Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’Algeria è la vera vittima della guerra francese in Mali?

L’Algeria è la vera vittima della guerra francese in Mali?

di Mohamed Tahar Bensaada - 30/01/2013


President Abdul Aziz Bouteflika

“Chi osa infastidire l’Algeria rischia di farsi mordere” (Ibrahim Boubacar Keita, ex Primo ministro del Mali)

Come previsto, l’esito della drammatica crisi degli ostaggi svoltasi nel sito gasifero di Amenas, dopo i sanguinosi assalti delle forze speciali algerine contro il gruppo terroristico, ha suscitato la reazione delle ambasciate e dei media occidentali, che non potevano perdere una tale opportunità per imporre la loro contro-verità in quella che appare già come una vera guerra psicologica contro l’Algeria. Nonostante il battage mediatico delle ultime 48 ore, diverse zone d’ombra continuano a circondare questa operazione. Motivo in più per rimanere vigili, trattandosi di esaminare un caso che non ha finito di rivelare tutte le sue carte. Molti fatti strani sono stati ignorati dai media mainstream. Vale la pena di tornarvi per illuminare meglio i problemi che cercano di nasconderci.
Innanzitutto, la prima cosa che colpisce dell’attacco terroristico che aveva come obiettivo il sito di Amenas è la sua natura spettacolare. Un gruppo terroristico multinazionale di 32 persone dalla varia origine (Algeria, Libia, Egitto, Tunisia, Mauritania, Niger, Francia e Canada), è entrato dalla vicina Libia. Centinaia gli ostaggi nel sito energetico, oltre che strategico, posizionato in una zona ben monitorata. Nei dieci anni di guerra sporca, durante il decennio nero, nessun incidente simile è accaduto nelle regioni gasifere e petrolifere del sud dell’Algeria, motore economico dell’Algeria, in quanto forniscono la maggior parte delle sue entrate in valuta estera. In questa operazione spettacolare, non si può escludere la possibilità della manipolazione di un servizio segreto impegnato in una spietata guerra speciale nella regione.
Come al solito, le accuse più contraddittorie che circolano sul web vengono alimentate dai molti fan della cospirazione. Ma in mancanza di prove convincenti e nell’attuale rischioso clima d’intossicazione mediatica, sarebbe meglio cercare di districare questo caso concentrandosi sulla domanda fondamentale: Quali sarebbero i dividendi geopolitici che potrebbero raccogliere i vari attori coinvolti in una guerra che ha avuto inizio molto prima dell’intervento francese in Mali?
Primo elemento in questa strana storia. L’intervento della Francia in Mali, così dichiarando guerra ai gruppi islamici, tra cui Ansar al-Din, che non ha mai commesso atti terroristici nel territorio del Mali o altrove. E cosa fa il gruppo scissionista dell’AQIM guidato da Moqtar Belmoqtar? Attacca in Algeria, vale a dire, l’unico Paese della regione che ha sempre espresso la sua opposizione alla guerra, da quando la Francia ha iniziato a preparare i suoi servi nei paesi africani, a rischio di apparire come la “madrina” di Ansar al-Din, come tendono a far credere siti specializzati nella propaganda anti-algerina. Nessuna azione è stata registrata contro i molti Stati ausiliari della Francia nel Sahel e nell’Africa occidentale, che hanno deciso d’inviare i loro battaglioni in Mali, eppure sono mille volte più vulnerabili dell’Algeria nell’affrontare questo tipo di azioni terroristiche.
Naturalmente, il fatto che Moqtar Belmoqtar si sia prestato al gioco del negoziato, in vista di una sua consegna ai servizi di sicurezza algerini, operazione di resa poi abortita qualche anno fa, non manca di suscitare il sospetto di alcuni analisti che lo vedono come un agente doppio. Altri arrivano al ridicolo implicandovi un’azione interna dei servizi algerini, senza preoccuparsi di spiegare, in questo caso, l’essenziale, ovvero il rifiuto dell’Algeria alla “cooperazione” proposta dalla NATO. Perché preoccuparsi di montare una simile operazione se si rifiuta anche ciò che si suppone possa essere un’eccellente vantaggio diplomatico? In realtà, in qualsiasi guerra speciale, tradimenti e rientri abbondano, questo è un altro motivo per evitare di cadere nelle storie poliziesche, di rischiare di abbandonare l’analisi geopolitica e strategica, le uniche che dovremmo tenere in conto.
Secondo elemento strano. L’attacco terroristico ha avuto luogo presso la base operativa gestita congiuntamente da tre società: algerina (Sonatrach), inglese (BP) e norvegese (Statoil). Mentre il gruppo terrorista rivendicava di voler affrontare l’intervento francese in Mali, perché fa pressione sulla Francia attaccando le compagnie petrolifere che sono di fatto le principali concorrenti della compagnia francese Total in Algeria? Ma la cosa più allarmante è la reazione di alcune ambasciate e dei media occidentali, le loro reazioni dopo gli omicidi nell’assalto delle forze speciali algerine. Se Washington ha osservato che Algeri non l’ha consultata senza ulteriori commenti, il primo ministro britannico David Cameron, ha criticato la gestione della crisi da parte delle autorità algerine. Queste ultime avrebbero deciso d’intervenire troppo in fretta senza chiedere il parere delle potenze in questione. Che audacia da parte di queste potenze nel chiedere all’Algeria di negoziare con i terroristi che avevano messo cariche esplosive addosso agli ostaggi e minacciato di farli saltare in aria, mentre la Francia interveniva in Mali con il rischio di mettere in pericolo la vita degli ostaggi algerini ed europei trattenuti da AQIM e Mujao!
Certo, se i leader algerini che hanno la grande responsabilità di aver dato l’ordine per l’assalto, avessero avuto la minima possibilità di salvare la vita degli ostaggi attraverso il negoziato con i rapitori, e non l’avessero fatto, avrebbero un’imperdonabile colpa morale e politica. Ma sapendo il rischio che correvano mettendosi dietro ai paesi occidentali, i cui cittadini avrebbero potuto perdere la vita durante l’attacco, non c’è dubbio che fossero quasi certi che una qualsiasi altra soluzione, diversa dall’assalto, sarebbe stata più costosa in termini umani, politici, diplomatici ed economici. Il cinismo dei media e degli pseudo-esperti invitati per l’occasione non ha limiti, quando la denuncia della “brutalità” delle forze speciali algerine proviene dalle stesse persone che hanno sempre trovato scuse per gli “errori” delle forze NATO in Afghanistan e in Iraq, che non hanno esitato a bombardare feste, matrimoni, funerali e altre manifestazioni pacifiche. Salutiamo di passaggio la coraggiosa presa di posizione di Robert Fisk, che ha sottolineato nella sua rubrica sul quotidiano The Independent, “che i media occidentali non avrebbero reagito in quel modo se tra gli ostaggi uccisi, non ci fossero stati biondi con gli occhi azzurri, ma solo algerini!
Al di là della dimensione umana della tragedia, costata la vita di tanti innocenti, e al di là del ruolo svolto da francesi e algerini, ci poniamo la domanda che conta di più, oggi: chi cerca i protagonisti principali di questa crisi? Per i francesi, l’unico problema rilevante, per cui vale la pena che la diplomazia francese tenga un basso profilo e faccia finta di avere una postura “comprensiva” verso l’attacco dell’esercito algerino, è evidentemente dovuta alla loro guerra sporca contro l’Algeria, sapendo che non potrebbero portare a compimento la battaglia in cui sono attualmente impegnati in Mali senza la collaborazione dell’esercito algerino.
Riprendendo ricercatori e esperti fasulli, come al solito, Libération ha cercato di dare una parvenza di giustificazione logica al cosiddetto “riavvicinamento franco-algerino” sulla questione del Mali. Il voltafaccia di Ansar al-Din, che ha tradito le sue promesse ad Algeri, lanciando le sue forze nel sud del Mali, avrebbe dovuto alla fine convincere il Presidente Boutefliqa a cambiare la sua disposizione, e a permettere agli aerei da combattimento francesi di sorvolare lo spazio aereo algerino. Ma questo voltafaccia è il preludio di un cambio di strategia algerina verso i gruppi islamici, ossia né più né meno che un ritorno alla linea dello sradicamento perseguita negli anni ’90 dallo stato maggiore dell’esercito algerino. Per William Lawrence: “il sorprendente assalto dei combattenti islamici nel sud del Mali, lo scorso fine settimana, alla fine ha fatto superare all’Algeria la sua riluttanza. Messo alle strette, Boutefliqa non era in grado di opporsi al sorvolo degli aerei francesi e a chiudere il confine con il Mali, anche irritando una popolazione sensibile ad ogni possibile manifestazione di “neocolonialismo” della Francia. La crisi degli ostaggi, senza precedenti nella sua ampiezza, dovrebbe avere costretto Algeri a rivedere la sua strategia contro gli islamisti.”
Il governo francese non può pretendere di meglio. Questa operazione per forzare Algeri “a rivedere la sua strategia contro gli islamisti”, rivedendo la propria politica di dialogo e riconciliazione nazionale che gli ha permesso di ricostruire il suo fronte interno, e ritornando alla politica di eradicazione a cui si richiamano i circoli più antipopolari nell’esercito e nella classe politica algerina, potrebbe causare un ritorno ai vecchi demoni della guerra civile, e quindi dare un buon pretesto all’intervento straniero nel giorno X. Ma i fatti sono testardi, e non è sicuro che i desideri di Libération si avverino presto. Anche se si confermasse che l’Algeria sia stata ingannata dai leader di Ansar al-Din, che in realtà hanno dato alla Francia un comodo pretesto per precipitare l’intervento in Mali, deve essere davvero stupido chi creda per un momento che la Francia abbia bisogno di un pretesto per scatenare una guerra, di cui tutto indicava che si stesse preparando per ragioni che hanno poco a che fare con l’avanzata dei nomadi.
Dall’inizio della crisi in Mali, l’Algeria è stata spinta incessantemente a partecipare a questa grande guerra, o per lo meno a non opporvisi attivamente. E’ posta sotto pressione dagli statunitensi, e per non perdere del tutto i contatti con i suoi vicini africani, perché purtroppo non è possibile scegliere i propri vicini, il governo algerino ha indubbiamente permesso il sorvolo del suo spazio aereo da parte degli aerei da combattimento francesi. Tuttavia, sia l’opinione pubblica che i leader algerini sono divisi sulla questione. Alcuni credono, a torto, che sia un male minore salvarsi dall’ira dello Zio Sam, in particolare, e che in questa guerra la Francia non solo è supportata dai suoi alleati della NATO, prevedibilmente guidati da Stati Uniti e Gran Bretagna, ma che ha anche il supporto,  sorprendentemente, di altri due membri del Consiglio di sicurezza, Russia e Cina. Ma altre voci, anche dall’interno del sistema algerino, giustamente avvertono contro gli effetti negativi di quello che potrebbe apparire come un allineamento alla crociata francese in Mali sulla coesione nazionale, in un contesto politico doppiamente indebolito dalle tensioni sociali e dalle lotte intestine che affliggono il contesto politico della guerra di successione al Presidente Boutefliqa. E’ quindi ragionevole pensare che l’operazione, che avrebbe dovuto rafforzare il clan pro-atlantista all’interno del sistema algerino, potrebbe portare al risultato opposto. Coloro che non hanno smesso di suonare l’allarme, mettendo in guardia contro le onde d’urto della guerra nella regione, vedranno rafforzata la loro posizione.
L’Algeria sta emergendo come prima vittima della guerra francese in Mali, cosa che non può che rafforzare gli oppositori alla politica bellica francese nel sistema algerino. E questo è forse ciò che spiega le reazioni abbastanza divise nelle capitali occidentali, a seguito dell’azione delle forze speciali algerine. Se non potevano che congratularsi con la neutralizzazione del gruppo terroristico, queste capitali non potevano ammettere di non essere state consultate dal governo algerino. È un indice che non sbaglia. Se gli “amici” dei circoli occidentali avessero avuto il controllo delle operazioni, sarebbe stato difficile immaginare un tale scenario. L’opinione pubblica algerina che per lo più rimane ostile all’interventismo occidentale, e in particolare francese, nei paesi arabi e musulmani, non si sbaglia. Salutando con sollievo e orgoglio le critiche occidentali, ne vede la prova che lo Stato algerino continua, nonostante tutto, ad essere attaccato a ciò che resta dell’indipendenza e della sovranità nazionale squassata dalle interferenze delle grandi potenze negli anni ’90, durante la selvaggia apertura economica imposta da FMI e Banca mondiale, e dall’ascesa di una borghesia compradora che si è sviluppata all’ombra della privatizzazione e dell’economia rentier, riuscendo a corrompere e ad indebolire grandi settori dello Stato.
Qualunque siano i retroscena di questa operazione terroristica, una cosa è certa. Tale operazione era volta oggettivamente ad influenzare l’esito della battaglia tra i sostenitori della deriva atlantista che con il pretesto dell’apparente isolamento diplomatico dell’Algeria, vogliono giungere alla “normalizzazione” accogliendo le richieste delle capitali occidentali, e i sostenitori della duramente conquistata indipendenza nazionale, ma che oggi è più che mai minacciata dalla globalizzazione, dalla dipendenza dall’economia del petrolio e dall’alleanza tra la borghesia compradora e i centri imperialisti.
Le voci di cosiddetti “esperti”, diffuse dai media algerini, saldate a quelle degli imprenditori vicini ai circoli neo-coloniali, criticano le incongruenze del governo algerino nella lotta contro gruppi armati islamici, quando non addirittura l’accusano di complicità in ciò che equivale a un osceno ricatto, ripetuto come un ritornello dai siti specializzati nella disinformazione: o fai fuori il musulmano o sei accusato di esserne complice o istigatore! L’operazione terroristica di Amenas si inserisce in questo quadro. E’ una tattica diversiva, per allontanare il centro dei combattimenti in Mali e allentare il cappio che strangola i loro accoliti nel Paese o, più seriamente, è una sorta di “prova generale” per un attacco maggiormente coerente, in fase di preparazione, contro uno degli ultimi ostacoli al ritorno dell’Impero nella regione? Il fatto che per la prima volta in 20 anni di crisi, un sito gasifero, anche perché è un sito che fornisce il 15% della produzione algerina, sia stato oggetto di un’operazione bellica, potrebbe nascondere altri oscuri disegni. Ricordiamoci le “indiscrezioni” di Sarkozy distillate dalla stampa, che dicevano che l’Algeria sarebbe la prossima nella lista dopo la Libia e la Siria.
Non c’è dubbio che la pressione internazionale aumenterà sull’Algeria per farle assumere il ruolo di gendarme nella regione del Sahel. In un movimento islamista soggetto alle più diverse infiltrazioni, ci saranno sempre “utili idioti” che si prestano alle potenze che cercano il minimo pretesto per intervenire in una regione ricca di petrolio e di minerali preziosi. Ma questo non è un argomento sufficiente per giustificare l’ingiustificabile collaborazione con la Francia, che osa giocare nel ruolo di pompiere, mentre è il vero piromane dell’incendio partito dalla Libia e dal Mali, e che oggi minaccia di raggiungere altri Paesi della regione?
Se l’Algeria venisse mal consigliata, rientrando in una “comunità franco-africana” logisticamente sostenuta dalla NATO e diplomaticamente dai suoi partner strategici Russia e Cina, non è detto che essa non abbia le risorse per prendere tempo, fino al momento, che non tarderebbe, in cui l’incendiario-pompiere francese e i suoi servi africani saranno impantanati nel deserto del Sahel-Sahara, rivelando la vera natura della loro guerra, i cui primi crimini commessi dall’esercito del Mali, che hanno iniziato ad inquietare le organizzazioni umanitarie internazionali, sono solo un presagio di ciò che attende il Mali: massacri e voltafaccia geopolitici in prospettiva. Oggi possono diventare alleati gli avversari di domani. I servi che ora applaudono l’intervento francese contro i loro fratelli del nord, l’impareranno a loro spese, prima di quanto pensano, che la Francia non è venuta per liberarli dei gruppi jihadisti, imponendogli il suo piano di un Azawad dall’ampia “autonomia”, per sfruttare al meglio il petrolio e l’uranio nel nord del Mali.
L’Algeria, che ha interesse a restare lontana dal conflitto e a difendere la propria sicurezza inviando messaggi forti come quello che ha inviato ad Amenas, non deve dimenticare il suo dovere di solidarietà con il popolo del Nord del Mali, che potrebbe vivere un indomani terribile in mano agli indisciplinati ed eccitati soldati africani, da cui ora è possibile temere dei terribili crimini di guerra sotto lo sguardo compiaciuto dei loro padroni francesi, che non sono alla loro prima atrocità in Africa, come tristemente ricorda il genocidio ruandese.
Come Stato, l’Algeria ha un margine molto ristretto di manovra contro la politica guerrafondaia della Francia e dei suoi alleati in Mali. Ma la Francia e i suoi alleati occidentali sono consapevoli del fatto che, se messa alle strette, l’Algeria ha risorse ancora sufficienti per ostacolarli in una zona in cui i fattori di resistenza al sistema di Françafrique sono molti di più di quanti si pensi.

Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora