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Il Volto di Qana (V)

di Miguel Martinez - 21/07/2006

 

Interessante discussione ieri con un amico, cattolico, grande conoscitore del Libano e del mondo maronita in particolare.

Quello che segue è l'esposizione, il più possibile fedele, del suo punto di vista, non del mio.

Il Libano vive da decenni tra l'incudine della Siria e il martello d'Israele.

Oggi è rimasto solo il martello, visto che gli Stati Uniti hanno organizzato in Libano quella che doveva essere la prima "democrazia esportata" del Medio Oriente.

E' successo così lo stesso fenomeno che abbiamo visto con la caduta del fascismo in Italia o quella dei regimi socialisti dell'Est: la casta di mafiosi che prima governava per conto della Siria, è passata in blocco nel campo statunitense, grazie anche a mediazioni e interferenze saudite, e sfruttando il sistema elettorale creato dai siriani nel 2000, che attraverso vari trucchi, assicura una rappresentanza del tutto sproporzionata ai vecchi notabili.

Allo stesso tempo, il sistema politico libanese prevede una divisione di tutti gli incarichi su basi religiose, mentre non permette di censire le dimensioni di tali gruppi.

I rapporti tra i gruppi, ciascuno sotto la guida di un feudatario, diventano così decisivi, ma sono fossilizzati nella situazione in cui si trovavano oltre mezzo secolo fa.

Il Libano uscito dalla cosiddetta rivoluzione del 14 marzo doveva essere, quindi, uno stato diviso su basi settarie, filoamericano e aperto alle interferenze israeliane, governato dai notabili di sempre, di varia estrazione religiosa.

Questo progetto è fallito a causa di Hezbollah e del Generale Michel Aoun.

Hezbollah lo conosciamo - è di gran lunga la prima forza del Libano, e rappresenta forse la metà della popolazione del Libano. Ha mantenuto rapporti discreti, ma non di sudditanza, con la Siria e soprattutto con l'Iran, come avrete sicuramente sentito dire un centinaio di volte dai media in questi giorni.

Invece, il Generale Aoun è l'unico uomo politico libanese che abbia combattuto con le armi contro l'occupazione siriana, e per questo ha passato gli ultimi quindici anni in esilio.

"Il Generale" è di famiglia maronita (cattolica), ma è nato in un quartiere povero e di religione mista.

Questo lo ha indotto a combattere da sempre contro la divisione settaria del paese. Diventato comandante dell'esercito libanese, ha creato i primi reparti interconfessionali.

Nel 1988, venne nominato primo ministro e nel 1989 cercò di espellere l'esercito siriano dal paese. La confusa situazione che ne seguì, con bombardamenti, cambi di incarichi e trattati, si concluse nel 1990 con un accordo tra Stati Uniti e Siria: la Siria avrebbe appoggiato l'attacco statunitense contro l'Iraq, e gli Stati Uniti avrebbero dato mano libera alla Siria in Libano.

L'esercito siriano, assieme a gruppi cristiani, lanciò un grande attacco militare, e Michel Aoun fu costretto ad andare in esilio.

Ritornato in Libano nel 2005, Aoun lanciò un movimento interconfessionale, che entrò subito in rotta con il governo filo-statunitense e i suoi progetti di privatizzazione e svendita delle risorse nazionali.

Nelle elezioni, il movimento di Aoun ebbe un notevole successo in termini di voti, conquistando le zone cristiane dell'interno, ma ebbe un numero basso di seggi a causa della legge elettorale.

Il 6 febbraio 2006, Aoun strinse un importante accordo con Hezbollah, con cui Hezbollah - che aveva già rinunciato ufficialmente all'idea di instaurare uno stato islamico in Libano - aderì sostanzialmente al progetto di Aoun per un Libano giuridicamente laico.

I motivi sono probabilmente molti: la laicità conviene storicamente alle minoranze discriminate, come gli sciiti libanesi (che poi oggi non sono più minoranza, ma sono certamente discriminati); e poi non ci vuole molto per capire che la frammentazione etnoreligiosa del Libano è ciò che ha permesso anni di manipolazione straniera nel paese. Chiaramente, poi, la laicità, in un paese mediorientale, non implica alcun "laicismo" antireligioso.

In queste ore, mentre 700.000 libanesi fuggono dalle loro case, la divisione è diventata molto netta.

Da una parte, un governo privo di autorità, che può contare solo su alcuni giri clientelari, ovviamente vorrebbe che l'opposizione non esistesse, ma non può intervenire contro la maggioranza del proprio paese.

Dall'altra, il patto tra "Il Generale" e Hezbollah. Che, nella pratica, è un'inedita alleanza tra laici, cristiani e sciiti, in nome dell'indipendenza nazionale.

Forse adesso si può capire perché i bombardieri israeliani hanno anche colpito chiese cristiane, e hanno attaccato ieri il quartiere cristiano di Ashrafiyeh a Beirut; o perché ovunque nel mondo, ci siano sacerdoti cristiani tra i libanesi che manifestano contro l'invasione.

E siccome tutti fanno dietrologie sulla Siria o l'Iran senza saperne nulla, anche il mio amico si permette di lanciare lì un'ipotesi.

Cioè che Israele ha deciso di venire meno alla storica pratica di salvare la vita dei propri soldati scambiando prigioneri, per attuare la soluzione finale al problema libanese, come riferisce l'ANSA del 12 luglio:

"Il capo di stato maggiore [israeliano] ha minacciato di riportare il Libano, che si sta ancora riprendendo dalle ferite inflittegli dalla guerra civile negli anni settanta e dalla successiva invasione israeliani nei primi anni ottanta, "indietro di decine d'anni" se i due soldati non saranno subito liberati."
A me sembra che sapere tutte queste cose sarebbe utile per l'italiano medio, che deve decidere cosa pensare della guerra in corso. Magari anche ascoltando cose opposte a quelle che dice il mio amico, che so, che la politica laica proposta da Michel Aoun è sbagliata.

Invece, ieri, Repubblica regala tutta la quarta pagina a Thomas L. Friedman che spiega così le motivazioni di ciò che ha fatto Hezbollah. Anzi, "Nasrallah", perché bisogna sempre personalizzare:

"Non capisco la mentalità orientale... [per Nasrallah] non si tratta di vincere o perdere; si tratta di uccidere degli ebrei".

Ecco. Non è un blog néoconnard dall'italiano zoppicante.

Non è nemmeno l'Agente Betulla su Libero.

Questa è Repubblica, quotidiano che chiamano "di sinistra".