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Ebrei in Palestina. Breve storia demografica

di Sergio Romano - 15/09/2011




Purtroppo verifico quasi costantemente che le sue risposte alle mie lettere portano il lettore alla conclusione che il solo (o nella migliore delle ipotesi il maggiore responsabile) dell'esplosiva situazione in Medio Oriente sia Israele, mentre le povere vittime innocenti siano i palestinesi. Ma lei non può ignorare che Israele non deve assolutamente essere descritto come un intruso in una terra non sua, sia per la millenaria presenza ebraica sul territorio molto prima che esistessero i palestinesi e l'Islam stesso, sia in quanto Nazione sancita dall'Onu.
Franco Cohen

Caro Cohen,
La sua lettera è molto più lunga e propone temi di discussione che lei avrà certamente occasione di sollevare in altri momenti. Ma nel passaggio pubblicato vi sono almeno due osservazioni che meritano una risposta particolare.
Non credo che Israele sia un intruso. La terra su cui ha costruito il suo Stato gli appartiene, anzitutto, per il modo in cui il suo popolo ha saputo difenderla e trasformarla. Questo è il suo vero «titolo di proprietà». Sulla millenaria presenza ebraica in Palestina, invece, temo di avere opinioni diverse dalle sue.
Agli inizi dell'Ottocento, molto prima dell'inizio degli insediamenti sionisti, vivevano in Palestina, secondo Benny Morris («Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001», Rizzoli 2001), «tra 275.000 e 300.000 abitanti, per il 90% arabi musulmani, cui si aggiungevano da 7.000 a 10.000 ebrei e da 20.000 a 30.000 arabi cristiani». La piccola minoranza ebraica era una sorta di simbolico presidio religioso composto da pochi commercianti, qualche artigiano e da un maggior numero di persone che «trascorrevano le giornate immerse nello studio della Torah e del Talmud».
L'immigrazione cominciò negli ultimi due decenni dell'Ottocento, dopo la costituzione del movimento sionista e i sanguinosi pogrom dell'Impero russo. In un libro intitolato «The Tragedy of Zionism» (La tragedia del sionismo, Farrar, Strauss, Giroux ed. 1985) uno studioso canadese, Bernard Avishai, scrive che gli ebrei emigrati in Palestina fra il 1881 e il 1914 furono 30.000: una cifra assai modesta se confrontata ai due milioni di ebrei russo-polacchi che in quegli stessi anni attraversarono l'Atlantico per raggiungere l'America. Secondo un almanacco ebraico pubblicato dalla comunità del Regno Unito, il «Jewish Year Book» dell'anno 5633, gli ebrei della Palestina erano nel 1902 un po' più numerosi: 60.000 contro 150.000 in Marocco, 45.000 in Tunisia, 44.200 in Algeria, 25.300 in Egitto, 10.000 a Tripoli.
Fra il 1919 e il 1923, secondo Bernard Avishai, ne arrivarono circa 35.000 e fra il 1924 e il 1929 circa 80.000 (ma di questi ultimi, sempre secondo lo studioso canadese, rimasero soltanto 45.000). Erano soprattutto sionisti, attratti dalla possibilità di contribuire alla creazione in Palestina di quello che il ministro britannico Balfour, nel 1917, aveva definito «un focolare ebraico». Quando l'Onu, nel 1947, autorizzò la nascita di due Stati, i dati demografici erano i seguenti: in quello arabo, da costituirsi sul 45% del territorio della Palestina mandataria, gli arabi sarebbero stati 725.000 e gli ebrei 10.000; in quello ebraico gli ebrei sarebbero stati 500.000 e gli arabi 400.000.
Un'ultima osservazione. Viene spesso ricordato che la terra su cui i sionisti s'insediarono nella fase che precedette la nascita dello Stato fu regolarmente comperata. È vero. Ma molti poderi furono venduti da notabili di città e funzionari dell'amministrazione ottomana che ne erano diventati proprietari negli anni precedenti; non da coloro che l'abitavano e la coltivavano.