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Merci che producono merci

di Stefano D'Andrea - 19/03/2012



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... e il soggetto si scoprì oggetto!

Tutte le società del passato delle quali abbiamo una solida conoscenza hanno elaborato, raffigurato, descritto, teorizzato un ideale di uomo. La storia, anche e soprattutto letteraria, ci è stata narrata, sovente, come successione di ideali di uomo. Non era tutta la storia; ma era la storia.

E’ vero che le figure degli uomini ideali, apprese sui banchi di scuola, erano proprie dei ceti colti e comunque dei ceti dominanti. Ed è anche vero che sappiamo poco o nulla, o comunque sappiamo molto meno, degli umili, di coloro che conducevano “la vita grama di sempre”. Ma anche gli umili avevano un ideale di uomo al quale si ispiravano.

Infatti, se poniamo mente alla civiltà contadina ancora pressoché intatta fino a cinquanta anni fa, civiltà che conosciamo grazie ai racconti dei nonni più che dei genitori, scopriamo che anche le classi non colte e dominate hanno sempre posseduto il concetto di “uomo ideale”.

L’uomo ideale della civiltà contadina era, ovviamente, un uomo semplice. Era un grande lavoratore; non doveva cedere al vizio del vino, che tuttavia doveva produrre e bere con piacere. Da un po’ di tempo, forse, non doveva necessariamente essere un uomo pio ma doveva “rispettare” la moglie, che invece doveva essere pia. L’uomo ideale doveva essere di poche parole e saper parlare ai figli con lo sguardo. Si trattava, invero, di un “ideale che veniva dal passato”; voglio dire che era la figura del “contadino ideale”.

Ma i contadini sapevano anche guardare fuori dal proprio mondo e osservare quelli che chiamavano “signori”, i quali rappresentavano l’ideale futuro. I signori non erano i commercianti, che pure avevano il denaro (spesso più denaro di tanti “signori”). I signori erano gli uomini e le donne dai modi gentili e non ruvidi; erano quelli che sapevano leggere e scrivere ed esercitavano le professioni "nobili": la maestra dei figli, il dottore, l’avvocato. Quando i contadini ebbero la possibilità di far cambiare vita ai loro figli, li fecero studiare e vollero che divenissero maestri, professori, dottori ed avvocati, non commercianti o imprenditori. Così avrebbero realizzato il loro ideale futuro, che era concepito per lo più come arricchimento dell’ideale passato.

Questo è il dato che ci consegna il “mondo di ieri”.

E il mondo di oggi? Il “relativismo” consiste ancora nella presenza di una pluralità di tipi ideali di uomo (eventualmente all’interno di una medesima classe sociale o di un medesimo ceto)? O la figura dell’uomo ideale è scomparsa, perché il moderno capitalismo, asservendo l’uomo alle merci, al feticismo delle merci – degli oggetti e dei marchi compravenduti  ha distrutto anche e soprattutto ogni concetto di uomo ideale?

A me sembra che la civiltà moderna non elabori alcun ideale di uomo. L’uomo moderno è privo di ogni riferimento ideale. Provate a chiedere ad amici e conoscenti in cosa consista e quali caratteristiche abbia il loro ideale di uomo. Io ho provato spesso ultimamente e la reazione è stata quasi sempre la stessa: immediato silenzio e bocca aperta di stupore. E’ la stessa domanda sull’uomo ideale ad essere estranea alla civiltà contemporanea. Addirittura alcuni interlocutori hanno avuto difficoltà a comprendere che mi riferivo ad un astratto ideale e non ad un uomo in carne ed ossa, vissuto nel passato e che essi consideravano il prototipo dell'uomo ideale. Quindi è il concetto stesso di ideale di uomo ad essere estraneo alla civiltà contemporanea.

Può una società definirsi civiltà se non possiede idee (magari diverse e anzi molto diverse) di che cosa debba essere un uomo? Gli animali credo (è un campo dove sono totalmente ignorante) non abbiano concetti e quindi non elaborino il concetto di “pastore abruzzese ideale” o di “lupo ideale”. Ma hanno l’istinto: l’istinto animale. L’uomo contemporaneo lo ha perduto? Oltre la forza delle idee morali, l’uomo ha perduto anche quella che sorgeva dall’istinto animale?

Se l’uomo ha perduto anche l’istinto animale, allora non siamo più nemmeno esseri viventi. Siamo cose.

Cose. Corpi in balia dei segni; dei marchi; degli slogan pubblicitari; della inventiva e intelligenza di chi, ideando un nuovo prodotto o una nuova moda o una nuova tecnica di vendita, ha la capacità di cambiarci (e di cambiare sé stesso).

L’alienazione è stata reificazione. Facoltà atrofizzate. Tradizioni uccise. Declino e morte delle idee morali, che seppure nuove (le “idee nuove”) generavano possibilità e aspirazioni. Scomparsa del controllo della società su sé stessa. La società, il complesso degli uomini, è automatizzata. Perché l’enorme maggioranza degli uomini è stata automatizzata dalle sollecitazioni provenienti dalle merci.

Le merci hanno avuto la meglio. I segnali che le merci emanano e che indirizzano verso di noi sono le forze che ci muovono. Quelle forze muovono i nostri desideri e questi ultimi sono soltanto desideri di merci. Le merci si riproducono utilizzando gli uomini, come fossero macchine; così come, nella concezione comune, ormai del tutto falsa, l’uomo riproduce la sua vita servendosi di macchine. Quanto appare ingenuo l’interrogativo se nel capitalismo il lavoro subordinato sia merce ora che abbiamo scoperto che gran parte degli uomini – considerati nella totalità della loro esperienza (talvolta torna utile questo scivoloso termine filosofico) – sono macchine utilizzate dalle merci per riprodurre sé stesse!