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L'Africa nelle mani del dragone

di Matteo Fagotto - 29/06/2006

Terminata la visita del premier cinese Wen Jiabao nel continente. Con ottimi risultati
Quindici Paesi visitati in appena sei mesi. Il tour cinese in Africa prosegue, così come l’idillio tra Pechino e il continente nero, i cui rapporti commerciali si rafforzano sempre più. Merito anche della visita, appena conclusa, del premier cinese Wen Jiabao in sei Paesi africani, in occasione della quale sono stati siglati 71 accordi di partnership commerciale, politica, sanitaria e culturale. L’anno dell’Africa, come è stato definito a Pechino il 2006, procede alla grande.
 
Il premier cinese Wen Jiabao con il suo omologo etiope Meles ZenawiBoom dei traffici. Le cifre parlano da sole: secondo il Financial Times, dal 2001 a oggi gli scambi tra Cina e Africa sarebbero quadruplicati, crescendo del 35 percento solo nel 2005. Nello stesso anno, Pechino è diventata il terzo partner commerciale del continente, dietro Usa e Francia, e il primo fornitore di merci. A fare la parte del leone, come sempre, il petrolio: un terzo del fabbisogno cinese viene dall’Africa, mentre sono circa 850 le imprese cinesi che, soprattutto nel campo energetico e delle infrastrutture, fanno affari nel continente. Il viaggio di Jiabao ha permesso di rafforzare i legami con i vecchi amici, come il Congo-Brazzaville e l’Angola, e di farsene di nuovi, come il Ghana e, soprattutto, il Sudafrica.
 
Vantaggi e inconvenienti. L’alleanza con la Cina è accolta bene da buona parte dell’opinione pubblica africana. Nessuna pesante eredità coloniale da scontare, e un maggior interesse alla collaborazione anche in campi non strettamente economici hanno guadagnato a Pechino le simpatie del continente: secondo le cifre fornite dallo stesso Jiabao, la Cina avrebbe avviato in Africa 900 programmi di sviluppo, specie in campo medico, dove opererebbero 16 mila cinesi che contribuirebbero a curare 240 milioni di africani. Stessa cosa nel settore educativo, dove Pechino si sarebbe impegnata a costruire scuole, fornire borse di studio e testi scolastici. Ma i legami con la Cina hanno anche un rovescio della medaglia: la non ingerenza negli affari interni, cosa che permette a Pechino, per esempio, di vendere senza scrupoli al Sudan ingenti quantitativi di armi che si sospetta vengano usati nella guerra in Darfur.
 
La Cina è uno dei maggiori investitori nel settore petrolifero africanoFame di risorse. La “filantropia” cinese non nasconde ovviamente il principale motivo dello sbarco in Africa: l’atavica fame di materie prime che colpisce la Cina, la cui economia sta crescendo a ritmi vertiginosi. Non a caso, le principali esportazioni africane in Cina sono costituite, oltre che dal petrolio, da minerali preziosi (oro e metalli vari), legname e cotone, che serve a rifornire l’imponente macchina tessile cinese. La Sinopec, la seconda compagnia petrolifera cinese, è riuscita a mettere le mani su tre giacimenti angolani offshore, con riserve stimate a 3,2 miliardi di barili. Pechino ha anche spuntato un contratto di 2,7 milioni di dollari in Nigeria, finora terra di conquista privilegiata per la Shell e le compagnie americane, e un accordo con il Ghana per la costruzione di un grande bacino idroelettrico, in cambio dello sfruttamento delle risorse aurifere del Paese.
 
Jiabao con il presidente sudafricano Thabo MbekiLa questione tessile. Ultimo risultato raggiunto, l’appianamento dei contrasti sul tessile. Mentre infatti, negli altri campi, i beni di consumo cinesi sono complementari a quelli africani e permettono anzi un certo risparmio rispetto ai prodotti americani ed europei, l’invasione dei panni cinesi ha fatto perdere, nel solo Sudafrica, 25 mila posti di lavoro. Pechino è disposta a venire incontro alle richieste di Pretoria (che da sola copre il 20 percento del commercio sino-africano e fornisce alla Cina buona parte dell’uranio di cui abbisogna) anche rinunciando alla penetrazione del tessile nel continente, che potrà “sfogarsi” su altri mercati. Per Pechino, le risorse naturali africane vengono prima di tutto.