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«Così è crollata l’unione sovietica»

di Leopoldo Fabiani - 27/10/2011

  


In questa intervista lo storico Andrea Graziosi, autore del libro L’Unione Sovietica 1914-1991, riflette sulle cause che determinarono il crollo dell’Unione Sovietica.
Graziosi attribuisce particolare rilevanza a fattori di natura economica e sociale. Secondo lo storico, negli ultimi decenni della sua storia l’Unione Sovietica versò in condizioni economiche drammatiche, che la portarono a un declino irrimediabile. Da questa analisi emerge una società sovietica stanca e indebolita e un profondo disagio che si manifestò anche attraverso il dramma dell’alcolismo.


«A vent’anni di distanza è ormai chiaro che nel crollo dell’Unione Sovietica ha avuto un ruolo di primissimo piano anche la straordinaria diffusione dell’alcolismo, insieme sintomo e causa di un degrado sociale e demografico che contribuiva a rendere la situazione assolutamente insostenibile». A offrire una prospettiva, finora poco frequentata per guardare alla crisi dell’impero comunista, è Andrea Graziosi, 57 anni, professore di Storia contemporanea a Napoli, fellow a Harvard associé alla École des Hautes Études di Parigi. Il suo ultimo lavoro,L’Unione Sovietica 1914-1991, in uscita in questi giorni (il Mulino, pp. 688, € 35) è una sintesi dei suoi studi pluridecennali sulla storia dell’Urss. Il libro ripercorre quelle vicende che hanno segnato il Novecento e le vite di milioni di uomini alla luce della documentazione più recente e allo stesso tempo fa il punto su un dibattito storiografico oggi uscito dalle passioni ideologiche della Guerra fredda, quando prevalevano le demonizzazioni senza appello o le esaltazioni che negavano i più elementari dati di fatto. Una storia che Graziosi definisce “sempre imprevedibile”. A cominciare dalla presa del potere da parte di Lenin nel 1917 che sorprese il mondo intero, per finire all’incredibile dissoluzione pacifica di una superpotenza dotata di immensi arsenali atomici. E giusto venti anni fa, nel 1991, l’Unione Sovietica cessava di esistere, tra il “golpe” di agosto, sventato dalla reazione di Boris Eltsin e il 25 dicembre, quando sul Cremlino la bandiera tricolore russa prendeva il posto di quella rossa dell’Urss.

Professor Graziosi, del collasso sovietico si sono date tante spiegazioni: dalla pressione degli Stati Uniti di Reagan alle rivendicazioni nazionali, dalla crisi economica alle scelte politiche di Gorbaciov. In genere si parte dalla caduta del Muro di Berlino, nel 1989.
«Io non credo che la caduta del Muro sia stata una delle cause del crollo sovietico, piuttosto è vero il contrario. Voglio dire che il muro cade perché l’Urss è in crisi, ed è da qui che occorre partire, dalla crisi strutturale del sistema. Quando Mikhail Gorbaciov prende il potere nel 1985, tutti, dai dirigenti alle élite colte delle città so no consapevoli che “il paese è allo stremo” come si legge in un rapporto ufficiale. È la popolazione sa benissimo che in Occidente si vive molto meglio. Lo stesso Gorbaciov ripete ossessivamente “così non si può più andare avanti”. È la situazione economica e sociale a essere insostenibile. Tutto il gruppo dirigente, compatto, pensa che siano necessarie le riforme. Ma sono proprio le riforme il fattore scatenante del collasso».

È un ragionamento paradossale?
«No, io sostengo che, dal momento che il sistema produce solo inefficienza, l’accelerazione impressa da Gorbaciov ai meccanismi economici non fa che aumentare questa inefficienza. Nel 1989 tutti gli indicatori economici, reddito nazionale, debito pubblico, inflazione, bilancia commerciale, sono peggiorati. A questo punto Gorbaciov cambia strategia. Non crede più che il sistema comunista basato sul partito unico e l’economia di stato possa essere salvato. E decide invece che si può conservare la struttura statale, a patto di separare le sue sorti da quelle del sistema socialista. Qui si apre la frattura con il resto del gruppo dirigente, che poi porterà al golpe del ‘91».

Quelle riforme erano allora sbagliate?
«Era assolutamente necessario cambiare, ma il cambiamento ha portato alla fine di un sistema che poteva invece declinare lentamente chissà fino a quando. Teniamo conto poi che laglasnost di Gorbaciov ha fatto deflagrare anche l’enorme problema della storia sovietica».

In che senso?
«La “trasparenza” gorbacioviana ha riaperto il dibattito sulle purghe staliniane, 700 mila fucilati in 15 mesi tra il 1937 e il 1938. Sono venuti alla luce dopo decenni i fatti delle carestie provocate da Mosca nel 1934 in Ucraina e in Kazakhstan dove morirono di fame rispettivamente 4 milioni e un milione e mezzo di persone. Ed è diventato impossibile per i dirigenti riformisti sostenere una qualsiasi forma di continuità con questo passato».

Si è molto dibattuto sulla natura “genocida” dell’Unione Sovietica. Qual è il suo giudizio?
«Non amo molto queste discussioni, perché si fa ricorso a categorie giuridiche che servono poco alla comprensione storica. In ogni caso il sistema sovietico è stato genocida, senza dubbio. Un episodio meno conosciuto di tanti altri: nel 1944 fu deportata in Asia centrale in due settimane tutta la popolazione cecena e il 20%, una percentuale spaventosa, non sopravvisse, erano soprattutto vecchi e bambini. L’Olocausto resta però un’altra cosa, perché nelle stragi sovietiche non c’è mai stata la volontà di sterminio totale, presente invece nella Shoah».

Con la “glasnost” diventa di dominio pubblico anche l’enorme problema dell’alcolismo.
«Quando si guarda alle statistiche demografiche, viene fuori un dato impressionante. Dal 1945 al 1965 l’aspettativa di vita in Unione Sovietica aumenta esattamente come in Occidente. Dopo peggiora, ma solo per gli uomini. E la spiegazione sta nella diffusione dell’alcolismo, che Gorbaciov cerca di combattere con politiche proibizioniste, subito abbandonate perché la produzione dell’alcol è statale e le casse dello stato hanno assoluta necessità di quelle entrate». […]

Le conseguenze sono state pesanti anche sulla condizione femminile.
«Le donne sovietiche si sono trovate nel dopoguerra in una situazione terribile. Gli uomini erano pochi e spesso abbandonavano le mogli per compagne più giovani. Le politiche demografiche favorivano i figli illegittimi. Spesso toccavano alle donne i lavori più umili e dovevano allevare i figli da sole, oppure a casa trovavano mariti alcolizzati e violenti. Sono state la parte sana e forte della società, ma di sicuro hanno sofferto molto».

Andrea Graziosi, L’Unione Sovietica 1914-1991, il Mulino, pp. 688, € 35.