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La deforestazione in Africa è sottostimata

di Paola Desai - 24/06/2006

 
Le foto scattate dai satelliti possono ingannare: possono, ad esempio, riprendere una landa di boscaglia degradata durante la stagione delle piogge, quando tutto germoglia, e farla sembrare una foresta. Così però le stime sulla deforestazione in Africa ne risultano sfalsate. Lo ha fatto notare una ricercatrice dell'Università del Wiscounsin (Usa), esperta in foreste, intervenuta ieri a una conferenza internazionale a Antananarivo, in Madagascar. Holly Gibbs sostiene che il ritmo della deforestazione in Africa è stato sottovalutato.

Secondo le stime fatte proprie dalle Nazioni unite, l'Africa ha perso circa 23 milioni di ettari di foresta nel corso degli anni '80 e altri 20 milioni nel decennio '90. «C'è di solito accordo nel dire che l'Africa sta perdendo tra lo 0,4 e lo 0,7 percento delle sue foreste ogni anno, ma questa è probabilmente una sottostima», ha detto la scienziata. Spiega: i satelliti hanno difficoltà a distinguere tra i cambiamenti provocati dall'uomo (ad esempio zone di alberi tagliati) e i cambiamenti stagionali che possono «mascherare» un terreno degradato in una ricopertura di verde. Ovviamente questo chiama in causa anche la definizione di foresta «intatta»: si definisce così quando è un'estensione di bosco relativamente indisturbato e abbastanza esteso da mantenere l'insieme della sua diversità biologica. Ma spesso si usano stime che includono nella «foresta» anche terreni sottoposti a riforestazione, ovvero estensioni di alberelli giovani, oppure piantagioni commerciali (che non hanno nulla di simile a una «foresta», poiché si tratta di piantagioni di un solo albero - cosa ben lontana dalla diversità biologica che costituisce il bosco). Nell'insieme, secondo le Nazioni Unite le foreste ricoprivano circa il 30,2% della superfice dell'Africa nel 2005 (contro il 31,2% nel 1990): salvo però distinguere tra vere e proprie foreste e zone degradate e riforestate.

«Dobbiamo andare oltre le stime nette e guardare il tasso lordo di disboscamento per riuscire a fare una stima complessiva dell'impatto sulle foreste africane dell'uso del territorio fatto dagli umani». Dunque servono più dati raccolti sul terreno, e bisogna anche andare a guardare cosa succede delle zone deforestate. I terreni dove la foresta è tagliaia per fare spazio a insediamenti agricoli - con la prayica del «taglia e brucia» - spesso perdono i loro nutrienti nel giro di pochi anni: così restano improduttive, cosa che spinge gli agricoltori ad andare a tagliare e bruciare altrove per ricavare nuovi campi da coltivare, in un circolo vizioso che divora la foresta e impoverisce i suoli. Così una pratica che era sostenibile su piccola scala (coltivare terre a rotazione) diventa distruttiva. Ancor più distruttiva, ovviamente, quando il «taglia e brucia» è usato per fare spazio non a coltivazioni per l'autosussistenza ma a grandi piantagioni.

La deforestazione è uno dei principali problemi ambientali considerati dalla conferenza in corso a Antananarivo - un incontro internazionale su come la ricca biodiversità africana può essere usata in modo sostenibile per combattere la povertà. Problema ben illustrato dallo stesso Madagascar, che ha perso circa il 90% della sua foresta originaria. Deforestazione significa una serie di effetti a catena: dall'erosione dei suoli che restano denudati all'aumentata incidenza di alluvioni in caso di grandi piogge, alla perdita di fonti d'acqua al degrado dei terreni coltivabili, al peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni che dalla foresta usavano trarre frutti spontanei. Altri grandi problemi trattati: il degrado delle regioni desertiche dell'Africa sub-sahariana e del Corno d'Africa, a causa dell'aumentata pressione di popolazioni umane, del pascolo di bestiame e della raccolta di legna da ardere. Poi il declino della grande fauna selvatica, accentuato dalla «competizione» per il territorio tra popolazioni umane e animali. Si è parlato di mode come quella della bush-meat, la carne di animali selvatici come i grandi primati, gorilla o schimpanze: tra l'altro, il commercio ormai massiccio di carne di animali selvatici è indicato come una causa della diffusione di virus micidiali come Ebola, che è arrivato agli umani proprio attraverso i grandi primati. Tutto questo in un continente che è stato definito «biologicamente ricco ma economicamente povero» - e la povertà accentua i conflitti per l'uso della terra, l'acqua, gli alberi e tutto il resto. (non sono state molto citate altre ricchezze naturali come quelle minerarie, che però sono un altro motore di degrado ambientale e conflitti).