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Difendere Israele. Regola n. 1: stravolgere la realtà

di Enrico Galoppini - 14/07/2006

 

 

Uno dei recenti ‘trucchi linguistici’ escogitati per difendere la causa del Sionismo è l'utilizzo improprio delle parole "rapimento" e "sequestro".

Nessuna tv o giornale "autorevole" fa eccezione (per cui è superfluo proporre esempi), ma se ancora il dizionario della lingua italiana ha un senso si dovrebbe parlare di militari israeliani fatti "prigionieri" dai miliziani dello Hezbollah libanese. Ma questo sarebbe pretendere troppo, perché significherebbe che al nemico viene riconosciuto lo status di belligerante, mentre nei fatti è considerato alla stregua di una "anonima sequestri": i "rapimenti" e i "sequestri" non li fanno, appunto, dei volgari banditi?

Ma oggi viviamo una situazione irreale: di tutti gli Stati che aderiscono all’Onu, ne abbiamo tre - Usa, GB e Israele – che si arrogano l’esclusivo diritto di potersi fregiare a pieno titolo del rango di Stato, mentre gli altri son tutti potenzialmente oggetto di "operazioni di polizia internazionale"; è il motivo per cui la guerra non si “dichiara” più, per il semplice fatto che la suddetta triade non riconosce, all’atto pratico, altri Stati. Questo considerarsi al di sopra di tutto e tutti comporta tutta una serie di atteggiamenti sbalorditivi, quali, ad esempio, il bombardamento di un aeroporto internazionale di uno Stato membro delle Nazioni Unite (il Libano), il sorvolo a bassa quota con aerei da guerra del palazzo presidenziale di un altro Stato membro delle Nazioni Unite (la Siria), la traduzione di fronte ad un tribunale fantoccio del legittimo Governo di uno Stato membro delle Nazioni Unite (l’Iraq), il paventato arresto del presidente di uno Stato membro delle Nazioni Unite (l’Iran) qualora si fosse presentato a tifare per la sua nazionale ai mondiali di calcio!

Non si può certo dar torto al presidente bielorusso Lukashenko, che ha affermato per mettere i puntini sulle “i”: “L’Onu siamo noi”.

 

Sostenere che solo Usa, GB e Israele si sono esclusivamente attribuiti la dignità di Stato sovrano negandola agli altri non è un’esagerazione che, al limite, può andare bene solo in relazione agli Stati arabi: si pensi alle pressioni a non finire sull'Austria all'epoca del "caso Haider", oppure alla fine della Jugoslavia (bombardamento su Belgrado, processo farsa a Milosevic ecc.: ricordo che l'unico aviatore serbo che riuscì ad abbattere un aereo della Nato è stato poi messo sulla graticola giudiziaria come un volgare "terrorista").

 

Conosco anche l'obiezione degli arroganti – perché ipermediatizzati - "avvocati d'Israele": che Hezbollah "non è l'esercito libanese". Ma nell'atipica situazione libanese va detto che esso rappresenta l'unica garanzia d'intangibilità del territorio del Libano. E non lo dico io, lo dimostrano i fatti recenti del Libano. La verità è che la piega che si voleva far prendere agli eventi in seguito all'assassinio di Hariri non è quella desiderata dai suoi mandanti: Hezbollah, oltre ad aver ottenuto 14 parlamentari non ha smobilitato le sue milizie, e questo non perché si è imposto unilateralmente sui desideranti un "Libano libero" (e "arancione"), ma perché almeno mezzo Libano (compresi settori cristiani) si è reso conto che disarmare Hezbollah equivaleva ad un suicidio nazionale.

 

Ma torniamo ai “sequestri” e ai “rapimenti”. Aljazeera per descrivere i militari israeliani nelle mani di Hezbollah usa il termine asîr (pl. asrà), che significa appunto “prigioniero”, e lo stesso Hasan Nasrallah parla di “prigionieri” di Hezbollah in mano all’esercito israeliano, proponendo difatti uno “scambio di prigionieri”. Evidentemente c’è della dignità nella considerazione che Hezbollah ha dei militari israeliani, ma non il contrario. Lo si evince anche dal modo in cui gli oltre sessanta uomini politici palestinesi nelle mani degli israeliani vengono descritti da questi ultimi: trattasi di “arresti”. Ora, mi sembra un po’ strano che i membri di un parlamento e di un governo di uno Stato (seppur un simulacro di Stato, comunque uno “Stato”: non salmodiano sempre “due Stati per due popoli”?) possano essere “arrestati” da un altro Stato. Al limite dovrebbe trattarsi di “prigionieri”, ma non sia mai detto, o forse proprio in questo caso si tratta effettivamente di “rapiti” e “sequestrati”…

 

Come che sia, anche questa volta “Israele” la farà franca: dopo aver causato al Libano in un solo giorno un danno economico stimato in decine di milioni di dollari (ponti, strade, piste dell’aeroporto, turisti in fuga, viaggi annullati, blocco delle importazioni e delle esportazioni, borsa crollata: a proposito, a chi si rivolgerà il turista italiano per il risarcimento del biglietto? all’Ambasciata israeliana? al gran rabbino?) riceverà, in ossequio alla logica della “equivicinanza” elaborata in qualche Centro che naturalmente auspica la “pace in Medio Oriente”, rinnovate e più sperticate lodi, che supereranno in fantasia e piaggeria il “siamo tutti ebrei” di Bertinotti (dopo aver ricevuto delle minacce!), la denuncia dei “rigurgiti di antisionismo” (Giordano), l’individuazione nello “scudo di David” delle “radici europee”… fino all’”Israele patrimonio dell’umanità” (Prodi): fino ad ora avevo sentito parlare di “patrimoni dell’umanità” con riferimento a città, opere d’arte o architettoniche, ma stavolta viene il dubbio che il “patrimonio” stia nell’assetto istituzionale (discriminatorio) dello Stato sionista, o addirittura nel c.d. “popolo ebraico”, in tal modo custodito come una sorta di bene prezioso, il Bene incarnato.

 

Ma i complimenti, sebbene graditi da “Israele”, non bastano mai se non sono accompagnati dalle palanche. E’ di questi giorni la notizia di un accordo firmato tra la Regione Lazio e un Centro industriale israeliano per “la ricerca e lo sviluppo”, le cui basi sono state gettate circa un mese fa in occasione dell’ennesimo “viaggio della memoria”. Parafrasando il titolo del celebre libro di Finkelstein verrebbe da titolare “Industria e Olocausto”! Quanto ai palestinesi, si accontenterebbero di un banalissimo riconoscimento dei torti subiti (uccisioni, distruzioni, espulsioni ecc.), senza scomodare gli “olocausti”, ma non hanno nemmeno questa magra consolazione: le industrie e gli “accordi”, per il momento, se li possono sognare!