I pm e la moglie di Cesare
di Massimo Fini - 19/02/2012
Del resto il codice di Alfredo Rocco (1931), che sarà stato anche un fascista, ma era un grande giurista (niente a che vedere con gli Alfano e i Nitto Palma), tende a staccare il più possibile, fin quasi a renderla astratta, la persona del magistrato della sua funzione, in particolare per l’attività del Pubblico ministero che è la più delicata perché si svolge nel campo, per definizione incerto, delle indagini preliminari (non a caso il Pm si chiama ‘sostituto procuratore della Repubblica’ e, in passato, era sottoposto a una rigida gerarchia).
Agli stessi criteri rispondeva l’avanzamento di carriera per anzianità. Si sacrificava il merito, e anche l’efficacia, per togliere al Pm la tentazione di pericolosi personalismi. La ragione di tutto ciò è evidente: la persona del magistrato è sempre attaccabile (se non lui, avrà una moglie, dei figli, degli amici), la funzione no. La personalizzazione di Mani Pulite nella figura di Antonio Di Pietro permise a Craxi di calare il famoso ‘poker d’assi’ (che poi erano, al massimo due sei, e come se, tra l’altro, l’eventuale corruzione del Pm sanasse quelle altrui e non si aggiungesse, invece, a esse).
Le ‘esternazioni’ indeboliscono la posizione del magistrato. Il magistrato infatti, come la moglie di Cesare, non solo deve essere imparziale, ma deve anche apparire tale. Se ‘esterna’ e fa trasparire le sue convinzioni politiche (meglio se non ne avesse) diventa facilmente attaccabile. Dice: ma il magistrato è un cittadino e la libertà di manifestare il proprio pensiero è garantita a tutti dall’articolo 21 della Costituzione. Non è esattamente così. Ci sono cariche che limitano questa libertà. Per esempio il capo dello Stato ha un dovere di imparzialità e non può esprimere giudizi su questo o quel partito, su questo o su quell’uomo politico. Così un magistrato non può esprimere giudizi su inchieste in corso, proprie o altrui, ma nemmeno giudizi politici per non minare la sua ‘terzietà’ (anche il Pm, checché se ne pensi, è ‘terzo’, tanto è vero che può chiedere il proscioglimento dell’indagato, cosa che non avverrebbe se fosse solo ‘accusa’). Si deve limitare a valutazioni strettamente tecniche.
Un magistrato non dovrebbe fare politica, perché getta inevitabilmente un’ombra sulla sua attività pregressa, per quanto integerrima e imparziale possa essere stata. Meno che mai, come sottolinea Napolitano, dovrebbe poter riprendere il suo ruolo “dopo aver svolto incarichi politici o essersi dichiarato disposto a svolgerli”. Sono limitazioni pesanti. Ma quello del magistrato, come quello del medico, non è un mestiere come un altro, è, o dovrebbe essere, una vocazione in nome della quale si devono accettare sacrifici estranei agli altri cittadini. Ma mi rendo conto che le mie sono ‘prediche inutili ‘ in un Paese che ha perso tutti ‘i fondamentali’ e Adriano Celentano è un ‘maître à penser’.