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Da dove viene tanta volgarità?

di Francesco Lamendola - 04/05/2012

 


 

Se si dovesse dire quale caratteristica negativa spicca maggiormente nella società attuale, probabilmente dovremmo dare ragione a Johann Huizinga e dichiarare che il maggior vizio del mondo moderno è, dopo tutto, la volgarità.

La volgarità riassume e compendia tutte le altre caratteristiche negative: la superficialità, l’egoismo, il narcisismo patologico, l’arrivismo cialtrone, l’utilitarismo cinico, la brutalità e la mancanza di compassione.

La volgarità non è solo un fatto estetico, o anti-estetico: come avevano visto anche John Ruskin e William Morris, essa è anche il segno di un orientamento morale, una vera e propria malattia dell’anima, sia nel singolo individuo che nella società tutta.

La volgarità è anche forma, ma non solo forma: quando un importante uomo politico fa il segno del dito medio alzato durante un pubblico comizio, non è “solo” volgare; quando un critico d’arte inveisce con parole offensive contro l’interlocutore in un salotto televisivo, non è “soltanto” volgare; quando una attricetta da quattro soldi si dimena, piange, urla, insinua e sparla dei suoi compagni in un “reality”, non è “soltanto” volgare: tutti costoro, oltre che volgari, sono anche profondamente, intollerabilmente immorali.

I difensori della libertà e della democrazia a un tanto il chilo insorgeranno indignati: come, immorali? Non è forse una delle maggiori conquiste della civiltà moderna, la distinzione tra la sfera della vita pratica e quella dei valori etici? Certo, è una delle maggiori conquiste: ma in senso negativo, ben s’intende. E se questo è un parlare da fondamentalisti, da integralisti, da medievali, allora ben vengano il fondamentalismo, l’integralismo, il Medioevo.

Quel che colpisce è la perfetta linearità del movimento sociale e culturale che ha portato a siffatti esiti: una volta poste la libertà assoluta e la filosofia dei diritti alla base di ogni fenomeno o manifestazione della vita individuale e collettiva, non si poteva non giungere alla volgarità generalizzata: questa, infatti, è nient’altro che l’affermazione dei lati peggiori della personalità, il narcisismo infantile, la cialtroneria, l’esibizionismo, l’edonismo da quattro soldi, il compiacimento dei propri vizi e difetti, spacciati sistematicamente per virtù e qualità.

La volgarità non è un incidente di percorso della nostra evoluzione sociale e culturale: è il punto d’arrivo, perfettamente logico e prevedibile, di tendenze e atteggiamenti che già si andavano delineando nel corso delle generazioni precedenti e che si sono pienamente affermati come effetto dell’individualismo di massa (un ossimoro stridente, ma efficace), della demagogia democraticista, del relativismo etico e del conseguente permissivismo, del venir meno di qualunque serio collante sociale, di qualunque autentico sentimento di solidarietà umana, di qualunque consapevolezza critica, per l’abdicazione al proprio ruolo naturale da parte dei genitori, degli adulti, dei sedicenti uomini di cultura.

Anche la laicizzazione e il secolarismo hanno fatto la loro parte; anzi, il male, crediamo, è partito proprio da lì: dall’abbandono, se non addirittura dall’avversione, nei confronti del sacro, dalla negazione rabbiosa della trascendenza, dal disprezzo, dall’ironia e dall’indifferenza nei confronti del divino, visti unicamente nella luce negativa di ciò che limita la libertà incondizionata dell’uomo e l’affermazione del suo diritto alla felicità, qui e ora.

Il concetto di libertà assoluta, contraddittorio e distruttivo in se stesso, è stato contrabbandato per moneta buona da legioni di pseudo-intellettuali, i quali, complici o ignavi, non hanno trovato nulla da ridire sulla sua palese assurdità e inapplicabilità, non hanno osato ricordare che la libertà non può mai essere assoluta, perché essa non si esercita nel vuoto, ma in mezzo agli altri viventi (a tutti gli altri viventi, e non solo in mezzo ai propri simili); e che il predicare una siffatta idea di libertà avrebbe fatalmente portato la società al collasso e all’implosione.

La volgarità, peraltro, non è solo una forma di comportamento e uno stile delle persone; è anche uno stile complessivo della società, che abbraccia tutte le manifestazioni della vita associata, comprese l’arte, la scienza e la cultura.

Vi è una architettura volgare, così come vi sono una pittura e una scultura volgari; una musica volgare; una scienza, o quanto meno una divulgazione scientifica, volgare (con riviste come «Focus», la più venduta in Italia, che sono la quintessenza della volgarità, sia nelle forme che nei contenuti e in tutta la filosofia che le sorregge); una televisione volgare, un cinema volgare, un mondo informatico volgare; una danza volgare, una ginnastica volgare, uno sport volgare (e quest’ultimo aspetto riguarda sia chi lo pratica, sia chi fa il tifo negli stadi); una letteratura volgare, una poesia volgare, un teatro volgare; una scuola volgare e una università volgare (da parte dei docenti e da parte degli studenti); un modo volgare di trascorrere il tempo libero e un modo volgare di lavorare.

Volgare, per esempio, oltre che maleducato, è l’impiegato di un ufficio pubblico che, quando l’utente è giunto allo sportello, magari dopo un’ora di fila, glielo chiude in faccia, dicendo che va a farsi la pausa caffè; volgare è il medico della mutua che, con la sala d’attesa piena di pazienti, magari anziani, magari seduti lì da ore, se ne va al bar e torna quando gli pare; volgare è l’automobilista che parcheggia davanti al bar lasciando il motore acceso, scende, fa la colazione, poi risale in macchina con tutta calma, dopo aver inquinato l’aria per dieci minuti buoni: e si poterebbe continuare a volontà, l’elenco è infinito.

Volgare è il genitore che alza la voce ad ogni minima disobbedienza del bambino, volgare è il marito che grida e insulta la moglie per abitudine, volgare è la moglie che sparla e spettegola del marito con tutti i vicini, volgare è la massaia che cucina le pietanze a base di aglio fritto e impregna i corridoi e le scale del condominio, oltre al cortile e alle terrazze dei vicini, con quel discutibile odore; volgare il pensionato che porta a spasso il cagnolino e gli permette di fare pipì sulle ruote delle automobili in sosta; volgare il ragazzo che dà del tu al gestore di un negozio, che potrebbe essere suo nonno, al pizzaiolo che potrebbe essere suo zio, al barista che potrebbe essere suo padre o alla commessa del supermercato, che potrebbe essere sua madre.

Volgare è la ragazzina che se ne va a scuola con il ventre scoperto, il ragazzo che fa la stessa cosa mostrando il sedere e le mutande, l’impiegata che sbatte in faccia agli utenti il petto senza reggiseno, mostrando i capezzoli sotto la maglietta; volgare, oltre che incosciente, è l’automobilista che sorpassa in curva a tutta birra, magari senza neanche scomodarsi a mettere la freccia, per far vedere a tutti quanto è bravo e sfiorando il mezzo altrui, per poi rientrare bruscamente nella corsia di destra e mettere l’altro in serio pericolo; volgare, osceno e ripugnante è lo spettacolo offerto dagli omosessuali in occasione del “gay pride”, quando si esibiscono come travestiti, si abbracciano e si baciano  sulla bocca, ancheggiano, sculettano, simulano il coito.

Volgare è un certo modo di guardare l’altro, uno sconosciuto, una sconosciuta: spogliandoli con gli occhi, sfidandoli, provocandoli; volgare è un certo modo di prendere il sole in spiaggia, spaparanzandosi addosso ai vicini di ombrellone, tenendo la radiolina a tutto volume, giocando a pallone in mezzo alle persone sdraiate, lasciando che il proprio cane salga sugli asciugamani altrui e infastidisca adulti e bambini; volgare è parlare con una persona mentre si rumina una gomma americana, o si cincischia uno stuzzicadenti all’angolo della bocca, o magari si fanno le bolle con il chewing-gum.

Volgare è parlare mentre uno ci sta già parlando, dandogli sulla voce; non ascoltare l’altro, ma pretendere la sua attenzione; non guardare in viso il proprio interlocutore, oppure nascondere gli occhi dietro delle lenti rifrangenti, in modo che lui non sappia se lo stiamo guardando, e come; volgare è parlare a voce altissima in un luogo pubblico, magari durante una conversazione al telefonino; volgare è anche interrompere il discorso con una persona, perché il proprio cellulare sta squillando, e rispondergli viene prima della più elementare buona educazione.

Volgare è tenere il altissimo il volume della radio, in casa o in automobile, con i finestrini aperti; volgare è suonare il claxon al minimo ritardo dell’automobilista che ci precede; volgare è bagnare i fiori alla finestra senza guardare sotto, magari innaffiando i passanti.

Tutte queste cose sono divenute ormai così diffuse, così comuni, così “normali”, anche se normali non sono, che, se la civiltà del Rinascimento è passata alla storia come la civiltà delle buone maniere, la nostra dovrebbe passare alla storia come la civiltà della cafoneria, della rozzezza e della volgarità erette a sistema.

Le buone o le cattive maniere non sono solo un fatto di educazione, fine a se stesso; sono anche lo specchio di un modo di essere, di una filosofia di vita.

La perdita delle buone maniere, in questo senso, che si registra ormai in tutte le fasce di età e in tutte le classi sociali, in tutti gli ambienti e in tutte le occasioni, è il riflesso di un involgarimento sempre più crescente, di una inarrestabile volgarità dell’anima.

I giovanotti e le ragazze, ma anche gli anziani e le anziane, che si sbracciano, si insultano, si denigrano negli squallidissimi spettacoli televisivi di Maria De Filippi, esibendo senza dignità e senza pudore il peggio di se stessi, senza neppure la consapevolezza di quanto si degradino e si imbruttiscano da se stessi, di quanto si rendano meritevoli di commiserazione o di disgusto, sono lo specchio di un atteggiamento diffuso, che trova le sue radici nell’edonismo cialtrone e nella grande menzogna pseudo-democratica e pseudo-libertaria, secondo la quale ciascuno è libero, liberissimo di fare tutto ciò che la legge esplicitamente non vieta.

Quest’ultimo è un concetto di origine liberale, per cui John Locke può considerarsi, a giusto titolo, il pioniere e il massimo teorico della volgarità oggi dilagante nella nostra società. Il liberalismo è l’ideologia della volgarità per eccellenza: che cosa si può immaginare di più volgare di quell’«Arricchitevi!», pronunciato da François Guizot ai Francesi nel 1840, e ripetuto da Deng Xiao Ping ai Cinesi nel 1979?

Reagire alla volgarità da cui oggi siamo assediati significa anche reagire alla bruttezza, alla stupidità, all’arroganza, alla prepotenza: perché tutte queste cose sono strettamente collegate, e tutte discendono da una matrice comune.

La matrice comune, alla quale è necessario risalire per individuare la radice del male, è l’idea che l’individuo possa essere felice raggiungendo, qui e ora, il massimo del benessere privato, a dispetto degli altri e, se necessario, contro gli altri: senza una coscienza cui rendere conto, senza una norma universale da rispettare e senza una istanza superiore cui riconoscersi sottoposti.

Questa è la radice di tutti gli altri mali propri della modernità, di cui la degenerazione della scienza, dell’arte, della stessa filosofia, sono altrettante conseguenze; di cui la scomparsa delle buone maniere, dello spirito di servizio, del rispetto di sé e degli impegni assunti, sono alcune delle più vistose manifestazioni parziali.

L’uomo moderno non è credibile né davanti a se stesso, né davanti ai propri simili: non è credibile perché non è più di parola, non è più leale, non è più disposto a riconoscersi in una morale che sanzioni le infedeltà, le leggerezze, le furberie piccole e grandi, mentre dovrebbe onorare e premiare la lealtà, la dedizione, l’onestà, costi quello che costi.

Inoltre, cosa più imperdonabile di tutte, l’uomo moderno sta contaminando l’infanzia con la sua volgarità: i bambini che scimmiottano i grandi nei loro atteggiamenti più sciocchi e discutibili, nella moda a base di capi firmati, nella cura esagerata del corpo, nel modo di ballare precocemente sensuale, sono le vittime di un involgarimento che, in nome dell’interesse economico, non conosce più limiti né pudori, ma è disposto a qualunque bassezza, a qualunque laidezza, pur di soddisfare l’avidità di guadagno.

Occorre reagire a questo stato di cose, mediante un soprassalto di fierezza e dignità che permetta di riscoprendo l’importanza fondamentale del ruolo educativo delle famiglie, ruolo che va svolto essenzialmente con i buoni esempi, costanti e sistematici, e non con le chiacchiere, che lasciano il tempo che trovano e di cui i bambini non sanno che fare.

La volgarità è come un virus, che si propaga dalle generazioni adulte a quelle più giovani; ma anche la dignità, la rettitudine e l’onestà si propagano allo stesso modo, attraverso i comportamenti e gli esempi positivi offerti dagli adulti.

Ecco perché gli adulti hanno una grande, una grandissima responsabilità in tutto quello che sta accadendo: ammesso che siano davvero degli adulti, non solo in base al certificato anagrafico…