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La religione degli Etruschi

di Mario Enzo Migliori - 02/04/2012



        Giovanni Feo, noto etruscologo ‘fuori dal coro’, è l’autore di apprezzabili saggi ‘alternativi’ sull’argomento. Scrittore e ricercatore, vive da circa trent’anni in Maremma, dove ha svolto un’estesa ricerca sul campo, mirata a un’approfondita conoscenza del territorio etrusco e pre-etrusco portandolo a significative scoperte tra le quali l’osservatorio astronomico rupestre di Poggio Rota nei pressi di Pitigliano. Naturalmente chi conosce la sua produzione saggistica non si aspetterà un manuale, strictu sensu, sulla religione etrusca e non rimarrà deluso dalla lettura di questo suo nuovo libro.  Feo ripercorre la religione degli Etruschi dalle origini, da ricercare anteriormente alla formazione dell’ethnos etrusco, per arrivare alle persistenze, più o meno occulte, sopravvissute fino a epoche recenti.

         Secondo l’Autore, giustamente, “nella religione etrusca sopravvisse un’antica eredità, fatta di credenze, culti e riti provenienti dai remoti secoli del primo politeismo. Tracce se ne ritrovano in Anatolia (Çatal Hüyük), nella religione ittita, in quella mesopotamica. Ma anche nella religione druidica dei Celti, in quella dei Baschi, di Sardi e Cretesi” (p. 9).

         La trasmissione e perpetuazione della tradizione sacra fu tramandata durante un periodo di secoli estremamente lungo. I Romani chiamarono questa millenaria tradizione, comprendente i libri sacri, più un insieme di norme e conoscenze su ogni aspetto del vivere, l’Etrusca Disciplina[1]. Scienza sacra il cui carisma perdurò durante tutto l’impero romano e ancora nel V secolo dell’e.v. papa Innocenzo dovette chiedere l’intervento degli aruspici e dei fulgoratori etruschi per salvare magicamente Roma dal pericolo di un’invasione, come già i sacerdoti venuti dall’Etruria avevano fatto salvando coi fulmini Narni assediata dai barbari.

         Palesi sono i rapporti fra la religione etrusca e quella romana, anzi possiamo senz’altro affermare che la prima sarà ricompresa nella seconda. Basti ricordare la triade capitolina Giove, Giunone e Minerva similmente composta come la triade divina etrusca Tinia, Uni e Menerva, e soprattutto l’esistenza del prestigioso ordo LX haruspicum che riuniva gli haruspices impiegati dallo stato romano[2].

         La cosiddetta geomanzia o geografia sacra forse si occupava di quell’energia chiamata dai Romani “sacer della terra” (dalla radice etrusca sac-) “reputata di origine divina, un potere creatore quanto distruttore. E distinguevano tra il sacer della terra e quello celeste, il sacer dell’acqua e il sacer specifico di ogni esuberante e portentoso fenomeno naturale” (p. 19). Dopo aver illustrato il Pantheon etrusco analizzando il famoso fegato di Piacenza evidenzia la rete di simbolismi numerali sottesa nella struttura religiosa. Dobbiamo purtroppo costatare il mancato rifermento al numero 16 rilevabile dalle sedici caselle esterne del fegato bronzeo e alla divisione del templum celeste in sedici parti[3].

         Ricco d’interessanti spunti e considerazioni è il capitolo dedicato ad Angeli, Lase e Sibille. Gli angeli sono esseri sempre più emarginati dalla cristianità ufficiale, ormai ritenuto argomento squisitamente teologico, forse perché la loro tradizione risaliva ad antiche epoche precristiane. Divinità femminili minori con caratteristiche esplicitamente angeliche sono le Lase. Spesso ricoprono il ruolo di ancelle e accompagnatrici di Turan, la Venere etrusca, “la loro esibita nudità non ha un valore soltanto estetico o erotico, ma è anzitutto l’attributo di dèi, eroi e semidei. Il comune mortale indossa abiti che ne determinano la specifica condizione, gli esseri divini possono invece mostrarsi nudi perché la loro condizione è sovrumana, non bisognosa di vesti e orpelli. Essi esprimono la nuda verità, la loro realtà trascende le apparenze” (p. 41). Dopo aver dimostrato i nessi fra questi esseri divini e le sibille, il Nostro può affermare che la famiglia delle lase è imparentata a quella delle sibille, delle ninfe e delle fate che popolavano campagne, boschi, sorgenti e luoghi sacri” (p. 42).

         A proposito di Turan, il cui nome può tradursi “La Signora”, ci piace ricordare che ebbe un ruolo di primo piano nella religione etrusca, “soprattutto quale dea patrona di tutto il popolo, che nel suo nome si riconosceva. Analogo è il caso di Venere a Roma. Fu la dea a guidare Enea e i Troiani nel Lazio vetus, per fondare la nuova Troia” (pp. 47-48). 

          Non vogliamo ripercorrere tutti i capitoli dell’opera ché rimandiamo alla piacevole lettura diretta. Tra l’altro il volume è accuratamente integrato da una sapiente scelta d’illustrazioni e da gradevoli scelte grafiche. Ci piace ricordare, con Feo, l’importanza degli studi e delle ricerche dell’antropologo americano Charles Godfrey Leland il cui materiale pubblicato rivela “l’incredibile sopravvivenza, in tempi moderni, di tradizioni etrusche” (p. 53). D’altronde le bolle papali di età medievale, emesse contro “coloro che praticavano riti etruschi”, tradiscono un fatto per nulla scontato: nel medioevo si praticavano ancora “riti etruschi”.

         Concludiamo con quest’affermazione tratta dal libro recensito (p. 30): “Con il mondo etrusco ebbe termine in Italia il mondo antico[4]. Ed iniziò l’era moderna, materialista e razionalista, che oggi prosegue nell’Occidente tecnocratico”.


GIOVANNI FEO, La religione degli Etruschi. Divinità, miti e sopravvivenze, Edizioni Effigi, Arcidosso 2011, pp. 96, € 12,00.

[Pubblicato in: "Arthos", XVI, n.s., 20, 2012, pp. 92-93].



Note

[1] M. KORNMÜLLER, Etrusca Disciplina, Irradiazioni, Roma 2006 (cfr. la mia rec. in: “La Cittadella”, VII, n.s., n. 31-32, lug.-dic. 2008, pp. 113-114).

[2] Cfr. M. E. MIGLIORI, Haruspices e mos maiorum, in: “Vie della Tradizione, 145, gen.-apr. 2007, pp. 22-29.

[3] Cfr. A. MAGGIANI, Deorum sedes: divinazione etrusca o dottrina augurale romana?, in AA. VV., Gli Etruschi e Roma, fasi monarchica e alto-repubblicana, Ann. Museo Faina, XVI, 2009, pp. 221-237.

[4] Secondo molti studiosi, e noi siamo dello stesso avviso, il termine del mondo etrusco va ravvisato con la fine dell’utilizzo dei responsi degli aruspici pubblici e la persecuzione da parte degli imperatori cristiani dei culti tradizionali (cfr. M. E. MIGLIORI, Haruspices e mos maiorum cit.).