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Festa delle donne? No, dei maschi in gonnella

di Alessio Mannino - 08/03/2012

Fonte: alessiomannino


Piccola riflessione nel giorno della festa delle donne. Il presidente Bankitalia, Ignazio Visco, ha ripetuto il mantra del pensiero unico: siccome siamo una società di anziani, bisogna lavorare di più e per più tempo. E’ il classico modo di ragionare aritmetico dell’economia: se hai più tempo a disposizione, devi impiegarne di più per produrre. Ogni altra considerazione disturba, perchè non rientra in parametri econometrici. Ma visto che la data di oggi pone il problema del rapporto fra vita e lavoro femminile, chiedo, anzitutto alle donne: ma bisogna vivere per lavorare, o lavorare dovrebbe servire a vivere, possibilmente bene, sereni e realizzati?
Le donne, giustamente, denunciano l’ingiustizia sul lavoro legata allo stato di gravidanza (mancate assunzioni, nero o licenziamenti per il bebé in arrivo). Questo esempio rende, purtroppo, benissimo lo stravolgimento di senso dell’odierno mondo dell’occupazione: la lavoratrice è una variabile usata o gettata come se le sue umane esigenze, in questo caso di fare una famiglia, siano pesi morti per l’efficienza aziendale. La vita che nasce è un peso morto, letteralmente. E’ o non è una follia?
Ma la maternità ostacolata e mal sopportata vale anche come spia più profonda di un errore, un tragico errore commesso dal femminismo di massa (che è altro rispetto a quello teorico degli anni che furono, benché da esso ne tragga giustificazione): quello di appiattire la specificità femminile sui ruoli maschili. La donna è davvero contenta di volere, anzi di dovere rincorrere gli uomini in tutto e per tutto, a discapito del proprio essere madre, generatrice e custode dei figli piccoli? Salvaguarda la loro diversità di genere il tradurre la parità come ricerca dell’uguaglianza assoluta? Perchè mai dovrebbero lavorare per forza quando potrebbero dedicarsi agli affetti?
La verità è che la battaglia per rendere le donne interscambiabili con gli uomini nei posti di lavoro è funzionale ad un modello di sviluppo che ci pretende tutti, maschi e femmine,  a sgobbare sempre di più, come dice Visco, per avere sempre di meno. Di meno non solo in termini di busta paga (rasoiata da nuove tasse, bollette all’insù, benzina alle stelle, inflazione da euro-fregatura), ma soprattutto sul piano esistenziale, della vita concreta, con dentro i progetti, i sogni, le passioni, le speranze. Dovrebbero essere proprio le mimose di oggi a ricordare, in particolare alle festeggiate, che prima viene la vita, e poi vengono gli indicatori macro-economici. Il fatto è che le donne maschilizzate inseguono il mito disumanizzante del Lavoro come totem, mentre lavorare dovrebbe essere solo uno fra i campi di realizzazione individuale. Fra essi, per una donna, e solo per lei – così ha decretato la natura, e speriamo che qualche scienziato pazzoide non pensi di inventare il “mammo” – c’è il diritto di donare la vita. Non è un dettaglio: è da lì che comincia tutto.
Se questa giornata servisse a rivendicare la differenza, l’adattamento di genere al lavoro (senza nostalgie per l’eccesso opposto, per l’iconografia zuccherosa e falsa dell’ “angelo del focolare”), insomma a risvegliare una donna che vuole restare femmina, pari ma non uguale al maschio, allora avrebbe senso. Al contrario, pare di capire che l’omologazione al delirio, tutto maschile, del lavorare come somari da mane a sera passa come il messaggio della donna affermata. E invece è schiavizzata e uniformata. La festa dell’androgino, dovrebbero chiamarla.