’acqua santa. Così il gigante statunitense della distribuzione Wal-Mart, la più grande società mondiale di rivendita al dettaglio, sembra ora aver deciso di levarsi di dosso l’immagine negativa che gli è stata appiccicata negli ultimi anni: quella di un colosso commerciale che impone le sue regole al mercato, trainando verso il basso i prezzi dei prodotti ma anche gli stipendi dei suoi lavoratori. Questo fino ad oggi. Perché ora, come è stato anticipato dal Washington Post, Wal-Mart sta progettando il salto in quello che forse è l’unico mercato in cui non ha ancora messo piede: il commercio equo-solidale.
 
Un ipermercato Wal-Mart nel Texas (foto di A. Ursic)Sbarco in un mondo nuovo. Secondo il quotidiano statunitense, la compagnia proprietaria di oltre 6.500 ipermercati al mondo sta lavorando da mesi allo sbarco nel fair trade. Dalla scorsa estate, Wal-Mart ha instaurato legami con centinaia di gruppi del campo, per studiare come muoversi. In particolare Café Bom Dia, un produttore brasiliano di caffè equo-solidale, ha stretto accordi con Sam’s Club, una divisione della Wal-Mart. E in queste settimane i dirigenti della società stanno visitando di persona le cooperative equo-solidali dell’America Latina, per trovare nuove intese..
 
Il paradosso. La sfida di Wal-Mart è piena di incognite, per chi già opera nel settore e per la stessa società statunitense. Come farà la compagnia simbolo del commercio nell’era della globalizzazione a coniugare la ricerca costante dei costi più bassi con un mercato dove il costo dei beni è volutamente superiore al prezzo di mercato, per garantire ai produttori una retribuzione decente? Ad esempio, all’ingrosso i fagioli ora costano più o meno 1,60 euro al chilo, ma sul mercato equo-solidale il prezzo parte da un minimo di 2,20 euro per la stessa quantità. E la galassia del fair trade, composta finora di piccole realtà, non ha mai dovuto misurarsi con colossi del genere. “Wal-Mart è probabilmente l’ultimo posto al mondo dove raccomanderemmo di fare la spesa”, ha detto al Post Kirsten Muller, direttrice del gruppo no-profit Global Exchange. “Questo complica le cose”.
 
Paure e speranze. Le organizzazioni del settore sono divise. “La nostra più grande preoccupazione è che l’ingresso di Wal-Mart in questo mercato provochi una caduta degli standard di qualità”, dice a PeaceReporter Ryan Zen dell’Organic Consumers Association. “Con la sua forza contrattuale e la sua ricerca del minor prezzo, Wal-Mart farà pressioni in tal senso al dipartimento per l’Agricoltura. E temiamo anche che i produttori piccoli verranno spazzati via”. Nicole Chettero, portavoce della TransFair Usa, il gruppo che certifica i prodotti equo-solidali, è invece ottimista. “L’entrata di Wal-Mart in questo mercato porterà solo benefici, sia agli agricoltori sia ai consumatori”, spiega a PeaceReporter. “I produttori equo-solidali ricevono vendono comunque a un prezzo superiore alla media di mercato, anche se poi il rivenditore finale è Wal-Mart. E il nostro interesse è comunque che più gente possibile compri equo-solidale”, conclude.

Una nuova filosofia aziendale. Comunque sia, la filosofia Wal-Mart sta cambiando, come qualche anno fa la McDonald’s – diventata sinonimo di cibo-spazzatura – capì che era il momento di offrire qualcosa di più di hamburger e patatine. La compagnia che nel proprio logo contiene la scritta “Always low prices!”, prezzi bassi sempre, ora parla anche di “energia sostenibile”, “riciclaggio”, “lotta agli sprechi”. L’amministratore delegato Lee Scott, fa notare il Washington Post, guida un’automobile a tecnologia ibrida con motore elettrico, dai consumi ridotti.