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Prove di ordinaria perfidia

di Francesco Lamendola - 01/03/2012


La Marchesa di Merteuil, la protagonista negativa de «Les liaisons dangereuses» di Pierre-Ambrose François Choderlos de Laclos, e la complice del non meno perfido Visconte di Valmont, sembra perfino troppo cattiva per essere vera: e i contemporanei dell’autore del libro non vollero riconoscere che simili “mostri” possano esistere, tanto è vero che lo condannarono ai sensi dell’autorità militare (egli era capitano in seconda e venne punto con una sanzione ufficiale, nonché trasferito d’ufficio).

Era il 1782, la Rivoluzione francese batteva alle porte, de Sade imperversava con un genere di letteratura ben più audace e provocatorio; eppure non si può dire che il libro di Choderlos de Laclos non fosse pienamente figlio del suo tempo, poiché in esso viene rigorosamente codificato quel libertinismo che, da oltre un secolo, era divenuto il nuovo credo di buona parte delle classi dirigenti francesi, e non solo francesi: si pensi a un Giacomo Casanova, per l’Italia, o a un Francis Dashwood, per l’Inghilterra.

Se, come filosofia “alta”, il libertinismo si connotava essenzialmente per l’esaltazione della libertà di pensiero, per l’ateismo militante e per un sensismo e un meccanicismo rigorosi, come filosofia spicciola e come norma di vita pratica, esso consisteva essenzialmente in un edonismo sfrenato, in un utilitarismo altrettanto esasperato, in una dissacrazione sistematica e deliberata delle cose attinenti la sfera religiosa, e, naturalmente, in una condotta sessuale radicalmente licenziosa e sregolata, quale espressione di un vitalismo e di un materialismo a tutto campo, nonché di una “volontà di potenza” del singolo individuo da esercitarsi sui suoi simili, ridotti a semplici oggetti di trastullo: il tutto sfruttando il vantaggio della superiorità economica e sociale, in un sistema - quello dell’Ancien régime - in cui una ragazza o un uomo del popolo non potevano nemmeno pensare di sottrarsi alle richieste dei loro padroni, di qualunque genere fossero.

Il libertino odiava la religione e la Chiesa cattolica e si faceva beffe di ogni atteggiamento pio e timorato; un po’ incoerentemente, dedicava molta enfasi nello sbeffeggiare quel Dio in cui non credeva e nel ridicolizzare i credenti, sia ecclesiastici che laici; se, poi, le sue avventure sessuali avevamo per teatro un convento o una abbazia, tanto meglio, perché questo gli consentiva di aggiungere la blasfemia alla lussuria, ciò di cui andava particolarmente fiero (si ricordi la figura di Egidio, il seduttore della monaca di Monza, cui «la sventurata rispose»).

Poteva essere membro della Massoneria, perché questo gli consentiva di condividere con un potente gruppo organizzato il suo astio per la religione cristiana; o seguire con interesse qualche strano avventuriero sedicente illuminato, tipo Cagliostro; oppure poteva mettersi al seguito di qualche gruppo ancor più sinistro, dal sentore sulfureo (come è il caso di Dashwood): si ricordi che l’enorme scandalo dei veleni, scoppiato alla corte di Luigi XIV, permise al capo della polizia francese, La Reynie, di portare a galla non solo un sottobosco di venefici e crimini organizzati dalla fattucchiera Voisin, ma anche di satanismo e magia nera, con tanto di sacrifici umani, in cui era coinvolta la stessa Marchesa di Montespan, ex favorita del re.

Ma tornando a «Le relazioni pericolose», che tanto scandalo fece nella perbenista società di un mondo agonizzante, ci si chiede se personaggi come la Marchesa di Merteuil e il Visconte di Valmont possano esistere; o meglio, se sia possibile che essi non tradiscono la loro malvagità e la loro perfidia, mettendo involontariamente in guardia le loro potenziali vittime; se, insomma, sia concepibile che una così grande cattiveria possa coesistere con una capacità di dissimulazione tale, da consentirle di camuffarsi e passare inosservata.

Ci si chiede, cioè, se, così come certi animali estremamente pericolosi, quali il serpente a sonagli, possiedono delle caratteristiche tali da rendere consapevoli della minaccia quanti li incontrano, anche uomini e donne animati da un alto grado di malvagità si riconoscano facilmente per qualche segno, o se non debbano fatalmente tradirsi, allorché architettano i loro pessimi disegni.

In fondo, il solo fatto che una tale domanda sorga spontanea è un indice di quanto vorremmo credere che la natura sia così benigna, da somministrare il veleno insieme all’antidoto; però ci si dimentica che la malvagità umana non è opera della natura, ma della cultura. Fra gli animali, la malvagità gratuita è rarissima, forse inesistente: quando essi infieriscono crudelmente contro una vittima, vi è sempre una ragione pratica; ad esempio, il gatto gioca col topo per affinare le proprie capacità di cacciatore, più che per divertirsi al terrore di quello. Solo l’essere umano gode della malvagità pura, perché lui solo può agire in base a libere scelte.

Ora, la regola numero uno per poter agire malignamente a danno dei propri simili, è quella di simulare amicizia disinteressata nei loro confronti, onde indurli a confidarsi e a scoprirsi; la numero due, è quella di carpire loro un qualche segreto scottante, che moltissime persone hanno nel proprio passato, e riporlo nella cassaforte della propria mente, per servirsene poi a tradimento, quando si presenti l’occasione adatta.

Questa tecnica è mirabilmente descritta dalla stessa Merteuil, con tutto il sinistro compiacimento per la propria perfidia, nella celebre lettera LXXXI de «Le relazioni pericolose» , indirizzata al Visconte de Valmont (traduzione italiana di Lucio Chiavarelli, Roma, Newton Compton, 1993, pp. 120-21):


«…Intanto il mio precedente comportamento aveva riportato da me i giovani Amanti; e per dividermi tra loro e le mie fedeli protettrici, mi mostrai sensibile ai corteggiamenti ma difficile da conquistare, una donna protetta dall’amore per opera d’una eccessiva delicatezza. Comincia allora a sfruttare sulla scena del Bel Mondo quelle doti che avevo acquisito. La mia prima preoccupazione fu quella di crearmi la fama d’irraggiungibile. Per riuscirci ebbi l’aria di accettare soltanto gli omaggi di uomini che non mi piacevano. Naturalmente li utilizzai con profitto in modo che mi procurassero tutti gli onori d’una resistenza a oltranza, mentre mi davo senza paura all’Amante prediletto. Ma a questi una mia finta timidezza ha sempre impedito di accompagnarmi nel Bel Mondo; gli sguardi di tutti così erano sempre fissi sull’Amante sfortunato. Sapete bene quanto sia rapida nel decidere se devo amare; questo fatto deriva da una mia osservazione: i segreti delle donne vengono svelati quasi sempre durante i preparativi della prima volta. Qualunque cosa si faccia, la musica non è mai la stessa, prima e dopo, e questa differenza non sfugge a un osservatore attento. Ritengo perciò meno pericoloso sbagliarmi nella scelta che permettere agli altri di leggere dentro di me. Così ottengo anche di togliere alla mia avventura ogni carattere di verosimiglianza , mentre di solito le nostre azioni si giudicano proprio da questa caratteristica. Queste precauzioni, soprattutto quella di non scrivere mai, di non lasciare dietro di me nessuna prova della mia resa, possono forse parere eccessive, ma a me non sono mai sembrate abbastanza attente. Ho studiato a fiondo il mio animo, e quindi anche quello degli altri. Ho capito che tutti custodiamo un segreto che non si vorrebbe far conoscere a nessuno: verità che nei tempi antichi era conosciuta più di oggi, come prova quel grazioso emblema che è la storia di Sansone. Novella Dalila, ho sempre impiegato, come lei, tutta la mia forza di seduzione per scoprire questo segreti inaccessibili. Eh, quante capigliature di moderni Sansoni sono in attesa d’una mia sforbiciata! Questi almeno non li tempo più: ed ecco perché mi sono presa qualche volta il gusto di umiliarli. Con gli altri, sono sempre stata più compiacente: per non parere leggera, io ai loro occhi ho cercato con arte sottile di farmeli diventare infedeli, e ho ottenuto la loro discrezione con una finta amicizia, con un’apparente fiducia, con qualche gesto generoso, con la segreta illusione che ha ciascuno d’essere stato l’unico mio amante. E quando anche questi espedienti mi sono venuti a mancare, prevedendo la rottura, ho saputo stroncare anticipatamene col ridicolo con la calunnia il credito che questi uomini pericolosi avrebbero potuto ottenere.

Questo che dico, voi me l’avete visto mettere in pratica almeno mille volte.; e con tutto ciò dubitate ancora della mia prudenza? Ebbene, ricordate di quando cominciaste a farmi la corte voi: non c’è stato forse omaggio che io gradissi di più, poiché vi desideravo già prima di conoscervi. Allettata dalla vostra fama, mi pareva che senza di voi la mia gloria non potesse essere compiuta, e ardevo dall’impazienza di misurarmi con voi a corpo a corpo. Di tutti i miei capricci, voi siete stato il solo che mi abbia completamente soggiogata. E tuttavia, se voi aveste voluto rovinarmi, quale prova avreste potuto addurre contro di me? Qualche vana parola, che non lascia traccia e che la vostra stessa reptazione avrebbe del resto resa incredibile, e una serie di fatti poco verosimili che a raccontarli come sono accaduti, hanno tutta la parvenza d’un romanzo male imbastito. In seguito, vero, vi ho confidato tutti i miei segreti; ma voi sapete quali e quanti interessi ci uniscono, e che, di noi due, non sono certo io la più imprudente…»


Ora, visto che persone come la Marchesa di Merteuil esistono, eccome, anzi sono sempre esistite e, purtroppo, esisteranno sempre, con la loro diabolica capacità di simulare l’amicizia e di nascondere i loro perfidi disegni, la domanda che dovremmo porci è quanto spazio siamo disposti a concedere ad esse nella nostra attuale società.

Il punto non è se, una volta intraviste le loro vere intenzioni, siamo pronti e decisi nel metterle al bando, rifiutando ogni compromesso con il loro modo di fare e ogni indulgenza per il male che esse compiono senza alcun rimorso; il punto è se, nel nostro stile di vita, nel nostro modo di pensare e di agire, vi sia qualcosa che tali persone riescono a utilizzare, come le erbacce quando attecchiscono nel terreno, magari sfruttando anche pochissimo humus.

Quel che vogliamo dire è che personaggi come la Marchesa di Merteuil, in una società moralmente e spiritualmente sana, avrebbero serie difficoltà a mettere radici e ne avrebbero di ancora più grandi nel perseguire i loro intenti malvagi; essi vi sarebbero comunque, ma in posizione meno centrale e, quindi, con minori possibilità di nuocere: gran parte del loro veleno andrebbe sprecato, perché non troverebbero le condizioni idonee a prosperare e, forse, finirebbero per stancarsi del loro eterno gioco di dominio, di inganno e di tradimento.

Forse, chi lo sa?, vedendosi sempre più isolati e impopolari, sempre più evitati e severamente giudicati, le loro menti sarebbero perfino sfiorate da un pensiero, se non proprio di redenzione, almeno di cambiamento: perché la posizione di chi agisce in maniera gratuitamente malvagia, ma non trova corrispondenza o segreta complicità negli altri, finisce per farsi tremendamente scomoda, alla lunga: e queste persone sono, spesso, di notevole intelligenza, ad ogni modo quanta ne basta per giudicare se il loro gioco valga ancora la candela.

Il male si alimenta del male: se donne come la Marchesa di Merteuil e uomini come il Visconte di Valmont riescono a fare così tanti danni e a lasciare dietro a sé una così lunga scia di sofferenze ed amarezze, ciò avviene anche perché riescono a far leva su quella parte malvagia, o quanto meno imprudente, che alberga in ogni essere umano, dietro le maschere sociali che ciascuno solitamente indossa per apparire migliore di quello che realmente è.

Giungiamo così, ancora una volta, alla conclusione che il sistema migliore per fare terra bruciata intorno alle persone perfide, sottraendo loro, per così dire, il terreno sotto i piedi, è quello di imparare a conoscere se stessi, a lavorare su se stessi, ad essere esigenti con se stessi: perché in una società formata, per la maggior parte, da persone consapevoli, cioè oneste e leali con se stesse, non vi è spazio per individui il cui principale scopo di vita sembra essere quello di nuocere agli altri, sfruttando le loro debolezze e le loro imprudenze.

Che cosa farebbero le Merteuil e i Valmont, che cosa sarebbero mai capaci di operare, se non trovassero l’esca e l’appiglio delle nostre invidie meschine, delle nostre gelosie implacabili, delle nostre ambizioni smodate, dei nostri risentimenti e dei nostri inconfessabili rancori; se non potessero alimentarsi di tutti i rifiuti della nostra vita interiore, di tutta la spazzatura e la sporcizia che nascono dalla nostra falsa coscienza, dalla nostra incapacità di guardarci dentro onestamente e di fare un po’ di pulizia in noi stessi?

Se il male non trova altro male cui propagarsi, finisce per esaurirsi, come un incendio nella foresta che, dopo aver bruciato tutti gli alberi, si arresta davanti all’acqua di un fiume; ecco perché abbiamo il dovere di parlare ai giovani del bene e del male, senza stancarcene mai, e di dar loro il buon esempio, affinché essi, a loro volta, imparino a riconoscerli per tempo, e a regolarsi di conseguenza.