Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Alvi , D' Alema e le rendite

Alvi , D' Alema e le rendite

di Carlo Gambescia - 20/06/2006

 

Geminello Alvi sul "Corriere Economia" di ieri ha nuovamente proposto di "privatizzare" e "tagliare pensioni e statali". Alvi è un acceso nemico delle rendite ( frutto, a suo avviso, di affitti, pensioni, stipendi statali, titoli pubblici). Come, del resto, risulta anche dal suo ultimo libro Una Repubblica fondata sulle rendite (Mondadori) dove mostra come le rendite italiane corrispondano al 30,6 % del reddito disponibile netto per famiglia e come invece il lavoro dipendente produttivo sia al 26%. Anche D'Alema lo è, ma vuole tassarle. La riflessione di Alvi parte proprio dalla tesi dalemiana, che cita, del colpire "là dove si è accumulata la ricchezza prodotta dalla rendita a scapito spesso di lavoro e imprese che dovrebbero essere alleate".
Alvi propone una politica liberista, (meno tasse, meno tutele, più mercato), D'Alema (ma in genere anche il centrosinistra) ipotizza invece una politica riformista (più tasse, più investimenti). Alvi teme che le nuove tasse possano invece andare a gonfiare proprio le rendite (sotto forma di finanziamento occulto delle pensioni e degli stipendi degli statali). D'Alema, o chi lo consiglia, ritiene invece che le tasse su case, titoli privati e pubblici) possano rilanciare gli investimenti, persuadendo chi specula sulle rendite, a privilegiare gli investimenti produttivi.
Chi ha ragione?
In primo luogo le rendite esistono. E qui è nel giusto Alvi. Ma bisogna distinguere. E' vero che il patrimonio medio per famiglia - secondo i suoi calcoli, che diamo per buoni - è elevato (321 mila euro, tra casa e titoli). Ma qui bisogna tenere conto (del balzo in avanti dei valori immobiliari negli ultimi anni e che nei due terzi dei casi si tratta della casa di abitazione). Anche sulle pensioni, se è vero che l'età media dei pensionati italiani è piuttosto bassa (cinquant'anni), è anche vero che stiamo pagando gli errori di politica sociale ( le famigerate "babypensioni") concesse dai governi democristiani e di centrosinistra. Il ciclo però si è ormai concluso e l'età dei pensionati è destinata ad aumentare. Non le pensioni però. E questo è un bel problema sociale (per il futuro), sul quale Alvi sorvola. Quanto ai possessori di titoli pubblici, cone Alvi ben sa, si tratta di minoranze sociali.
In secondo luogo, è vero che occorrerebbe un "nuovo patto tra produttori". E qui D'Alema non ha del tutto torto. Ma il punto è che i produttori andrebbero "pescati" tra le piccole e medio-piccole imprese dove il ruolo del sindacato è residuale. E di conseguenza un "patto", implicherebbe una "sindacalizzazione", particolarmente invisa alle microimprese... Quanto alle grandi imprese, che brillano per egoismo, il patto proposto da D'Alema, si risolverebbe nella divisione di benefici e privilegi, a danno però dei più deboli: le piccole imprese. Quanto al sindacato, va rilevato che sta perdendo rappresentatività (come mostra il crescente calo di iscrizioni). Di qui scarsa autorevolezza, incapacità di rinnovarsi, e soprattutto mancanza di visione. Conta invece ancora troppo, è qui Alvi ha ragione, nel mondo del pubblico impiego. Dove andebbe ridimensionato...
Perciò sono entrambi fuori strada: Alvi enfatizza le rendite (che sono frutto di equilibri più complessi), D'Alema il "patto tra produttori" (che esiste solo nell'immaginario, forse criptoberlingueriano, dei suoi consiglieri economici).
Invece i veri problemi sono tre. Quello di introdurre una legge antimonopolistica, ferrea, in grado di liberalizzare sul serio i mercati, per poi "privatizzare", e coi proventi ridurre il debito pubblico. Quello di riformare seriamente la pubblica ammistrazione, e non semplicemente di "licenziare". Quello infine di concentrare, ma davvero, gli investimenti pubblici nei settori delle ricerca e delle infrastrutture economiche (si pensi solo al settore delle fonti di energia alternative...).
In questo senso continuare a parlare di rendite e di patti non serve assolutamente a nulla. Anzi distoglie dal perseguire politicamente, e con decisione, la soluzione dei veri problemi.