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L'orribile bombardamento israeliano di Gaza: morire di fame nell'oscurità

di Virginia Tilley* - 22/07/2006

 
 
 
Con la scusa di liberare un soldato rapito, Israele sta bombardando la Striscia di Gaza e si sta preparando a re-invaderla. Ha inoltre arrestato un terzo del parlamento palestinese, distruggendo anche la sua fragile illusione di potere e riducendo il già vuoto vascello dell'Autorità Palestinese in un rottame galleggiante.
In mezzo al disastro, i Palestinesi possono trovare un amaro elemento di compensazione: la brutale pretesa del Fatah di controllare la politica nazionale palestinese e la sua rivalità con Hamas sono state rese obsolete. Persino la testarda comunità internazionale non può più sostenere la sua tenace pretesa che l'AP sia attualmente capace di qualsiasi attività governativa. La fine del disastroso modello di Oslo - lo stratagemma d'Israele per assicurarsi lo smembramento finale della terra palestinese e la fatale cooptazione del movimento nazionale palestinese - può essere finalmente a portata di mano. Forse l'unità palestinese ha ancora una possibilità.
Ma nessuno sa cosa rimpiazzerà l'AP. Non è perciò sorprendente che questo mutato scenario diplomatico stia assorbendo le attenzioni dell'ansiosa comunità internazionale.
Ciò non ostante, non dovrebbe essere la politica la maggiore preoccupazione internazionale. Un gesto orribile deve ora eclissare qualsiasi pensiero di "road maps" o "reciprocità": mercoledì, aerei da guerra israeliani hanno ripetutamente bombardato, fino a demolire completamente, il solo impianto energetico di Gaza. Circa 700.000 degli 1,3 milioni d'abitanti di Gaza non hanno più elettricità, ed il problema è che l'energia non potrà essere restituita prima di sei mesi.
Non sono le condizioni umane create nell'immediato da quest'attacco ad essere madornali. Quelle condizioni sono, ovviamente, piuttosto gravi. Niente luce, niente frigoriferi, niente ventilatori nella soffocante canicola estiva di Gaza. Nessuna possibilità d'andar fuori a prendere una boccata d'aria, a causa del bombardamento in corso e dell'imminente assalto militare israeliano. Nella bollente oscurità, immani esplosioni scuotono le città, vicine e lontane, mentre ripetuti sonori boati stanno senza dubbio provocando altre rovine: finestre in frantumi, bambini che corrono urlando tra le braccia degli adulti terrorizzati, anziani che collassano per infarto, donne incinte che subiscono aborti spontanei. Terrore collettivo, disperazione, frenetico accaparramento di cibo ed acqua. E niente radio, televisioni, cellulari e calcolatori portatili (per i pochi che li possiedono), e dunque nessuna possibilità d'ottenere notizie su quanto ancora durerà l'incubo.
Ma questa volta, la situazione è peggiore di così. Nel momento in cui marcisce il cibo nei frigoriferi, il solo alimento rimasto è il grano. Molte persone cucinano col gas, ma con i confini sigillati presto non ve ne sarà più. Quando le bombole di propano delle cucine domestiche saranno esaurite, non si potrà più cucinare né lenticchie o fagioli, né humus o pane - gli alimenti principali per i Palestinesi, i soli per i poveri. (E non vi sono legna da ardere o carbone nell'arida, sovraffollata Gaza).
Eppure, anche tutta questa miseria è messa in ombra da un fatto più cupo: l'assenza d'acqua. I rifornimenti idrici pubblici di Gaza avvengono tramite un sistema di pompaggio elettrico. Anche i rubinetti sono asciutti. Nessun sistema di scarico dell'acqua. E ancora, il problema è che l'elettricità sarà assente per almeno sei mesi.
I bacini di Gaza sono già contaminati da acqua marina e di scarico, a causa del sovra-pompaggio (in parte, ad opera degl'insediamenti israeliani oggi abbandonati) e del sistema fognario decisamente inadeguato. Per essere potabile, l'acqua è purificata con macchinari azionati dalla corrente elettrica. Altrimenti, l'acqua salmastra dev'essere per lo meno bollita prima del consumo, ma ciò richiede elettricità o gas. E presto la gente non avrà nessuno dei due.
Bere acqua non potabile significa contrarre malattie, anche il colera. Se il colera dovesse comparire, l'epidemia galopperebbe in una popolazione così densamente concentrata e carente di carburante e acqua per gl'impianti igienici. E ospedali e cliniche non funzionano, sempre a causa della mancanza d'elettricità.
Infine, la gente non può partire. Nessuno dei paesi confinanti ha le risorse necessarie ad assorbire un milione di rifugiati disperati e impoveriti: per motivi logistici e politici, il flusso [migratorio] destabilizzerebbe completamente l'Egitto, ad esempio. Ma i Palestinesi di Gaza non possono cercare asilo presso i loro parenti della Sponda Occidentale, per il semplice motivo che non possono lasciare Gaza per dirigersi là. Non possono neppure attraversare il confine egiziano per poi andare in Giordania, in quanto Israele non permetterà più alle persone con carte d'identità di Gaza d'entrare nella Sponda Occidentale. In qualsiasi caso, un cordone di polizia palestinese sta impedendo alla gente di valicare il confine egiziano - e rifugiati di guerra ci hanno provato, attraverso un cunicolo aperto da militanti, stringendo a sé pacchi e bambini.
In breve, oltre un milione di civili sono ora intrappolati, rinchiusi nelle loro case ad ascoltare le bombe israeliane, mentre affrontano la spaventosa prospettiva, nel giro di giorni o settimane, di dover dare acqua tossica ai loro bambini così da consegnarli, forse, ad un rapida ma agonizzante morte. Una donna vicina al valico di Rafah, che si sta prendendo cura dei suoi nipoti, ha detto alla BBC: "Se mi mostrassi spaventata di fronte a loro, temo che morirebbero di paura". Se la comunità internazionale non farà nulla, i suoi piccoli presto moriranno in ogni caso.
La sorprendente gravità di quest'emergenza umanitaria è infatti rispecchiata solo dall'assordante pioggerella della reazione internazionale. "Ovviamente è comprensibile che [gli Israeliani] vogliano dare la caccia a coloro che hanno rapito il loro soldato", ha dichiarato Kofi Annan (mentre il popolo palestinese è acquattato nell'oscurità ascoltando le rombanti esplosioni che demoliscono la sua società), "ma ciò va fatto in modo che la popolazione civile non ne abbia a soffrire". Persino mentre le bombe israeliane sconquassano le strade di Gaza, il G-8 s'è alzato sulle sue zampe posteriori per intonare: "Chiediamo a Israele di mostrare il massimo controllo nella crisi attuale". Che dire dei Russi, che vanno a caccia d'un posto nel nuovo "Grande Gioco" del Medio Oriente? "Il diritto e dovere del governo d'Israele di difendere la vita e sicurezza dei suoi cittadini è fuor di dubbio", ha dichiarato il Ministro degli Esteri russo, come se il povero caporale Shalit giustificasse tutto questo pandemonio, "ma ciò non va fatto al costo di molte vite di civili palestinesi, attraverso massicci attacchi militari con pesanti conseguenze sulla popolazione civile".
E cosa dice la nobile Europa, orgogliosa fonte delle convenzioni sui diritti umani, architette della misiòn civilizatrice? "L'UE rimane profondamente preoccupata", borbottano i potenti difensori della legge umanitaria, "circa il peggioramento negli sviluppi umanitari e della sicurezza". Frasi apparentemente molli come "profondamente preoccupata", nel linguaggio diplomatico, significano: "Siamo seriamente insoddisfatti". Ma in queste circostanze, "rimanere profondamente preoccupata", suggerisce che quest'incredibile crimine non è altro che un nuovo momento su cui riflettere nella fallimentare "road map". I gorgoglii diplomatici d'irrealismo nel Medio Oriente sono la norma piuttosto che l'eccezione, ma a un certo punto la comunità internazionale deve affrontare la necessità davvero indesiderata di cambiare marcia. Un paese che rivendica la sua affinità con le democrazia occidentali dell'Europa sta comportandosi come un regime canaglia assassino, usando qualsiasi pretesto per ridurre oltre un milione di persone all'assoluta miseria umana e persino alla morte in massa. Appiccicare la faccia del caporale Shalit su questa politica non la rende più convincente di quanto facessero i giornali sudafricani, mettendo in bella mostra la foto d'un povero dottore bianco assassinato, durante la copertura della rivolta del Soweto nel 1976.
Israele ha fatto molte cose riconducibili a crimini di guerra: demolizione in massa di case, chiusura d'intere città per settimane, indefinite detenzioni "preventive", massicce confische di terra, distruzione di migliaia di miglia quadrate di oliveti e campi palestinesi, sistematica tortura fisica e mentale dei prigionieri, uccisioni extragiudiziarie, bombardamenti aerei di aree civili, punizioni collettive a dispetto delle Convenzioni di Ginevra - per non menzionare la generale umiliazione e rovina della popolazione indigena sotto il suo controllo militare. Ma distruggere la sola fonte d'energia d'una popolazione civile indifesa e intrappolata, costituisce un passo senza precedenti verso la barbarie. Puzza, ironicamente, di Ghetto di Varsavia. Se abbiamo applaudito a tettonici cambiamenti politici, dobbiamo prenderci una pausa: agli occhi della storia, ciò che sta accadendo a Gaza potrebbe eclissarli tutti.
(traduzione di Daniele Scalea per www.eurasia-rivista.org)
*La dr. Virginia Tilley è una professoressa di scienze politiche, attualmente al lavoro in Sud Africa. Può essere raggiunta all'indirizzo di posta elettronica tilley@hws.edu