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La “miseria dell’Africa” è una lezione anche per noi

di Enrico Galoppini - 22/02/2013

Fonte: Europeanphoenix



 

C’è poco di che meravigliarsi di scene come quelle riprese in questo filmato. D’altronde, per continuare a raccontare la favola delle “liberazioni” non è bene mostrare immagini che possano far pensare ad un déjà-vu, quel “passato coloniale” che poi tanto passato non è, ma che ufficialmente viene “condannato” profondendosi in plateali “scuse” e in promesse che mai e poi mai “si ripeterà”. Invece l’Africa – anche per colpa degli africani stessi – è terra di saccheggio e di situazioni al limite del grottesco: una massa di gente che muore di fame, ammassata in assurde metropoli, che rimpolpa le fila dei “migranti” (meglio detti “rifugiati economici”), ed una cricca privilegiata al cui vertice siede il classico dittatore da operetta alla Bokassa, violento e triviale, che s’abbuffa e accumula fortune all’estero, ma sempre a rischio di vedersele “congelare”, tante volte smettesse di essere “buono” ed affidabile al 100%.

Sono lontani anni luce gli anni a cavallo del 1960, “l’anno dell’Africa”, quando la maggior parte dei Paesi africani raggiungeva l’indipendenza da Francia ed Inghilterra. Qualcuno ci aveva creduto davvero, ma si trattava d’una operazione di facciata, che nascondeva certo anche un contrasto che alcuni definirebbero “interimperialistico”: la competizione tra le due potenze coloniali “classiche” veniva sostituita da quella tra Usa e Urss, ma per gli africani, a parte qualche raro caso (su tutti il Burkina Faso dell’eroico Sankara), non cambiava nulla. Anzi, per certi aspetti la situazione era pure peggiorata, come fu magistralmente mostrato dal film-documentario di Jacopetti e Prosperi Africa Addio, boicottato dal mondo della “cultura” e dei cineforum perché non in linea con la vulgata imperante tra la cosiddetta “intellighenzia impegnata”, incapace di andare oltre lo schema che prevedeva per l’indigeno un destino o da “bisognoso” o da “rivoluzionario” (ovviamente filo-sovietico).

S’è visto poi che fine han fatto quegli amanti delle astrazioni e dell’estremismo parolaio, quei “nuovi filosofi” abbonati alle “primavere”: ad applaudire festanti i bombardamenti della Nato sulla Jamahiriyya – che benché “araba” aveva davvero “un’idea dell’Africa” - e ad omaggiare i “ribelli islamici”, apparentemente quanto di più lontano dalla loro “modernità”, ma buoni per tutte le occasioni, anche come pretesto per intervenire militarmente come in Mali.

L’Africa, se ancora scaldava gli animi dei “terzomondisti” di tutti i tipi fino agli anni Settanta-Ottanta, oggi non interessa più a nessuno. La gente della Costa D’Avorio è stata martirizzata senza pietà, sempre grazie alla “democratica” Francia, ma nessuno ha trovato da ridire, tanto meno quella “Unione Europea” che fa la morale a tutto e tutti e viene pure premiata col “Nobel per la pace”. È invero strano che mentre da Bruxelles bacchettano a tutto spiano i 27 Stati dell’Unione per i più diversi motivi (dal “razzismo” alla “omofobia”), non trovano nulla da eccepire se una Francia prende a bombardare a destra e a manca, compresi gli alleati di altri Stati della medesima Unione nella quale tutti dovrebbero amarsi alla follia (ogni riferimento alla Libia è puramente voluto). “Ma quelli sono fatti suoi”, ripetono dai “palazzi” dell’Euro-tecno-plutocrazia, al che non si sa più che dire a gente che mentre trova il modo d’intromettersi negli affari di uno Stato per le “quote latte” o la misura dei cetrioli, ha volutamente rinunciato ad una politica estera europea e, di conseguenza, ad una politica militare condivisa.

Ma quest’Europa è una colonia. Una colonia americana e sionista, o meglio dei poteri finanziari apolidi e senza volto, che usano la leva della finanza per asservire nazioni intere. Quindi c’è poco da meravigliarsi che l’Africa, l’ultima ruota del carro, la più debole, faccia la fine che fa. Siamo tutti sotto lo stesso tacco.

Così, se può far sorridere la scena del cammello donato al “signore coloniale” Hollande, non si creda che lo stesso Hollande non si produca in analoghe manifestazioni quando incontra quelli più potenti di lui, tipo certi caporioni della Nato e del Sionismo, o delle grandi banche d’affari diretta emanazione dei “signori del denaro”. Ma lì non c’è nessun video da censurare semplicemente perché certi incontri si fanno a porte chiuse, e senza cammelli!

E che differenza c’è tra i bambini africani che omaggiano il “Badrone” ed i nostri che sono costretti, nella scuola dei programmi imposti dai “liberatori”, al “culto della memoria” a senso unico?

Per questo, la situazione in cui versa l’Africa è anche colpa degli africani stessi. Non hanno un sussulto di dignità e di amor proprio, e quando quelle rare volte qualcuno di loro ‘sguaina la spada’ per chiamarli alla riscossa lo tradiscono per tornarsene bravi nel ruolo di eterni sfruttati preparato appositamente per loro. Non è un caso quindi che – al di là delle differenze etniche, che pure contano – la mattanza tra connazionali sia la regola ogniqualvolta che una potenza occidentale giunge a sovvertire il governo: il servaggio si porta dietro l’assenza di coesione nazionale.

Stiamo attenti, perché l’Africa è anche una lezione per noi. Gli africani, prima del colonialismo, non erano dei “morti di fame”. Ma lo sono diventati perché hanno tradito se stessi, ché avevano una civiltà e delle tradizioni alle quali ispirarsi. Quindi, occhio, perché quando si comincia a scimmiottare modelli non propri – come han fatto in Africa -  e a prenderci gusto con la piaggeria e l’asservimento, ci si svilisce e depotenzia sempre più, fino a non sapere  più chi si è veramente, e si finisce inesorabilmente nella discordia e, nei casi peggiori, nella miseria e nella fame.