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Un bordello finanziato dal canone

di Massimo Fini - 19/07/2006


Il settimanale Gente, ripreso
dal Corriere della Sera,
ci informa che la Rete
Due della Rai aveva proposto
alla signorina Elisabetta Gregoraci
di partecipare a “L’Isola
dei Famosi” con un
cachet di un milione di euro.
Elisabetta Gregoraci, chi era
costei? La prima ballerina
della Scala o del Bolscioi?
Una stella del cinema hollywoodiano
o, almeno, di quello
nostrano? Una prima donna
del teatro? Niente di tutto questo.
Elisabetta Gregoraci non
è nessuno, non ha un mestiere
preciso, pochissimi sapevano
chi fosse prima che il suo
nome venisse alla ribalta nelle
intercettazioni telefoniche
relative allo scandalo Rai, sesso
& politici. Aveva fatto la
valletta di Pupo ne “Il malloppo”,
segnalata da Salvo Sottile,
e varie comparsate, come
ospite, in trasmissioni televisiva
dove veniva trattata con
tutti i riguardi e come se fosse
una persona famosa. E oggi, a
quanto pare, basta essere trattati
da persone famose per
diventarlo. E meritare cachet
da un milione di euro, anche
se la cosa è poi andata in
fumo, sembra, per quelle
maledette intercettazioni. Un
professore universitario, il cui
stipendio al culmine della carriera,
verso i 50 anni, è di
4.000 euro al mese, non guadagna
quella cifra, due miliardi
circa delle vecchie lire in
tutta la sua vita. Le Gregoraci
di ogni risma lo prendono in
due o tre settimane per partecipare
a uno dei programmi
più abbietti alla Rai.
Antonio Marano, il direttore di
Rai Due, ha successivamente
smentito questa faccenda del
milione di euro. Ma le smentite
di Marano valgono quanto
Marano. Conosco bene il soggetto:
è il dirigente Rai che ha
censurato il programma
“Cyrano” cui dovevo partecipare.
Sull’episodio ha fornito
quattro versioni diverse. La
prima, quella vera, la diede al
produttore e regista del “Cyrano”,
Eduardo Fiorillo. A una
settimana dall’esordio della
trasmissione, senza aver visto
né aver potuto in alcun modo
vedere la prima puntata, perché
dovevamo ancora montarla,
chiamò Fiorillo e gli disse:
«C’è un veto politico su Fini.
Tu, naturalmente, puoi continuare
il programma, ma devi
toglierlo di mezzo».
(…) Episodio che Fiorillo ha
conferamato davanti alla
Commissione Parlamentare di
Vigilanza investita del caso,
benché non vi avesse alcun
interesse a farlo, dato che la
sua produzione, “Match
Music”, con la Rai aveva rapporti
di lavoro e quindi c’era
l’interesse, opposto, a tenersela
buona. Il giorno prima della
trasmissione Marano convocò
me e Fiorillo nella sede
Rai di Corso Sempione, a
Milano, e, alla presenza di un
funzionario dell’azienda,
Michele Bosvi, mi disse, papale
papale: «Su di lei c’è un
veto politico-aziendale da parte
di persona cui non posso
resistere».
Mi propose quindi di sparire
dal video e di rimanere dietro
le quinte come autore di un
programma di cui non ero
autore (autori erano Fiorillo e
i suoi collaboratori). Il problema
non era, quindi, il programma.
Ero io.
Al mio rifiuto di subire una
simile violenza cancellò la trasmissione
il giorno prima che
andasse in onda. Poiché, però,
davanti alla Commissione di
Vigilanza non se la sentì di
ripetere ciò che aveva detto a
me e a Fiorillo, s’inventò che
non avevo le qualità per fare il
commentatore in Tv, che non
“bucavo lo schermo”, danneggiando
gravemente l’immagine
di un professionista
con trentacinque anni di carriera
alle spalle, che ha lavorato,
con reciproca soddisfazione,
con direttori come Tommaso
Giglio, Indro Montanelli,
Guglielmo Zucconi, Pierluigi
Magnaschi, Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro e che il
vecchio Indro, come ha testimoniato
la nipote, Eder Letizia
Moizzi, voleva come suo
successore al Corriere nella
famosa rubrica di risposta ai
lettori. Ma gli uomini senza
dignità e senza onore, non
avendo rispetto per se stessi,
tantomeno possono averne per
gli altri. Poiché, però, la cosa
non stava in piedi (come faceva
a dire che non “bucavo il
video” se il suo niet era arrivato
prima di avermi potuto
vedere?), in una seconda audizione
scaricò la responsabilità
della censura su Antonio Socci
che aveva la delega all’informazione.
Ma noi non facevamo informazione,
facevamo una trasmissione
di costume. Recentemente,
dopo lo scandalo di
“velinopoli”, Riccardo Bocca,
intervistando Marano per L’espresso
(29 giugno), gli ha
detto: «Chieda scusa al collega
Massimo Fini, chieda perdono
per averlo cacciato prima
ancora che iniziasse il suo
“Cyrano”». Risposta e quarta
versione, aggiornata, riveduta
e corretta: «Neanche morto.
Gliel’ho spiegato mille volte, a
chi produceva il programma
(cioè a Fiorillo, ndr). Se mettevano
temi come Comunione
e Liberazione o Berlusconi in
scaletta, il programma sarebbe
finito nelle mani di Antonio
Socci che allora aveva la delega
all’informazione».
Ma noi, nella prima puntatamai andata in onda, non ci
occupavamo né di Berlusconi
né di Comunione e Liberazione,
ma di argomenti ancora
più funerei: la vecchiaia e la
morte. E ne L’espresso successivo
(6 luglio) proprio Socci
ha smentito nel modo più inequivocabile
questa ennesima
versione del direttore della
Rete Due.
Antonio Marano, chi era
costui? È una Gregoraci della
politica. Prima di approdare
alla Rai aveva un modestissimo
curriculum televisivo. Era
stato direttore di una piccola
Tv locale, Canale 65, di Varese
e aveva avuto un’esperienza
a Stream. Soprattutto era
stato sottosegretario alle Poste
per la Lega ed è stato messo
nel posto che occupa solo perché
leghista. Il Carroccio,
infatti, dopo aver tanto tuonato
contro la lottizzazione, una
volta arrivato al potere si è
comportato come tutti gli altri
partiti. E poiché aveva meno
esperienza, ha piazzato in Rai
funzionari ancora più modesti
degli altri.
E qui bisogna far punto e
ripercorrere, a volo d’uccello,
la storia della Rai per capire
come si sia arrivati a questa
situazione e che cosa sia realmente,
oggi, questa azienda.
La Rai, Radiotelevisione italiana,
è un Ente di Stato che
dovrebbe fornire un servizio
pubblico. Come l’Enel deve
fornire l’energia, le Poste le
comunicazioni, le Ferrovie itrasporti via rotaia, la Rai
deve fornire informazioni,
divertimento e, possibilmente,
cultura. A guidarla e a farne
parte dovrebbero esserci professionisti
di grande valore
scelti in quanto tali. Invece, fin
dalla sua nascita, la Rai è stata
occupata, arbitrariamente e
illegalmente, dai partiti che
sono associazioni di privati
cittadini che nessuna norma,
né costituzionale né ordinaria,
autorizza ad assumere un
simile ruolo. Per la verità,
all’origine, il partito era uno
solo: la Democrazia Cristiana.
Ma perlomeno la Tv dirigista
di Ettore Bernabei, pur
rimanendo la cosa totalmente
arbitraria e illegale, si preoccupò
di fornire, informazionea parte, un servizio pubblico
valido sul piano culturale e
cercò, riuscendovi, di unificare
l’Italia dei dialetti a un
buon italiano.
Poi venne la riforma dei primi
anni Settanta. Che, invece di
eliminare l’illiceità di un’occupazione
della Rai da parte
di soggetti che non ne avevano
alcun titolo, in un certo senso
la aggravò. Alla DC si aggiunsero
anche gli altri partiti. E
fu la spartizione e la lottizzazione
della Rai dalla testa ai
piedi, dal Consiglio di amministrazione
al direttore generale
e, discendendo giù per i
rami, ai direttori di Rete, ai
direttori di Testata, ai giornalisti,
ai conduttori, fino all’ultimo
usciere.I partiti eleggono, di fatto, i
consiglieri di amministrazione,
cioè dei loro uomini, questi
il direttore generale acconcio,
costui i direttori di Rete e così
via. Secondo un rigidissimo
manuale Cencelli.
Ai partiti che sostengono la
maggioranza di governo vanno
i bocconi migliori, agli altri
il resto. Ma poiché le maggioranze
di governo cambiano e
ogni volta chiamano in Rai i
loro adepti e seguaci, l’azienda
è fatta di stratificazioni
geologiche con gente pagata
profumatamente, nell’ordine
anche dei 500mila euro l’anno,
per non far niente con i
soldi dei cittadini. I partiti utilizzano
quindi la Rai non per
fornire un servizio pubblico,
ma come strumento di acquisizione
di consenso e come mezzo
per tenere legati a séseguaci
e simpatizzanti, sia all’interno
che all’esterno, con gli
appalti e le consulenze (tutta
la Roma intellettuale, per fare
un esempio, vive di consulenze
Rai, quasi sempre fasulle, nell’ordine
dei 5.000 euro al
mese). E a pagare tutto ciò è
sempre il contribuente.
Ma la Rai-Tv è diventata, nel
tempo, anche il bordello privilegiato
del Regime. Lavorando
con le immagini, è ovvio che
pulluli di ragazze giovani e
belle, sia all’interno, fra quelle
che già vi lavorano, sia
all’esterno, fra quelle che
spingono per entrarvi. Per i
membri della nomenklatura è
un gioco da ragazzi imporre ai
loro uomini piazzati in Rai di
privilegiare questa o quella.
Che poi il gioco si concluda
sotto le lenzuola è quasi marginale.
È il metodo che è infame.
Perché è comunque unostrumento di pressione e di
ricatto, con scambi di favori,
non necessariamente sessuali,
su tutti, donne e uomini.
Anche professionisti già affermati
devono chinare la testa e
piegarsi al sistema. È significativo
che una come Paola
Saluzzi, che lavora in Rai da
anni, abbia sentito il bisogno,
per trovare più spazio, di
rivolgersi a Salvo Sottile. Non
è un reato, ma non si capisce
cosa c’entri il portavoce del
ministro degli Esteri con la
Rai. O meglio, lo si capisce
benissimo alla luce di quanto
si è detto.
Ora i consiglieri di amministrazione
della Rai, dopo lo
scandalo, fanno la voce grossa
contro «gli impresentabili che
hanno offerto un quadro indegno
del servizio pubblico». Ma
i primi “impresentabili” sono
proprio loro che occupano il
posto che occupano non perché
specialisti della comunicazione
o rappresentanti del
mondo della cultura, ma perché
sono uomini di partito.
Sono loro i primi da epurare,
cambiando radicalmente i
metodi di designazione e di
selezione dei dirigenti, dei funzionari,
dei conduttori, dei
giornalisti, degli uscieri.
E poiché questo non sarà, la
Rai-Tv rimarrà quello che è:
un potentissimo strumento di
pressione e di acquisizione del
consenso ad uso dei partiti e
un bordello. Anzi, è l’Italia
intera a essere un bordello, la
Rai non è che uno dei suoi
specchi più appariscenti. E
non salverà certo l’anima, e
nemmeno la decenza, perché
la nazionale di calcio ha vinto
i Mondiali.