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Tutto il Libano in 72 bare sepolte in una fossa comune

di Patrizia Viglino - 24/07/2006

 


E’ iniziata nel pomeriggio di Sabato l’invasione israeliana del Libano. Rotta la rete che divideva uno dei confini più caldi del mondo, l’esercito di Tel Aviv ha raggiunto il villaggio Maroun Al-Ras da dove sono partire alcune incursioni nei villaggi vicini.

L’aviazione israeliana ha colpito e distrutto alcuni network televisivi libanesi tra cui la sede della televisione al Manar a Beirut, il “gioiello” della comunicazione degli Hizbollah, trasmessa via satellite in arabo e in inglese. L’edificio è stato bombardato ma il personale aveva fatto in tempo ad evacuare.
Distrutta la torre per le trasmissione a Terbol nel nord del paese da dove trasmettevano diversi network tra cui la principale tv libanese LBC (Lebanese Broadcasting Corporation), oltre a Future TV e la stessa al Manar. Colpito anche il ripetitore della telefonia mobile nelle zone cristiane della città. Nel bombardamento alla sede della televisione libanese ha perso la vita il responsabile, Sulaiman Shidiyaq, secondo quanto riportato da al Jazeera. Interrotte anche le trasmissioni di Radio Free Lebanon. Dall’inizio dei bombardamenti altre sedi televisive, uffici e ripetitori sono stati presi di mira e bombardati tra cui le televisioni al Hurra, al Arabya e al Jazeera.

Le notizie che giungono dal Libano sono sempre più sporadiche. Del sud del paese si sa che la maggior parte dei villaggi si sono fatti deserti ma anche che ci sono moltissime persone intrappolate nelle case perché non possono o hanno paura di muoversi e di mettersi in viaggio, tra strade e ponti distrutti, e intanto che continuano a cadere le bombe.

Da quando è iniziata la guerra il 12 Luglio una fiumana umana si è mossa verso il nord in direzione di Beyrout. Secondo alcune testimonianze la gente si sposta con cartelli o bandiere bianche sul tetto delle auto.
Si stima che al di sotto della linea del fiume Litani vivano 400.000 persone ma non tutte potrebbero farcela ad andare via entro il limite di tempo intimato dagli israeliani, le 7 del pomeriggio ora locale.
Gli avvisi dell’esercito di Tel Aviv hanno intimato a chiunque abiti al di sotto di Litani di andarsene, nominando anche specifici villaggi.
Nel villaggio di Naqoura, al confine sud sono rimasti solo 300 persone su 3000 che lo abitavano e quasi tutte in carica nella missione ONU.
Si registra un esodo anche nella parte sud del paese dove molte persone si sono spostate verso le maggiori città cristiane di Marjayoun e Qlaia, dal momento che ad essere colpite sono soprattutto le aree a maggioranza Shiita. Il sindaco di Marjyoun ha dichiarato che migliaia di persone si sono aggiunte ai suoi 2000 abitanti e che la città non è stata colpita ma che le bombe cadono a neanche un km di distanza nei campi circostanti.
Intanto molti quartieri di Beirut sono stati resi irriconoscibili oppure cancellati. Nella capitale in molte zone non c’è corrente elettrica ma a mancare è soprattutto il cibo, considerando che il 90% delle forniture alimentari libanesi sono importate dall’estero. Gli ospedali sono sovraffollati di feriti e iniziano a scarseggiare anche le medicine.

Il simbolo del Libano che soffre e che scappa è tutto in quelle 72 bare sepolte in tutta fretta in una fossa comune nella cittadina di Tiro, con in nomi scritti in calce sul coperchio e un numero identificativo. Nella sepoltura comune anche molti bambini. I soldati libanesi sul posto hanno scavato in tutta fretta una trincea lungo la loro postazione e dopo aver deposto le bare, una di fila all’altra, le hanno coperte di terra. Nessun funerale, solo 20 persone attendevano alla sepoltura. Il resto della popolazione è scappata in cerca di salvezza.
Tiro è rimasta dunque deserta e poche persone sono rimaste in città anche per la mancanza di cibo.
Intanto secondo quanto riportato su Ha’aretz, la Croce Rossa sarebbe riuscita per la prima volta da undici giorni e grazie al permesso concessogli dal governo di Tel Aviv, a far giungere aiuti umanitari e 24 tonnellate di cibo proprio nella deserta e martoriata Tiro. Anche quella del “corridoio umanitario” è una retorica che sentiremo spesso nelle prossime settimane di guerra su di una popolazione e un paese sequestrati sotto gli occhi del mondo.

Nel villaggio di Shrifa, poco distante da Tyro, è andata peggio. Circa 30 cadaveri restano ancora insepolti dopo il raid che tre giorni fa ha fatto strage tra la popolazione. Una situazione analoga si è registrata nel villaggio di Aytaroun, colpita da missili venerdì.

Il Libano conta ormai 396 morti e 1350 feriti secondo dati forniti dal ministero libanese della sanità.
Le vittime sono tutti civili, a parte 20 soldati libanesi e 6 militanti Hizbollah.

Questa l’immagine che il Libano non riesce a far arrivare al di fuori dei suoi confini. Anche nel nostro paese i mezzi di informazione e soprattutto i telegiornali declinano di parlare della morte, delle morti, della distruzione del Libano.

La guerra resta impersonale perché esiste una volontà di farla rimanere tale. Si preferisce guardare al alla guerra con indulgenza ma la guerra è distruzione che resta negli anni, è veleno che corrode le generazioni.

Nessuno può ipotizzare quali saranno gli sviluppi nelle prossime ore.
La notizia che fa più paura è quella annunciata dal New York Times secondo cui Israele, in base a un accordo stipulato lo scorso anno, starebbe per ricevere una quantità notevole di bombe così dette intelligenti e di armi al laser teleguidate dai satelliti. Ne riceverà quante ne vuole, come previsto dall’accordo stesso. Questo potrebbe far pensare che l’operazione di terra continuerà ad essere affiancata dai bombardamenti con armi a tecnologia altamente distruttiva.
Sugli obiettivi dell’operazione militare e sulla sua durata i generali israeliani parlano di diverse settimane e di obiettivi “limitati”, ma fuori dai denti il capo di stato maggiore Halutz ha dichiarato su Ha’aretz che “se i soldati non saranno restituiti, riporteremo indietro il Libano di 20 anni”. Mentre in merito al dove colpire, il comandante in capo alle truppe nel nord, Gen. Adam, ha dichiarato “una volta in Libano, qualunque cosa è legittima, non solo nel sud del Libano, non solo tra le postazioni Hizbollah”.

Quello che è certo è che da Washington a Tel Aviv la guerra sta parlando lo stesso linguaggio.