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Ottimismo ingiustificato

di Marzio Paolo Rotondò - 09/10/2005

Fonte: rinascita.info

Ottimismo ingiustificato

Marzio Paolo Rotondò |

È stato pubblicato ieri il Terzo rapporto trimestrale della Commissione europea e penultimo dell’anno sulle prospettive economiche dell’Eurozona. Nonostante la poco decorosa situazione del recente passato e di quella attuale, il rapporto rimane comunque sempre ottimista per il futuro. A pesare sull’andamento passato ed ancora di più su quello futuro, il macinio del petrolio ma anche un crescente squilibrio commerciale globale.
“La crescita economica nell’area dell’euro è leggermente rallentata nel secondo trimestre di quest’anno, riflettendo un ristagno del consumo privato e un protrarsi della fiacchezza degli investimenti”. È quanto scrive nel rapporto trimestrale Klaus Regling, direttore generale, e diretto collaboratore di Almunia, per gli Affari economici e monetaria. Tuttavia, “vi sono buone ragioni - scrive ancora Regling - per essere ottimisti sulle prospettive di un’accelerazione nell’attività economica nella seconda metà dell’anno”. Essere positivi si sa, non costa nulla, ma l’ottimismo all’economia non si trasmette solo a parole.
I dati pubblicati dalla Commissione, infatti, mostrano una crescita molto fiacca. Nell’Eurozona la crescita nel secondo trimestre 2005 ha visto un leggero rallentamento, scendendo allo 0,3% dopo una modesta accelerazione nei primi sei mesi dell’anno (+0,4%). Sulle previsioni del Pil per la fine dell’anno, la Commissione europea ha annunciato che potrebbe abbassare le previsioni che riguardano l’Eurozona per il 2005. Il dato inizialmente previsto all’1,6% sarà probabilmente inferiore di 0,4 punti percentuali, all’1,2%. “Un calcolo meccanico - si legge nel documento - usando i tassi di crescita trimestrali proiettati sul terzo e quarto trimestre, sulla linea dei risultati per i primi due trimestri, sembra suggerire una crescita annuale del Pil nel 2005 di circa l’1,2%. Questo è al di sotto della previsione di primavera dell’1,6%, soprattutto in conseguenza di una crescita più debole del previsto nella prima metà dell’anno”.
Nonostante l’ombra del petrolio, le ragioni per cui l’economia europea deve considerarsi ottimista secondo la Commissione per il futuro sono molteplici, anche se un po’ ripetitive ed incompiute negli ultimi tempi. Secondo il rapporto di Klaus Regling, la fiducia del business continua a rafforzarsi, la produzione industriale sta aumentando e l’economia mondiale è in fase d’espansione. Nonostante i dati basati sulle vendite al dettaglio mostrino il perseverare di una debolezza congiunturale sul fronte del consumo, che vede numerosi comparti in ristagno o addirittura in calo, il settore automobilistico mostra segni di ripresa che lo riportano a livelli non più raggiunti dal 2001.
Anche sul fronte dell’occupazione i dati sono danno segnali altalenanti, attestandosi attualmente al 8,8%; un dato senz’altro molto migliorabile visto il contesto macroeconomico.
Per il momento, c’è poco da essere ottimisti. I minimi risultati ottenuti dal nostro continente non bastano per ridare tonicità all’economia europea. Oltre ai difetti endogeni dell’economia europea, il principale male dell’Europa è il petrolio, anche se l’euro continua a pesare sul commercio extra Ue. Nella sua continua crescita sul fronte dei prezzi e nella sua sempre più dubbia affidabilità, l’oro nero vanifica ogni timido tentativo di ripresa.
Il petrolio è “un’importante fonte d’incertezza - scrive ancora Regling - di fronte alla quale si trova l’area dell’euro e più in generale l’economia mondiale. Dall’inizio dell’anno il prezzo di un barile di greggio è aumentato del 60% in dollari e più del 70% in euro. Esso ha raggiunto apici nominali in agosto dopo le devastazioni causate negli Stati Uniti dall’uragano Katrina, prima di cadere leggermente in settembre”. Il record assoluto di 70,85 dollari raggiunto nel mese di settembre dal prezzo del petrolio, ha reso quanto più plausibili le voci che lo prevedono entro l’anno prossimo sui 100 dollari al barile. Considerato che ogni pretesto è buono per far infiammare le speculazioni ed impennare le transazioni, l’Unione europea deve considerare sempre di più l’ipotesi di abbandonare gradualmente il ricorso a quest’oneroso idrocarburo.
“Gli elevati prezzi del petrolio - prosegue il direttore generale - non possono essere qualificati come un’anomalia a breve termine”. Gli elevati prezzi del greggio “sembrano esser destinati a restare, i mercati prevedono che i prezzi del greggio resteranno sicuramente sopra i 60 dollari al barile per tutto il 2006 e il 2007”. Per questo motivo, i rischi di “pressioni inflazionistiche” aggiuntive si fanno sempre più elevati sull’inflazione attuale, già troppo sostenuta rispetto alla crescita effettiva.
Le ripercussioni dei costi iperbolici che la linfa della nostra economia ha su tutti noi, sono quindi tangibili in ogni strato dell’economia, dalle industrie alle tasche dei cittadini.
Ma non c’è solo il rischio del petrolio che incombe sulla nostra economia e sulla sua ambita ripresa.
Gli squilibri mondiali delle bilance commerciali allarmano notevolmente gli esperti europei. La globalizzazione del commercio ha portato economie notevolmente diverse fra loro a competere sullo stesso mercato: un fenomeno che sta creando grossi disagi. “Nel 2004 - si legge nel rapporto - gli Usa avevano un deficit della bilancia commerciale pari a 670 miliardi di dollari, ovvero il 5,7% del Pil, contro surplus nell’Asia orientale e nel Medio Oriente, mentre la bilancia commerciale dell’Eurozona è (molto) grossomodo in pareggio”.
Tale situazione di deficit è senza precedenti per dimensioni e durata. Se si arriverà ad un riequilibro disordinato, una dinamica probabile, potrebbe scatenare un forte deprezzamento del dollaro ed una recessione negli Usa. L’impatto sarebbe molto negativo sulla crescita e i suoi effetti si risentirebbero a scala mondiale. Per evitare che questo accada, l’Eurozona dal canto suo può fare poco, poiché ha una limitata influenza sugli squilibri in questione.
Ormai ogni nuovo comunicato della Commissione europea conferma la continua tendenza negativa che il nostro continente non riesce a scrollarsi di dosso e che anzi si evidenzia ogni volta peggiore. Restano in ogni caso positive le prospettive per il futuro degli eurocrati: un ottimismo molto ipocrita e poco realista.
Malgrado il varo della nuova politica industriale volta al rilancio dell’economia, le armi usate per risollevare un’Europa che arranca non sono efficaci. L’Unione europea ha bisogno di terapie d’urto e di cambiamenti radicali. Servono interventi che modifichino la struttura dell’economia e rafforzare la sua capacità di assorbire gli shock esogeni.
Troppo spesso però le soluzioni equivalgono a brodini caldi e di inutili palliativi.

Marzio Paolo Rotondò