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Siria, l’escalation finale?

di Michele Paris - 14/02/2012

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L’ennesimo summit della Lega Araba per cercare di risolvere la crisi siriana si è risolto domenica nella prevista richiesta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di autorizzare una missione congiunta di “peacekeepers” sotto il patrocinio delle due organizzazioni. La risoluzione approvata al Cairo chiede l’invio di circa tre mila uomini in Siria, ufficialmente per monitorare l’implementazione di un cessate il fuoco, così da porre fine alle violenze tra il governo di Bashar al-Assad e l’opposizione armata e sostenuta finanziariamente dall’Occidente e dalle monarchie del Golfo.

La Lega Araba ha anche sollecitato i propri membri a “interrompere qualsiasi forma di cooperazione diplomatica” con il governo siriano, dopo che nei giorni precedenti alcuni paesi arabi avevano ritirato i loro rappresentati nel paese in seguito alla chiusura dell’ambasciata americana a Damasco. Le decisioni partorite dal vertice dell’organizzazione panaraba sono giunte mentre in Siria proseguono le violenze, soprattutto nella città di Homs, dove la resistenza armata alle forze del regime risulta particolarmente intensa.

Per mantenere alta la pressione su Assad e convincere l’opinione pubblica occidentale dell’urgenza di un intervento esterno, il solito Osservatorio per i Diritti Umani in Siria, con sede a Londra, ha di nuovo elencato una serie di scontri con decine di morti in episodi impossibile da verificare in maniera indipendente. A sottolineare la confusione attorno alle vicende relative alla Siria e la scarsa attendibilità dei resoconti pubblicati dai giornali ci sono i dati diffusi da un altro gruppo di opposizione che opera però in territorio siriano, i Comitati di Coordinamento Locale, i quali risultano ben diversi da quelli dell’Osservatorio per i Diritti Umani anche per le stesse località prese in considerazione.

Dietro la richiesta di una missione congiunta ONU-Lega Araba c’è in realtà il desiderio di alcuni paesi all’interno della stessa Lega - a cominciare da Arabia Saudita e Qatar - di aprire la strada ad un intervento armato dall’estero per rovesciare il regime di Assad. Le basi per il meeting del Cairo di domenica, e per le risoluzioni approvate, erano state fornite d’altra parte proprio da una precedente riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, di cui fanno parte Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar.

Comprensibilmente, la proposta della Lega Araba è stata fermamente respinta già nella serata di domenica dal governo di Damasco. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale del regime, SANA, l’ambasciatore presso la Lega (da cui peraltro la Siria è stata sospesa), Yousef Ahmad, ha affermato che il suo governo “non è interessato in nessuna decisione presa dall’organizzazione”, le cui mosse “riflettono l’isteria e la confusione” di alcuni paesi arabi.

Sempre nella giornata di domenica, poi, il capo della missione degli osservatori della Lega Araba, inviata in Siria a dicembre e cancellata qualche settimana fa, ha rassegnato le proprie dimissioni. Il generale sudanese Muhammad Ahmad Mustafa al-Dabi ha criticato la decisione di Arabia Saudita e Qatar di ritirare i propri osservatori nonostante fossero emersi significativi miglioramenti nel paese e il regime stesse conformandosi alle richieste della stessa Lega.

La soppressione della precedente missione è stato un passo cruciale per giungere al coinvolgimento delle Nazioni Unite così da legittimare un intervento per rovesciare Assad. Il fallimento forzato della missione alla quale Damasco aveva dato il via libera, è stato voluto precisamente da Arabia Saudita e Qatar, con l’OK di Washington, in quanto da simili iniziative questi paesi intendono accettare unicamente le prove delle repressioni del regime siriano, al di là della realtà sul campo, in modo da sfruttarle per promuovere l’abbattimento dell’attuale governo.

Le manovre dei paesi Occidentali e dei loro alleati nel Golfo Persico ricalcano sempre più quelle messe in atto lo scorso anno alla vigilia dell’aggressione militare contro la Libia. Anche in quel caso, la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU venne preceduta da un voto della Lega Araba che chiedeva l’intervento della comunità internazionale in appoggio ai “ribelli” libici. Con il pretesto dell’intervento “umanitario”, la NATO diede così inizio alle operazioni militari per sostituire Gheddafi con gli esponenti del Consiglio Nazionale di Transizione, causando, al termine della campagna, oltre 50 mila morti e gettando il paese nordafricano in un caos nel quale a dominare sono ora le varie milizie armate che si fronteggiano tra loro macchiandosi di ripetute violazioni dei diritti umani.

Dal summit di domenica non è arrivato invece l’atteso riconoscimento del Consiglio Nazionale Siriano (CNS) come unico rappresentante legittimo del governo di Damasco, anche se questa mossa giungerà con ogni probabilità nel prossimo futuro. Ciononostante, la Lega Araba si è espressa a favore “dell’apertura di canali di comunicazione con l’opposizione siriana e della fornitura di supporto politico e finanziario”.

Quest’ultima decisione sanziona, in effetti, una realtà già evidente da tempo. Il CNS e l’Esercito Libero della Siria (FSA), oltre ad essere stanziati in Turchia, godono, come già ricordato, del sostegno materiale di vari governi occidentali e arabi. Secondo recenti rivelazioni, inoltre, membri delle Forze Speciali di Gran Bretagna e Qatar starebbero addestrando combattenti dell’FSA in territorio turco, mentre personale specializzato di questi ed altri paesi sarebbero già presenti in Siria per fornire “consigli di natura tattica” all’opposizione armata impegnata contro il regime.

Forse anche grazie a questo sostegno, l’opposizione siriana nelle ultime settimane ha incrementato le proprie azioni, facendo ricorso sempre più spesso ad assassini e atti di terrorismo. Proprio sabato scorso, ad esempio, la stampa ufficiale ha diffuso la notizia dell’assassinio a Damasco del generale Issa al-Kholi, noto medico militare proveniente da una potente famiglia alauita legata ai vertici del governo siriano. Nei giorni precedenti, poi, due esplosioni nella città di Aleppo - roccaforte del regime e finora relativamente risparmiata dalle proteste - due esplosioni contro edifici governativi avevano fatto almeno 28 morti.

Per quest’ultimo attentato terroristico, la stampa internazionale ha puntato il dito contro gruppi vicini ad Al-Qaeda provenienti dal vicino Iraq. Qualche giorno fa, infatti, il leader di Al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, aveva elogiato in un video-messaggio i ribelli siriani che si battono contro Assad. Singolarmente, come già avvenne in Libia, dove tra i ribelli c’erano molti fondamentalisti islamici legati all’organizzazione che fu di Osama bin Laden, anche in Siria l’agenda di Al-Qaeda sembra coincidere con quella degli Stati Uniti.

Come ha descritto ieri un articolo del New York Times, inoltre, da qualche tempo è attivo un traffico di armi dalle province occidentali a maggioranza sunnita dell’Iraq - in particolare dalla città di Mosul, quartier generale di Al-Qaeda in Iraq - e destinato ai ribelli in Siria. L’appello alle armi e alla guerra santa da parte di ambienti estremisti è giunta anche dai Fratelli Musulmani della Giordania, secondo i quali “sostenere la popolazione siriana e l’FSA è un dovere, dal momento che essi stanno subendo le ingiustizie e l’oppressione del regime”.

Il progetto degli Stati Uniti e dei loro alleati di rovesciare Assad per sostituirlo con un regime più malleabile rientra nella strategia più ampia tesa ad estendere in maniera pressoché incontrastata l’influenza americana dalle sponde del Mediterraneo al Mar Caspio, un’area sconfinata che conserva la maggior parte delle riserve energetiche del pianeta. Questo disegno, che prevede come successiva e fondamentale tappa il cambio di regime in Iran, di cui Damasco è il principale alleato, va di pari passo con il declino degli stessi USA su scala globale e rischia di trascinare in un conflitto rovinoso potenze come Russia e Cina che vedono minacciati i propri interessi vitali.

Oltre al veto di due settimane fa all’ONU alla risoluzione sulla Siria, Mosca sta reagendo in maniera ferma alle minacce americane contro Damasco, confermando l’appoggio all’alleato Assad attraverso, tra l’altro, l’invio di proprie navi da guerra al largo delle coste del paese e la firma di nuovi accordi di fornitura di armamenti al regime.

Nonostante i rischi di alimentare nuove tensioni, l’offensiva da parte dei governi che vogliono la fine di Assad non conosce soste. Dopo il summit della Lega Araba, la palla è passata ancora alle Nazioni Unite dove ieri è iniziata un’altra trattativa per giungere ad una nuova risoluzione di condanna contro la Siria, questa volta basata su una proposta saudita. La nuova risoluzione, che non avrebbe alcuna possibilità di superare l’esame del Consiglio di Sicurezza per l’opposizione di Russia e Cina, dovrebbe essere sottoposta all’esame dell’Assemblea Generale. Per ottenerne l’approvazione sarà così sufficiente una maggioranza semplice, anche se il documento che ne potrebbe uscire non sarà comunque in nessun modo vincolante.