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Il Settimo Pilastro della Conversione

di Alberto Magnaghi - 15/03/2012


Per ragioni di simmetria vorrei aggiungere un settimo pilastro ai sei che Guido Viale
enuncia (il manifesto del 2 febbraio) come alternativa strategica ai sette della
saggezza del governo avanzati da Alberto Asor Rosa. Si tratta della valorizzazione
del patrimonio territoriale come bene comune. Anzi forse più che di un pilastro si
tratta di un plinto di fondazione che regge gli altri sei. Con la maturità della
modernizzazione si sono consolidati i concetti di patrimonio naturale (bellezze
naturali, biotopi, zone umide, parchi naturali) e culturale (siti archeologici, monumenti,
centri storici) per i quali l'Unesco, il Consiglio d'Europa e molti altri organismi
sovranazionali promuovono politiche di conservazione.
Si è cosi consolidato nel tempo un doppio regime di governo del territorio: da una
parte una porzione di territorio minoritaria e puntiforme (i beni del patrimonio naturale
e culturale appunto) "tutelata" rispetto alle leggi dello sviluppo economico; si tratta di
una compensazione (o cattiva coscienza?) nei confronti dell'altra parte del territorio (
che va dal 70 al 90%) sottoposto invece alle suddette leggi, nonché al saccheggio e
al consumo in quanto mero supporto tecnico della civiltà della tecnoscienza, ovvero
di un processo produttivo fondato sulla edificazione di un insediamento umano
totalmente artificiale, liberato dai "vincoli" della natura e della storia. Tuttavia, con la
crescita di consapevolezza culturale e sociale della insostenibilità di questo modello
schizofrenico, ne è iniziata da tempo l'erosione a partire da diversi ambiti culturali di
controtendenza, che hanno operato una sorta di "scavo delle fondazioni" di una
nuova visione ecologica e territorialista, che ha messo in causa la concezione stessa
di "patrimonio".
Esemplifico alcuni di questi "scavi" (senza purtroppo lo spazio per documentarli):
1. Molte ricerche, progetti e piani territoriali sperimentano metodi e pratiche di
integrazione multisettoriale, partecipativa e multiscalare del governo del territorio;
affrontano dunque il passaggio da forme di pianificazione regolativa rispetto agli
squilibri dei sistemi di produzione e di mercato dati (nei quali territorio, ambiente e
paesaggio avevano un ruolo strumentale), a modelli di pianificazione identitaria e
statutaria che assumono il patrimonio locale e il suo governo sociale come mezzo di
produzione di ricchezza durevole, attraverso forme di neomunicipalismo;
2. Molti studi e progetti urbani rifocalizzano l'attenzione dalle politiche espansive con
forte consumo di suolo agricolo e modelli di urbanizzazione periferica e diffusiva
verso la rigenerazione e il recupero dell'urbanità e degli spazi pubblici, il superamento
delle periferie verso modelli policentrici di città di città, la riqualificazione dei rapporti
fra città e campagna, attribuendo alla agricoltura periurbana compiti complessi di
riqualificazione dell'abitare urbano;
3. Le frontiere innovative delle discipline e delle politiche agroforestali superano
l'orizzonte dei programmi di ottimizzazione dell'economia aziendale verso la
pianificazione integrata e multisettoriale degli spazi aperti (agricoltura di qualità e
tipica, salvaguardia idrogeologica, complessità ecologica, qualità paesaggistica, reti
corte fra produzione e consumo, ripopolamento rurale e valorizzazione dei paesaggi
rurali storici);
4. Le discipline che affrontano il patrimonio ambientale e culturale registrano in
alcune esperienze di piani regionali e di area vasta una discontinuità progettuale fra
le politiche di conservazione di aree protette caratterizzate dalla separazione fra
natura e cultura e una concezione patrimoniale integrata dell'ambiente (reti ecoterritoriali)
e del territorio (progetti di territorio, di bioregioni, di paesaggio) estesa a
tutto il territorio regionale;
5. in questo percorso le discipline archeologiche vanno attribuendo centralità ad un
approccio territoriale globale, passando dalla priorità del sito a quella del contesto
territoriale e paesaggistico, con interpretazioni multidisciplinari e multifattoriali; nel
quadro di una tendenza più generale a considerare i sistemi di beni culturali come
parte integrante e interconnessa del patrimonio territoriale; ciò comporta, ad esempio,
i passaggi concettuali dal museo all'ecomuseo, dal centro storico al territorio storico,
dalle eccellenze paesaggistiche ai paesaggi rurali e urbani nella loro integrità
territoriale, ambientale e di uso sociale (mondi di vita delle popolazioni, secondo la
Convenzione europea del paesaggio);
6. Molte ricerche e sperimentazioni locali in campo energetico spostano l'attenzione
verso i bilanci energetici territoriali, il risparmio e la produzione locale di energia da
fonti rinnovabili; nelle esperienze più avanzate, esse si incentrano sulla produzione di
mix energetici locali in coerenza con la valorizzazione delle peculiari qualità
energetiche del patrimonio territoriale e del paesaggio;
7. Le discipline idrogeologiche spostano da tempo l'attenzione progettuale dai piani
settoriali impiantistici di mitigazione del rischio idraulico e inquinologico verso piani
integrati di bacino che mobilitano, nelle esperienze più avanzate, relazioni
multisettoriali per rendere coerenti fra loro azioni relative alla sicurezza idraulica, alla
riqualificazione ambientale e paesaggistica, all'agricoltura di presidio, ai corridoi
ecologici, ai beni culturali, al turismo, alla mobilità dolce, alla navigabilità; questi piani
attivano nuovi strumenti partecipativi come i contratti di fiume e i piani di sottobacino
mobilitando le energie sociali dei territori di riferimento;
8. Molti progetti e politiche infrastrutturali si riposizionano, rispetto alle visioni che
privilegiano l'attraversamento del territorio (piattaforme logistiche, alta velocità, grandi
corridoi) verso visioni integrate delle infrastrutture come servizio alla fruizione dei
sistemi locali territoriali (integrazione dei sistemi infrastrutturali, sviluppo della mobilità
dolce, recupero della viabilità storica su ferro e su gomma, per la fruizione dei beni e
dei paesaggi locali);
9. Molti approcci distrettualisti ai sistemi economici locali sono evoluti verso le
tematiche dello sviluppo locale; trattando in questo passaggio sia filiere integrate
dall'agricoltura, all'artigianato, alle piccole e medie imprese, al terziario avanzato; sia
le relazioni fra tipologie dei sistemi produttivi e qualità e valorizzazione dei patrimoni
ambientali, territoriali, energetici e paesaggistici;
10. Componenti rilevanti delle discipline geografiche affrontano le relazioni fra il
"mondo e i luoghi" evidenziando il ruolo dei milieu locali e dei sistemi locali territoriali
nei processi di sviluppo e nella rideterminazione delle relazioni fra locale e globale;
11. Le discipline storiche, antropologiche e giuridiche sviluppano attenzione
all'ambiente, al territorio, ai modelli socioculturali di lunga durata, ai modelli di
gestione partecipata dei beni comuni; cosi come le problematiche filosofiche riaprono
il discorso sulla Terra, sul paesaggio, sull'etica della cura, approfondendo le relazioni
fra formazione del pensiero e luoghi.
Questi mondi culturali, protesi a ridefinire il protagonismo del patrimonio territoriale
nella conversione ecologica e /o territorialista della società, costituiscono essi stessi
un patrimonio diffuso, operante in controtendenza in molte università, centri di
ricerca, enti di governo del territorio; di questi mondi intendiamo dare testimonianza
attiva nella neonata Società dei territorialisti e delle territorialiste
(www.societadeiterritorialisti.it).
È dal crescere di queste culture che un nuovo concetto di patrimonio territoriale (che
integra patrimoni ambientali, urbani, insediativi energetici, agroforestali; saperi,
sapienze e modelli socioculturali locali) prende corpo come base per un'altra
concezione di produzione della ricchezza fondata sulla sua valorizzazione.
Ma il passaggio decisivo in questo percorso è stato ciò che ho messo
emblematicamente a sottotitolo del mio testo "Il progetto locale": la crescita di
coscienza di luogo, ovvero la trasformazione culturale che ha investito il pullulare
esponenziale di vertenze territoriali, dallo specifico tema della mobilitazione, alla
ricostruzione del senso di appartenenza collettiva a un territorio di cui si riscoprono, si
riconoscono e si riappropriano, nel corso delle lotte, valori, identità, paesaggi, culture
produttive e artistiche semisepolti, di cui prendersi cura come beni comuni.
È qui che il percorso di riconoscimento del patrimonio territoriale come bene comune,
base materiale e immateriale per la produzione di ricchezza durevole, assume il suo
spessore culturale e politico. È a questo punto che i soggetti variegati che ho
elencato, che esprimono nel loro insieme una nuova cultura operante della
trasformazione, se valorizzati in nuove forme di committenza "sociale", possono
cooperare alla crescita di aggregati societari locali composti da cittadini-produttori, da
nuovi agricoltori, da intraprese economiche a valenza etica; a condizione che
interagiscano con questi aggregati governi locali e strutture finanziarie finalizzati alla
crescita del benessere sociale e della felicità pubblica, e all'attivazione di forme di
autogoverno per la gestione sociale dei beni comuni.