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Nazioni Unite? Nate deboli, ora non esistono più

di Massimo Fini - 20/07/2006


Carlo Passera intervista Massimo Fini
Massimo Fini, tiene ancora banco la vicenda mediorientale. L’avevamo affrontata già la scorsa settimana, credo sia necessario tornare sull’argomento.
«Direi che l’azione più intelligente la sta facendo Romano Prodi: è chiaro infatti che non si risolve un problema del genere senza un accordo globale con Teheran. Dobbiamo accettare il fatto che l’Iran è ciò che è in effetti, ossia una potenza regionale. Io credo che si possa potenzialmente trovare un accordo su queste basi, ma ho molti dubbi che Israele e i palestinesi lo desiderino».
Ma come può Tel Aviv negoziare con chi, come Ahmadinejad, si propone dichiaratamente la cancellazione di Israele? Teheran fa da riferimento per l’Hezbollah, svolge quindi un importante ruolo dietro le quinte...
«Dietro le quinte non c’è solo l’Iran, dietro le quinte di Israele ci sono gli Stati Uniti. Questo è un mondo globalizzato, dove gli interessi sono legati tra di loro; mi sembra sciocco far finta che non sia così».
Rimane il problema Ahmadinejad.
«Io penso che, al di là di alcune affermazioni propagandistiche del premier, le classi dirigenti iraniane siano responsabili. Comunque bisogna provare a considerarle tali e semmai solo dopo prendere le decisioni. Serve un atteggiamento realistico, perché a proseguire con le obiezioni di principio non si va da nessuna parte».
Avranno anche una classe dirigente affidabile, ma la loro “creatura” libanese, l’Hezbollah, è una struttura militare che punta ad attaccare Israele non a parole, ma a suon di razzi e attentati. La reazione di Israele non è dunque giustificata? Fino a che punto può spingersi Tel Aviv nell’esercitare il suo sacrosanto diritto a difendersi?
«Premetto: c’è un minimo di ragione in quel che scrive Ernesto Galli della Loggia su Il Corriere della Sera».
Della Loggia spiega come sia difficile chiedere il rispetto delle “proporzioni”, anche nella reazione militare, a uno Stato così speciale, composto da sei milioni di persone circondate da una moltitudine ostile. L’esasperazione è inevitabile.
«Ecco, è vero: la popolazione israeliana, pur fortissima, vive in una situazione di perenne assedio, quindi è comprensibile una sensibilità diversa rispetto a quella europea. Detto questo, invadere un Paese, bombardare edifici e uccidere centinaia di civili rappresenta comunque una netta sproporzione. D’altra parte sono ormai trent’anni che Israele, a un colpo violento, replica con un colpo tre volte peggiore. Io penso non si possa andare avanti così, credo che sia necessario un accordo».
Un accordo... con l’Iran, dunque?
«Sì. Secondo me l’errore non tanto di Israele (che ha appunto questa sensibilità particolare) quanto degli Stati Uniti è stato quello di non riconoscere una situazione geopolitica ineliminabile, il fatto che l’Iran debba poter dire la sua nell’area. È come, per intendersi, se non si fosse riconosciuto un ruolo speciale alla Russia, nei confronti della quale sono state invece tollerate cose ben più gravi: nessuno si è mai sognato di intervenire quando c’è stata la rivolta ungherese o cecoslovacca... Ripeto: o si ragiona in termini di realpolitik e ci si accorda su un equilibrio mediorientale più ragionevole, oppure si va verso scontri gravi».
Ma non trovi sia rischioso fidarsi oggi di Teheran?
«C’è un rischio da correre, ma secondo me non è molto alto. Non siamo di fronte a pazzi, né a un dittatore sanguinario».
Un’ultima obiezione a questa tua tesi. Che l’Iran abbia dichiarato di voler cancellare Israele è un dato di fatto. Ma è anche una volontà reale? E soprattutto: come poter far assurgere a interlocutore affidabile chi dichiara questi propositi?
«Che la volontà sia reale, non mi sembra: una cosa sono le parole, un’altra gli atti. È vero che Ahmadinejad ha rilasciato le dichiarazioni alle quali ti riferisci, ma è anche vero che su Teheran sono puntati i missili nucleari israeliani... Secondo me c’è una bella differenza. Del resto, quando Bush spiega che bisogna spazzare dalla faccia della terra gli Stati canaglia, e tra questi inserisce anche l’Iran, non dice nulla di particolarmente diverso».
Tu insomma sottolinei ancora una volta i due pesi e le due misure della politica internazionale.
«Questa doppia misura c’è, esaspera e radicalizza l’opinione pubblica araba. Israele ha ignorato circa trenta risoluzioni Onu, a Saddam è bastata una presunta violazione perché gli scatenassero contro una guerra. Il pachistano Pervez Musharraf è uno dei dittatori più sanguinari dell’area (e possiede la bomba atomica), ma non gli si dice nulla perché è alleato occidentale nella questione afghana. Queste differenze sono note e percepite da noi, figuriamoci nel mondo arabo e islamico!».
Tutti gli Stati sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
«George Orwell, La fattoria degli animali».
Se questo è il quadro, a far da mediatore e da “vigile urbano” delle trattative dovrebbe essere non una delle parti in causa - né Usa né Iran, insomma - ma qualche organismo internazionale a suo modo super partes. Peccato che ancor più del passato questi organismi appaiano oggi deboli o del tutto assenti.
«L’Onu è nata priva di poteri reali ma è stata distrutta definitivamente dagli americani con la guerra alla Jugoslavia del 1999. Allora, contro la volontà delle Nazioni Unite, la Nato attaccò uno Stato sovrano e da quel momento l’Onu è diventata solo un “cappello” che si usa quando serve e si dimentica quando non serve più. Sono false entrambe le posizioni: sia quella di chi usa l’organizzazione solo quando gli fa comodo (penso agli Usa per la Jugoslavia o l’Iraq), sia quella della sinistra che si appella ogni cinque minuti all’Onu, ben sapendo che è un organismo ormai inesistente».
Al di là di questa ulteriore delegittimazione, l’Onu di per sé era meritevole di riforma, poiché ricalca equilibri definitisi al termine della Seconda guerra mondiale e dunque ormai ampiamente superati. Come uscire da quest’impasse?
«L’Onu si può ricostruire solo riconoscendo la piena sovranità degli Stati che la compongono, cosa che ora non mi pare possibile. Il gravissimo errore che si è commesso in Jugoslavia è stato proprio questo: è stato abbattuto il principio dell’intangibilità del territorio nazionale, così come quello di appartenenza nazionale. Noi andiamo incontro in questo modo a una sorta di guerra civile trasversale, che colpirà soprattutto l’Occidente. Non è che i principi di diritto internazionale esistessero per caso... È pazzesca l’idea dei radicali di costruire l’Onu solo con i Paesi cosiddetti democratici, escludendo molto democraticamente tutti gli altri; d’altro canto non credo si raggiunga niente se a decidere le vicende del mondo è una parte sola, lo si è visto al vertice del G8 di San Pietroburgo. Dico “una parte sola” perché oggi dobbiamo considerare ormai la Russia integrata con i Paesi occidentali, non più rappresentante seppur indiretta degli “altri”».
Il G8 è di per sé un’altra cosa, riunisce gli Stati più potenti, non deve rappresentare tutto il mondo.
«Vero. D’altro canto il fatto che si speri nel G8 per la risoluzione della crisi mediorientale dimostra come l’Onu sostanzialmente non esista. Ecco perché l’idea di un accordo con Teheran, lanciata dal nostro premier, mi sembra la più realistica e intelligente».
Tornando all’Onu: in questi anni si è parlato molto di riformarla. Soprattutto, di superare la logica dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, che risponde a equilibri vecchi di sessant’anni. Come fare?
«I cinque membri permanenti oggi appartengono - pur con “tinte” diverse - allo stesso sistema, allo stesso mondo: anche la Cina ormai si è “omologata”. Io farei entrare nel Consiglio di sicurezza un Paese rappresentante della galassia arabo-musulmana. Penso potrebbe essere una buona idea».
Non si rischierebbe di paralizzare le Nazioni Unite?
«Più paralizzate di così...».
Tu dici insomma: il Consiglio di sicurezza deve diventare una “camera di compensazione” degli equilibri reali.
«Esatto. È ovvio che, dopo la caduta del muro, la conversione della Cina al libero mercato e l’11 settembre, gli equilibri non sono più quelli dell’immediato dopoguerra. Bisogna realisticamente tenerne conto, oppure andare a uno scontro frontale che non è neppure detto veda alla fine l’Occidente vincente, e che comunque comporta scenari apocalittici».
Allora, l’Onu è impotente e da riformare; il G8 non ha alcuna funzione mediatrice, ma nemmeno l’Unione europea è super partes. Potrebbe però avere comunque un ruolo importante.
«Di più: l’Europa ha, cinicamente, la sua grande occasione. Non deve seguire gli Stati Uniti, non deve rispondere al mondo musulmano, si trova cioè in una posizione geopoliticamente di equidistanza».
È Occidente, ma deve e può far da ponte con l’Oriente, insomma.
«Certo, specie col Medio Oriente, questo per la posizione che occupiamo e la storia che abbiamo. Penso poi a due Paesi come Italia e Spagna, che sono anche geograficamente protesi verso il mondo arabo-islamico... Se l’Ue non fosse tanto indietro nella propria costruzione politica e militare, potrebbe diventare davvero un’interlocutrice credibile per le parti».
Non è forse un caso, però, che l’attuale “ministro degli Esteri” europeo sia quel Javier Solana che, in quanto ex segretario generale della Nato, è considerato da tutti davvero molto, molto vicino a Washington.
«Il solo nome di Solana impedisce qualsiasi mediazione. È responsabile dell’attacco alla Jugoslavia, è la longa manus degli Stati Uniti d’America. Io credo che gli Usa dovrebbero ridurre le loro pretese imperiali, altrimenti si va solo allo scontro che a noi - Europa, Italia - proprio non giova. Mi sembra che vi sia qualche segnale in questo senso».
Anche perché il “fronte” si sta sempre più allargando: Afghanistan, Iraq, ora la crisi tra Israele e Libano, che coinvolge pesantemente anche Siria e Iran...
«Pensiamo quanto diversa sarebbe stata la situazione se la comunità internazionale avesse concluso un accordo ragionevole con l’Iran sull’arricchimento dell’uranio! È chiaro invece che, così, i radicalismi aumentino sempre di più. La crescente aggressività dell’Occidente porta al disastro: abbiamo invaso l’Afghanistan per prendere Bin Laden e siamo ancora lì a cercarlo, nel frattempo abbiamo occupato il Paese e da cinque anni non ci spostiamo, è grottesco; poi abbiamo attaccato l’Iraq perché Saddam doveva avere le armi di distruzione di massa, abbiamo scoperto che non le aveva e allora ci siamo posti l’obiettivo di creare là uno Stato democratico; infine, sulla base di un semplice sospetto, è stato minacciato pesantemente l’Iran. Dove vogliamo arrivare?».
Ci vorrebbe un episodio importante perché questa inerzia venga modificata.
«Come ripeto, potrebbe essere l’Europa a compierlo».
Qualcosa intanto ha fatto Romano Prodi, come si diceva...
«Non dimentichiamoci che Prodi è stato presidente della Commissione Ue, sviluppando forse quell’esperienza internazionale tale da consentirgli di proporre una mediazione intelligente, che l’Europa potrebbe assumere come propria».
Fa un po’ specie che, a porsi come attore importante in una vicenda di politica internazionale, sia un premier che su questi temi non riesce a trovare compattezza neppure nella propria maggioranza.
«Questo è vero, però bisogna onestamente ammettere che questo governo sta prendendo provvedimenti dei quali avrebbe dovuto farsi invece carico l’esecutivo precedente. Mi spiace doverlo dire, Prodi è un vecchio boiardo democristiano, puoi immaginare quanto mi stia simpatico. Poi, certo, ci sono tutte le contraddizioni interne: ma questo richiama un altro problema che abbiamo creato con le nostre mani, quel maggioritario che obbliga a stare insieme forze totalmente incompatibili».
Come valuti in generale la posizione italiana nella crisi?
«Ho sentito le dichiarazioni di Giulio Andreotti, il miglior ministro degli Esteri che abbiamo avuto. Ha affermato che vi è una sproporzione di fondo all’origine del problema: nel 1948, quando venne creato Israele, l’accordo prevedeva che sarebbe stata costruita anche una nazione palestinese. Israele si è sviluppato meravigliosamente, ho grande ammirazione per quanto sono riusciti a trarre dal deserto, ma la Palestina non è mai nata».
Anche per colpe arabe.
«Per una serie di ragioni, ma rimane il fatto. C’è del vero nella seconda dichiarazione di Ahmadinejad, quella che contraddice la prima. Inizialmente nega l’olocausto, poi però lo riconosce sottolineando come sul mondo islamico sia stato scaricato un problema creato però dagli occidentali, lo sterminio degli ebrei. Vi sono responsabilità storiche europee all’origine di tutto».
Si è detto che l’intervento di Massimo D’Alema in Parlamento abbia riportato il nostro Paese nel solco della politica estera andreottiana, equidistante tra le parti in causa e “dialogante” col mondo arabo.
«Sì, ma con una differenza di fondo: Andreotti attuava questa politica intelligentemente, D’Alema no».
Perché dici così?
«Perché queste scelte non vanno esplicitate. Bisogna lavorare in silenzio, Andreotti ci era riuscito in una situazione molto più difficile, perché noi allora eravamo stretti alleati obbligati degli Usa, cosa che oggi non sarebbe più necessaria, almeno nella stessa misura, perché non c’è più lo spauracchio dell’orso russo».
È probabile che D’Alema abbia “parlato” anche a uso interno, per ricompattare la maggioranza ulivista...
«Tutto ciò che viene fatto a uso interno prende un aspetto squallido e sinistro. Mi piacerebbe poter ragionare prescindendo da queste cose».
Tu elogi Prodi. Non è paradossale che si pensi all’invio di un contingente di pace italiano in Libano nelle stesse ore in cui la maggioranza è spaccata sulla presenza italiana in Afghanistan?
«Sono due cose diverse. Quella dell’Afghanistan è un’occupazione militare che tiene in piedi un governo fantoccio. Questa sarebbe invece una tipica azione Onu... se l’Onu esistesse davvero, naturalmente».
Ma anche la missione afghana è sotto il “cappello” dell’Onu...
«Ma si tratta sempre l’occupazione di un Paese, non è che ci si interponga tra due forze che si stanno combattendo, operazione tipica dei caschi blu».